Le carceri, i suicidi, l’indifferenza di tanti e Alfano che non vede.
di Saverio Lodato
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Camilleri, dall'inizio dell'anno nelle carceri, e nel più spaventoso disinteresse, quasi 40 detenuti si sono tolti la vita. Per l'«Associazione Ristretti Orizzonti», dal ‘60 ad oggi, l'incremento dei suicidi è del 300%. Statistica da brivido che il ministero della Giustizia non commenta. Il cappio al collo è consuetudine. Da Roma a Siracusa, da Milano a Ragusa, da Torino a Lametia Terme, da Padova a Piacenza a Reggio Emilia, da Varese a Como, da Brescia a Venezia a Ancona a Frosinone, si moltiplicano i casi di autolesionismo estremo. I suicidi non hanno nulla in comune. Uno era ergastolano. Uno sarebbe uscito per buona condotta. Uno si è impiccato poco prima di tornare in libertà. Uno perché lo stavano estradando. Uno era Rom. Uno napoletano. Uno albanese. Tutti sanno che in questo momento nelle carceri sono rinchiuse 68.000 persone ma che la capienza prevista è di un massimo di 43.000. Ad appesantire il bilancio nero, una cinquantina di casi in cui gli agenti hanno evitato il tragico epilogo. Cosa non si è detto e scritto sulle carceri italiane. Che erano poche, e ne andavano costruite altre. Che erano troppe, e bisognava depenalizzare. Spalancare le porte o buttare la chiave? E ora? Riprenderanno le visite dei parlamentari di ogni colore. Non crede?
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Mi pare che alla notizia del suicidio di un detenuto, uno dei tanti, alcuni giornali abbiano riportato il nobile commento di un deputato della Lega: "uno di meno". Poteva un leghista smentirsi? Naturalmente ci sono state le solite sdegnate reazioni, si è ripetuto insomma quello stanco rituale tutto italiano di accuse e controaccuse destinato a finire come una bolla di sapone. Perché il problema delle carceri in Italia non è stato seriamente affrontato da nessun governo. E certo non può essere risolto in modo definitivo con sfoltimenti momentanei dovuti ad amnistie, indulti, depenalizzazioni che, tra l'altro, hanno troppe controindicazioni. Il fatto certo è che mentre le carceri scoppiano, manca la volontà politica di porvi rimedio. Si ricorda, caro Lodato, che il ministro Alfano, tra un lodo e l'altro, aveva sbandierato tempo addietro un suo piano-carceri? Mi sa dire dov'è andato a finire? E qui c'è da chiedersi il perché di questa non volontà. L'opinione pubblica, ammesso che esista, si dimostra poco interessata al problema. Agli italiani, so di dire una spiacevole verità, importa sempre meno delle difficoltà altrui, la loro sensibilità negli ultimi decenni si è molto appannata. Fatte le dovute eccezioni, naturalmente. Non si sono ribellati alla disumana legge sui respingimenti indiscriminati, alla legge che fa dell'emigrato clandestino un reo, figurati quanto gliene importa se in cella si sta un po' strettini. Da parte loro, i politici si sentono al sicuro: a forza di leggine, norme, regolamenti, non si darà che rarissimamente il caso che uno di loro vada a finire dietro le sbarre. Sono sempre così decisi a far quadrato davanti alle richieste della magistratura, così granitici nella difesa della casta da far invidia al sindacato del tempo di Di Vittorio. Ora mi chiedo: quando una cella che potrebbe contenere al massimo quattro detenuti ne contiene otto, viverci dentro minuto dietro minuto per mesi e mesi e anni e anni, non diventa impresa disumana? Siamo così attenti che gli animali degli zoo abbiano buone condizioni di vita nelle loro gabbie e ce ne freghiamo di quello che avviene nelle carceri? Credo che l'esistenza quotidiana dei detenuti in un carcere sovraffollato somigli molto a un'insopportabile forma di tortura. La quale tortura, se non sbaglio, non è un reato contemplato dal nostro codice. Ed ecco spiegato perché il governo Berlusconi, visto e considerato come vengono trattati i detenuti in Italia, ha dichiarato di non avere nessuna intenzione d'introdurlo. Accà nisciuno è fesso!
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