Giorgio Almirante non era affatto uno dei ragazzi che aderirono alla Repubblica di Salò, traviati dal massiccio indottrinamento del regime fascista, di cui a proposito e a sproposito si parla. Era un quadro dirigente della repubblica collaborazionista. Capo di gabinetto del gerarca Mezzasoma, insieme a lui firmò un manifesto che prometteva la fucilazione immediata non solo ai partigiani, ma a qualunque soldato del disperso esercito italiano, a qualunque giovane in età di leva che non si consegnasse ai tedeschi occupanti e/o ai repubblichini. Da qui l’epiteto di “fucilatore”, che in segno di sfida Almirante ripropose nel titolo di un suo libro di memorie. Collaborò per anni alla rivista ufficiale dell’antisemitismo fascista “Difesa della razza”. Nell’Italia repubblicana fu per decenni segretario del Msi, il partito che teneva accesa la fiamma di Salò. Alternava il doppio petto della moderazione e la camicia nera delle squadre violente e non condannò mai il fascismo. “Se lo facessi - disse ad un congresso - sarei un rinnegato”. La sua presenza nelle piazze, soprattutto nei momenti di ripresa dello squadrismo, acquistava pertanto il sapore di una provocazione. Fu in uno di quei momenti che Alberto La Volpe, sindaco di Bastia Umbra, gli negò la piazza del paese, decretando urgentissimi lavori e mobilizzando all’uopo le ruspe. La Volpe militava nel Psi, un partito di governo, ma, da democratico, sentiva intollerabile la presenza di un figuro come Almirante. Pagò per questa sua scelta: la magistratura lo estromise dalla carica di sindaco, nella quale poté reinsediarsi solo dopo anni. Oggi, a pochissimi chilometri da Bastia, a Santa Maria degli Angeli, l’amministrazione comunale di Assisi ha intitolato una piazza al fucilatore e l’ha solennemente inaugurata alla presenza della vedova.
Nessuna meraviglia. “Micropolis” ha scritto più volte di questo strisciante revisionismo, che ha preso a pretesto le foibe e dovrebbe trovare il suo coronamento nella legge che concede ai repubblichini lo status (e le pensioni) di “combattenti”. Siamo di fronte ad una vera e propria “riabilitazione”. Sui muri delle città umbre è comparso negli scorsi giorni un manifesto colorato in cui un tal Lollo, dichiarandosi “l’ultima raffica di Salò” e proclamando “io non ho tradito”, invitava a votare per un seguace della Mussolini. Folclore? Anche. Ma una provocazione così in altri tempi non sarebbe stata sopportata.
C’è di più. In risposta alle dichiarazioni del segretario Ds di Assisi centro, Anselmo, l’amministrazione comunale ha elaborato una sorta di controstoria con il crisma dell’ufficialità.
Almirante sarebbe ammirevole per la sua tenacia, avrebbe salvato un amico ebreo dalle persecuzioni, etc; il vero scandalo sarebbero le vie e piazze intitolate a Togliatti, cui viene attribuito un “tacito e colpevole assenso” sugli italiani infoibati “dal suo amico compagno Tito”. Il testo, oltre che osceno per il tono, è risibile nel contenuto storiografico, ma non si trova un cane che lo spernacchi a dovere. E’ comunque un documento rivelatore: le destre non s’accontentano della riabilitazione, vogliono un vero e proprio ribaltamento, i fascisti sugli scudi e gli antifascisti all’inferno. La revisione storica del resto accompagna la demolizione sistematica dello spirito repubblicano e della carta costituzionale. E’ anche frutto - lo scriviamo da tempo - di una cecità della sinistra moderata italiana che ha facilmente ceduto all’ondata revisionistica, quando non l’ha accompagnata. Ma lo sbandamento continua e coinvolge anche la sinistra non moderata, assai disattenta. Alla provocazione assisana non c’è stata una reazione né istituzionale né politica, non un intervento della Provincia o della Regione, non una manifestazione di massa. E i comunicati stampa del prode Anselmo e di qualche altro dirigente di seconda o terza fila non servono quasi a nulla.
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