24.7.10

Giovanni Ferrara e l'eredità di Annibale.

Giovanni Ferrara (1928-2007), fratello del “comunista” Maurizio, fu esponente della cultura laica e liberaldemocratica. Fu professore di Storia antica a Firenze e Senatore per il Pri sul finire della cosiddetta “prima repubblica”. Per “la Repubblica” fu editorialista e collaboratore assiduo delle pagine culturali per la Storia greca e romana. Ho ritrovato tra i ritagli una recensione per il quotidiano di Scalfari (non ho indicazioni, ma l’anno è certamente il 1982). Non si limitava a dare ragguagli sul corposo primo volume dell’Eredità di Annibale di Arnold Toynbee, il grande storico britannico, appena tradotto per Einaudi. Piuttosto, attraverso un’ardita analogia con la presunta “eredità di Hitler”, proponeva una particolare interpretazione della storia romana assai suggestiva (ma a mio avviso tutt'altro che convincente). La tesi è la seguente: la devastazione che Annibale porta in Italia modifica profondamente tanto la struttura economica quanto gli assetti istituzionali, giuridici e di potere della penisola. Lo sconvolgimento, se pure non ha la forma di una rivoluzione, ha carattere catastrofico e conseguenze rivoluzionarie sotto diversi punti di vista, non esclusi quelli del costume e della cultura, sulla compagine dell’imperium di Roma in Italia e altrove. (Analogamente le due guerre europee del Novecento, concluse dai suicidi nel bunker di Berlino, avrebbero modificato in maniera irreversibile e, per Ferrara, non certamente positiva, l’assetto dell’Europa liberale protonovecentesca.)

Roma e l’Italia preannibalica da Ferrara sono in realtà idealizzate, rappresentate come un mondo in cui un popolo e la sua classe dirigente empiricamente cercano e trovano, seguendo un proprio ritmo interno, le soluzioni di governo più idonee: è lo stesso gruppo dirigente nobiliare, per esempio, a permettere e perfino a favorire gli sviluppi democratici negli ordinamenti politici e civili.

Dopo la campagna di Annibale tutto è mutato. La guerra sradica popolazioni, desertifica città, aumenta la mortalità. L’agricoltura di proprietari, deprivata di forze attive, diventa terreno di sviluppo del latifondo a schiavi (una sorta di economia di piantagione) e del grande allevamento semibrado. Cresce l’affarismo finanziario e commerciale alimentato dai nuovi spazi imperiali. Intanto la società politica (ed è la politica la cifra al tempo dominante) tende a chiudersi in una oligarchia di ferro, impegnata ad impedire che il malessere diffuso abbia sbocchi negli equilibri del potete. Quando si riaprono i giochi per le masse di cittadini diseredati, sulla spinta dell'iniziativa dei Gracchi, essi tendono ad assumere la forma della guerra civile e non più della contesa politica. In uno scenario un po’ più vasto, la penisola, è lo stesso insieme dei cittadini, “il popolo romano” che tende invece a chiudersi, rispetto ai popoli italici, ripudiando così le caute aperture del “prima di Annibale”. Ed anche in questo caso l’insofferenza e la ribellione assume un carattere violento (la “guerra sociale” del 90). Finché i due conflitti non deflagrano e alla fine, dopo un ciclo di guerre civili distruttive, secondo le parole di Tacito “per salvare la pace fu necessario obbedire a un principe".

Questo schema, molto suggestivo – ripeto -, ha a mio avviso un difetto evidente. Tra la battaglia di Zama e la battaglia di Azio non intercorrono trenta o quarant'anni, ma più di un secolo e mezzo. Dentro c’è la crescita impetuosa della relazioni, di volta in volta amichevoli o conflittuali, con il mondo grecizzato, con le grandi monarchie ellenistiche e con le città tributarie dell’una o dell’altra, che conservano tuttavia un barlume di indipendenza. C’è un paradosso in questa storia: i settant’anni che Ferrara rappresenta come di ferrea chiusura sono il tempo dell'ellenizzazione della nobiltà romana, al cui centro è la prestigiosa cerchia degli Scipioni. E' lì che matura la nozione della humanitas e si sviluppano i connessi valori della filantropia. No, non è l’eredità di Annibale l’unica radice della lunga e sanguinosa crisi di regime che si concluse con il principato. E forse neanche la maggiore.

2 commenti:

La Giraffa ha detto...

molto interessante..questo aspetto mi ha sempre affascinato.Tempo fa studiavo storia del diritto romano e a margine del capitolo dedicato alla crisi dell'età repubblicana c'era un siparietto relativo a questa suggestiva interpretazione.
Sapresti consigliarmi testi attraverso cui approfondire la questioen?

Anonimo ha detto...

molto interessante,studiai l'argomento in storia del diritto romano,il mio prof sosteneva questa suggestiva interpretazione ma da una prospettiva diversa-nel senso che la crisi punica ha consentito l'emergere dei personalismi che poi culminano con silla e cesare.
sapresti consigliarmi qualche fonte per approfondire l'argomento?

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