Ernesto Ferrero è stato ed è, in molti ruoli, figura importante nell’editoria italiana. Ma è anche scrittore versatile, curioso e ingegnoso, a partire dalla sua opera prima, un dizionario che è un piccolo capolavoro: I gerghi della mala dal '400 a oggi (1972). Traduttore, saggista, critico letterario, romanziere, ha forse ottenuto il successo maggiore con le sue opere biografiche. Ha raccontato la vita di Gilles de Rais, il famoso Barbablù (1975) e si è dedicato a Napoleone, con un romanzo che fa raccontare i trecento giorni trascorsi dall’“imperatore” all’Elba dal suo bibliotecario ("N", 1975) e un saggio su Napoleone organizzatore e manager nell’isola (Lezioni napoleoniche, 2002).
La spinta a proporre questa breve riflessione me l’ha data il casuale ritrovamento tra le mie carte di un ritaglio di Ferrero dal Corsera del 12 giugno 2000. Si tratta di uno stralcio dalla relazione tenuta in quei giorni ad Alessandria, in occasione di un convegno napoleonico ispirato dal bicentenario di Marengo. L’articolo è intitolato Lo scrittore mancato che divenne imperatore e ruota intorno al rapporto di Napoleone con i libri. Eccone un passaggio: “C'è un' immagine dell'aprile 1814 da cui mi piace partire: quella dell'Imperatore vinto che nella notte dell'abdicazione, a Fontainbleau, dopo aver patteggiato con gli Alleati il minuscolo regno dell'Elba, va in biblioteca, e sceglie personalmente 186 volumi che lo accompagneranno nella nuova destinazione. Ci sono Plutarco e i Commentaires di Cesare, Seneca, Senofonte, Tacito, Virgilio, Pausania; e naturalmente i francesi: Boileau, i 15 tomi delle opere di Diderot, Madame de la Fayette, Montaigne, Montesquieu (5 tomi), Rousseau, le lettere di Madame de Sévigné, Saint Evremont libertino erudito e moralista, i 70 volumi delle opere complete di Voltaire. Manca stranamente l' amato Corneille…”.
Per Ferrero non è casuale la cura nella scelta dei libri; a suo dire esiste una “centralità della biblioteca nel modus operandi dell'Imperatore”: “Prima di ogni campagna Napoleone consulta una bibliografia specializzata su quello che sarà il teatro dello scontro, elabora in quel formidabile computer che è la sua testa notizie storiche, geografiche, naturalistiche, climatiche. Quando è in Egitto, consulta Erodoto e Plinio. Nulla è lasciato al caso: ogni pratica bellica viene accuratamente istruita. La guerra è anzitutto una scienza esatta”.
Ma la biblioteca, nella vita di Napoleone, era importante anche in tempo di pace: un barone, tal Barbier, selezionava le novità più interessanti e gliele inviava con brevi schede critiche. Dice Ferrero che era “lettore forte, onnivoro” e “non disdegnava i romanzi, compresi quelli per signore, come accadde nella immobilità forzata di Mosca”.
Lo studioso dà anche notizia di quello che potremmo definire il “Napoleone critico letterario”, riferendo alcuni suoi giudizi, acutissimi, su opere antiche e moderne. Quello che più mi ha colpito è l’elogio dell'Iliade che tesse a Sant'Elena: “L'espressione più efficace e rappresentativa di un'epoca. Omero è veramente, oltre che poeta altissimo, oratore, storico, legislatore, geografo, teologo: in una parola il meraviglioso enciclopedista di un secolo”.
Il giudizio è, nella sua brevità, di un’acutezza sorprendente e sembra anticipare non solo le imminenti riflessioni teoriche di Hegel sull’epos, ma anche, ed ancor più, gli sviluppi novecenteschi, diversi e per molti aspetti complementari, di Lukàcs e Bachtin. Nelle parole dell’esule e nell’uso del termine “enciclopedista” intravediamo la nozione dell’epica come “totalità”, cioè come espressione di un sapere organico, completo, perfetto, circolare, ove tuttavia la teologia, le scienze naturali e le tecnologie, la geografia e l’etica non sono esposte in forma trattatistica, ma pienamente inserite nel racconto. Napoleone aveva compreso prima di molti altri perché l’Iliade fosse, nella classicità ellenica, il “libro” per eccellenza, lo strumento fondamentale della paideia, della formazione delle nuove generazioni.
1 commento:
la "paideia": belle parole ma
la militarizzazione delle scuole francesi era il suo obbiettivo e l'Iliade piaceva a Buonaparte perche' gli ricordava le sue imprese"gloriose" e truculente ,i suoi fatti d'arme per 15 anni in Europa
Posta un commento