3.12.13

Da Verdi ad Arduini. Genova per noi

«Vivendo tra queste "dolcezze" non mi ero mai accorto che qui si sapesse condire tanto squisitamente ogni sorta di frutta. Me lo dissero alcuni di Parigi a cui avevo mandato di queste opere di Romanengo».
Così, in data 6 gennaio 1881, scrive Giuseppe Verdi da palazzo Doria, dove ha preso dimora invernale già da una quindicina d'anni, all'amico Opprandino Arrivabene, che di lontano segue il lavoro per la revisione del Simon Boccanegra (vento di Genova, dunque, anche sullo spartito).
«Pietro Romanengo fu Stefano» — fabbrica di confetture, praline, marzapani, canditi e di squisitezze eteree come le gocce di rosolio, gli sciroppi di rosa e di mirtillo, i petali di viola zuccherati — già da un secolo avanti la lettera di Verdi ha negozio, sempre il medesimo, lungo uno dei carrugi più percorsi della vecchia Genova, detto Soziglia, girato l'angolo del frequentatissimo Campetto. 
Anche l'arredo della confetteria ha un'età rispettabile: «E stato messo in luogo nel primo decennio dell'Ottocento, sotto Napoleone», ci assicura il Romanengo d'oggi, che è progenie diretta dello Stefano delle origini. E il commesso in carica, Arduini Sergio, genovese quanto i Romanengo, è lì, a sua volta, da 31 anni, avendo preso il posto del nonno andato a riposo dopo 55 anni di servizio e a suo turno figlio d'uno che era stato messo in bottega 70 anni addietro — totale, un secolo e mezzo abbondante di fedeltà.

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