1.8.13

Barthes e Stendhal (Domenico Scarpa)

Roland Barthes
Il 25 febbraio 1980, giorno in cui fu investito da un'automobile, Roland Barthes lasciava nel rullo della macchina da scrivere il se­condo foglio d'un testo intitolato On échoue toujours a parler de ce qu 'on aime: si fallisce sempre nel parlare di ciò che si ama”. Era un saggio dedicato a Stendhal, desti­nato a un congresso milanese. Di­ceva della passione di Stendhal per l'Altro (dove l'Altro era innan­zitutto l'Italia) e della sua «polyphonie de plaisirs», del suo amore irresponsabile per il nostro paese, della velocità di una scrittura che guizza inanellando stereotipi ma irradiandoli d'incanto, fino a pro­porre un'intuizione paradossale: Stendhal, filosofo dei sensi, nei suoi diari e scritti di viaggio è il meno sensuale degli scrittori francesi. L'Italia lo riduce al bal­bettio, all'impotenza espressiva per ingorgo di sensazioni; dice, ma non comunica. Si sbloccherà con la Certosa di Parma, dove l'ir­ruzione delle truppe napoleoni­che in Milano è l'irruzione dell'e­roe Bonaparte, del mito, dell'e­spressione musicale. La bellezza, messa in movimento, diventa fe­sta; l'Italia era una festa mobile. Parlando di Stendhal, Barthes aveva parlato fin dal titolo, per l'ultima volta, di se stesso.

“alias”, 7 febbraio 2004

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