5.9.16

Scrittori americani. Vonnegut e il talento della divagazione (Giorgio Manganelli)

Ritratto di Kurt Vonnegut da giovane
Kurt Vonnegut è uno scrittore americano non adeguatamente noto in Italia. Forse mi sbaglio. Forse in questo momento ventimila persone stanno leggendo un Vonnegut, in piedi, sui tram, sui treni, sugli autobus. Non ci credo. Una storia del genere potrebbe piacere a Vonnegut, perché include cose vere, autobus, treni, e ipotesi elegantemente svagate, i ventimila lettori. Quest'ultimo libro, Un pezzo da galera (Rizzoli, lire 8.000), tradotto in modo eccellente da Pier Francesco Paolini, risponde abbastanza all'idea di un romanzo di Vonnegut; il che può non stupire, visto che il romanzo è appunto suo. È, diciamo, una autobiografia di un jailbird, appunto un «pezzo da galera»; ma, come romanzo, assomiglia piuttosto ad un collage: uno di quei collage in cui si vede la faccia di Nixon incrociata con la Madonna di Pompei e Topolino; sullo sfondo, una Casa Bianca ridisegnata da Steinberg. Vonnegut è l'equivalente narrativo, dopo tutto è anche un narratore, peccato non si possano comprare narratori come i Falcao, di quel che nel melodramma, o forse meglio nell'opera comica, non nel musical, era il tenore di grazia.
Ho detto che è un narratore: forse è inesatto; è un chiacchieratore; uno di quei signori di buona cultura, lievemente narcisisti, amanti dei buoni vini francesi, che sanno raccontare una storia, o piuttosto molte storie, in modo squisito; talmente squisito che alla fine nessuno ricorda più esattamente la storia; certo, c'erano Nixon, la Casa Bianca, prigioni che si aprono e si chiudono, carriere un poco inverosimili, ma soprattutto c'era quella sua voce suadente, distaccata, divertente, un po' depressa, distratta, vagabonda; perché Vonnegut ha il talento della divagazione, e va a spasso per il proprio libro con l'agio con cui un signore settecentesco andava a spasso per il proprio parco.
Ci sono scrittori che fanno a pugni con le pagine che scrivono, che producono romanzi prendendo a calci delle risme di carta da macchina, che usano lacrime allungate col rimmel invece di inchiostro. Nulla di tutto ciò in Vonnegut: notate la cravatta, nemmeno la prigione potrebbe intaccare quel nodo; la sua voce è sempre sobria e aggraziata; scrivere un libro come questo, svagato e di raro divertimento, deve essere per lui come portare a spasso un cane bello e intelligente, mediamente affezionato: uno spasso, una indulgenza a se stessi, narcisismo ilare e malinconico.

L'Europeo, 2 marzo 1981

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