Michele De Lucia è uno di quei quadri allevati come polli di batteria da Marco Pannella e spesso destinati a compiti assai particolari nelle associazioni della galassia radicale, nazionali e transnazionali. Il livello di questo piccolo ceto politico è, se paragonato a quello che produce le “seconda repubblica” come qualità media, tutt’altro che disprezzabile. Studiano i problemi, diventano padroni della materia in uno o due campi e imparano, soprattutto nell’arena politica interna, i primordi della dialettica. Hanno quasi tutti un obbligo non formalizzato, ma cogente nei momenti della comunicazione: devono citare Marco (talora accoppiato con Emma) o almeno alludervi un certo numero di volte. Devono inoltre fare riferimento alle parole chiave preferite dal vecchio guru di Torre Argentina quando parlano di cose italiane: regime e partitocrazia al minimo. La scuola radicale è, per il resto, buona come quella del vecchio Pci: solo in pochi riesce ad inculcare fino in fondo lo spirito gregario e le intelligenze, quando ci sono, emergono; dall’armatura del pannellismo, nei punti di sutura, fuoriesce perfino qualche bizzarria. Taluni poi fuoriescono addirittura dal mondo radicale per cercare carriere altrove. Talora dignitosamente, più spesso cialtronescamente.
A De Lucia, negli anni in cui Pannella cercava i voti delle “Partite Iva” del Nordest e non solo, era stato affidato il compito di battere il campo del liberismo e di aggredire sistematicamente la Cgil, sindacato statalista, la Fiat, industria protetta, la cassa integrazione, odioso meccanismo corporativo. Le sue chiavi di spiegazione sembravano addirittura romanzesche, ma aveva fatto un buon lavoro di raccolta dati sugli aiuti di Stato in varie forme concessi all’industria degli Agnelli. La sua capacità di cercare e selezionare la documentazione è, del resto, comprovata da altri lavori che De Lucia ha svolto per il mondo radicale, poi trasformati in libri: una sorta di biografia intellettuale di Marcello Pera e la ricostruzione del complesso baratto televisivo tra Veltroni (allora responsabile Pci per la tv) e Berlusconi nella seconda metà degli anni ottanta.
Oggi De Lucia ha il ruolo formale di tesoriere di “Radicali italiani”, ma continua ad intervenire sulle questioni economiche e sindacali; e perciò non gli è sembrato vero di dire la sua su Pomigliano. Naturalmente i bollori antiFiat sono in lui scemati e le rampogne appaiono rivolte tutte alla Fiom. Già nel primo commento a caldo al referendum aveva denunciato una coincidenza a suo dire “inquietante”: la percentuale di “no”, quasi il 35%, corrispondeva alla percentuale di assenti per malattia in occasione delle partite di calcio di più alto richiamo. Uno sfondone, forse determinato dalla mancanza di riflessione. Pensavo si fermasse lì. Non lo ha fatto: venerdì 2 luglio all’Aquila, nella sua relazione alla direzione del movimento pannelliano, ha ricordato la coincidenza ed ha lasciato intendere che non è casuale.
Naturalmente la teoria non ha né capo né coda. E’ semplicemente ridicolo pensare che di fronte all’esplicito e violento ricatto sulla chiusura dello stabilimento e della perdita del lavoro in un tempo e in un luogo ove non se ne trova, il quaranta per cento e più degli operai di Pomigliano (tanti erano i no tra gli operai, visto che tra impiegati e quadri il sì è stato massiccio) abbia respinto l’accordo per difendere il proprio assenteismo calcistico; De Lucia è ridicolo.
L’omino non ha peraltro considerato che, tra gli impiegati, così massicciamente favorevoli all’accordo, la percentuale di ammalati in coincidenza con quegli eventi “speciali” è grosso modo identica a quella che c’è tra gli operai e che dunque il differente atteggiamento nel voto riguarda semmai i turni e la fatica che comportano; De Lucia non considera.
Per dimostrare la tesi che la Fiom protegge i fannulloni, si è spinto oltre. Ha letto due articoli dell’accordo-proclama di Marchionne e Bonanni, quello sulle assenze e quello sulla rinuncia al diritto di sciopero, ed ha spiegato che l’azienda non pagherà le assenze di malattia solo in presenza di “percentuali anomale” e in presenza di “particolari eventi”. La cosa – ride come uno scemo - gli sembra normale, perfino giusta. In verità è disgustosa, e tanto più dovrebbe esserlo in un partito che fa dei “diritti” e del “diritto” la sua bandiera. Chissà perché, questa specie di radicale non ha pensato neppure un minuto che anche cento malati falsi non possono cancellare il diritto di assentarsi e percepire la paga per l’unico operaio davvero ammalato? Evidentemente i De Lucia considerano i principi irrinunciabili solo quando riguardano i signorini radicali e li negano quando si parla di operai, vale a dire una sottospecie di cittadini, incapaci di battersi per “il diritto”.
P.S.
1.Dopo De Lucia, al convegno radicale d'Abruzzo, ha parlato Pannella, che ne ha solennemente elogiato la relazione.
2. Gli elenchi degli assenteisti e quelli degli iscritti Fiom sono ben noti alla Direzione Fiat di Pomigliano D'Arco, ma non sono segreti per tutta la fabbrica. Basta andare lì e chiedere: si saprebbe subito che le due liste non coincidono per niente e che altrove si annidano i parassiti, non in Cgil. Ma chiedere al livido De Lucia quest'atto di onestà è forse troppo.
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