23.12.14

Antifascismo a Genova. La biblioteca di Buranello (Eros Barone)

Giacomo Buranello, nativo di Meolo, fu un giovane militante e dirigente comunista a Sampierdarena di Genova. Impegnato nella lotta di liberazione, fu condannato a morte dai nazifascisti e fucilato nel marzo 1944 a 23 anni neanche compiuti. Un recente convegno a Sampierdarena ne ha ricordato la figura assai ricca nonostante la brevissima vita e il compagno Eros Barone vi ha contribuito con una relazione tesa a definirne la formazione culturale e la scelta di vita. Volentieri la propongo qui (con un titolo più breve), perché si tratta di un percorso in qualche modo esemplare e illuminante e perché aiuta a comprendere la dialettica interna all'antifascismo a Genova e dintorni. (S.L.L.)
Una rara immagine di Giacomo Buranello
Se nella storia delle forze antifasciste il 1938 fu l’anno della passione per la Spagna repubblicana, della Cecoslovacchia, della conferenza di Monaco e della fine del Fronte Popolare di Léon Blum, nonché della promulgazione, in Italia, della legislazione razziale, nella storia dell’amicizia tra quattro giovani, che si chiamavano Giacomo Buranello, Walter Fillak, Ottavio Galeazzo e Orfeo Lazzaretti, il 1938 fu l’anno dei libri e della nascita delle rispettive biblioteche.
Buranello cominciò a scrivere il suo “Diario” nello stesso anno, facendone lo specchio fedele, da un lato, del confronto con gli amici e con la madre e, dall’altro, delle sue personali riflessioni sui libri che leggeva. Al centro di tali riflessioni vi era il problema delle scelte con cui si proponeva di dare un senso alla propria vita. «Voglio stabilire che cosa dev’essere un comunista, come deve comportarsi nella vita», diceva sovente ad Orfeo. Colpisce tuttavia il fatto che Buranello, studente di 15/16 anni, avesse già una propria formazione mentale che lo portava ad allargare la visione strettamente scolastica della conoscenza, a renderla vasta e complessa, ricercando in essa i motivi più universali. Quell’anno - il 1938 - fu topico anche perché le parole “comunismo” e “classe” acquistarono per questi giovani un significato preciso grazie alla convinzione di appartenere ad una realtà molto più ampia di un gruppo di amici: una realtà per designare la quale Buranello usava un’espressione tratta del lessico risorgimentale: “compagni di fede”.
Comunque fosse, erano ragazzi ricchi di intelligenza, di passione e di vita, e la fine dell’anno scolastico venne festeggiata, il 25 giugno 1938, con una gita al monte Leco. Nel “Diario” Buranello racconta che essa fu l’occasione per discutere su tutto: i fiori, i profumi, i «paesaggi resi più poetici dalla tenue nebbia», la religione. Nel gruppo – rilevò Buranello – erano rappresentate tutte le “classi”, dall’operaio, cioè lui stesso, considerando la sua origine famigliare, al ceto impiegatizio personificato da Orfeo Lazzeretti, dalle professioni liberali (Walter Fillak era figlio di un ingegnere) a Galeazzo, figlio per l’appunto di piccoli commercianti. Che la società fosse divisa in classi antagoniste questi giovani l’avevano imparato grazie ai libri che nei mesi precedenti avevano cercato, letto e discusso. A quella domanda sul senso della vita Buranello si era impegnato a rispondere cercando i propri modelli nei protagonisti dell’epopea risorgimentale e sviluppando analisi spietate, di carattere critico e autocritico, su sé stesso, sui suoi amici, sugli insegnanti e sul preside del liceo scientifico “Cassini”, dove si era diplomato con voti lusinghieri. L’influenza di Antonino Rossi, maestro di scuola elementare e fervente mazziniano di origine calabrese, aveva radicato nel suo animo l’insegnamento più importante del grande patriota genovese: il pensiero e l’azione devono fare tutt’uno e la politica è una missione. Tuttavia, come accade alle personalità caratterizzate, come quella di Buranello, da un’intelligenza straordinaria, per quanto forte potesse essere il prestigio educativo del suo maestro, altrettanto forte era lo spirito critico del suo allievo, se è vero, come è vero, quanto racconta lo stesso Rossi: «Un giorno, spiegando la geografia, dissi che l’equatore divide la Terra in due emisferi e aggiunsi la sua misura. Egli [cioè Buranello] mi domandò come avevano fatto a misurarlo. Gli risposi che era tardi e che avrei continuato la stessa lezione l’indomani». Tornando al periodo adolescenziale del liceo, per gli altri studenti del “Cassini” Giacomo, Walter, Ottavio e Orfeo erano “quelli di Sampierdarena”. Così, se nel centro di Genova i loro punti di riferimento erano la libreria Tolozzi e i banchetti dei libri usati di piazza Banchi, generatori delle rispettive biblioteche in case che mai le avevano possedute (eccezion fatta per quella di Fillak), a Sampierdarena, quartiere operaio per eccellenza, la catena degli scambi dei libri e delle appassionate discussioni sugli stessi trovava uno snodo fondamentale nella cucina di Domenica Bondi, la madre di Giacomo, il nume indigete della famiglia Buranello. In quella cucina umile e disadorna, senza che protagonisti e comprimari se ne rendessero conto, fu allestita una sorta di versione genovese del romanzo “La madre”, capolavoro letterario di Massimo Gorki. Domenica, donna dalla forte personalità, aveva sviluppato un rapporto talmente simbiotico con il figlio, che era giunta ad immedesimarsi nella parabola scolastica, ideologica e politica di Giacomo, studiando, imparando e crescendo con lui.
Dal canto suo, Buranello traeva dalle sue letture i materiali e le idee di un progetto sempre più preciso, la cui genesi era stata per lui, così come per i suoi amici, del tutto endogena (l’incontro con il Partito comunista, rappresentato dal ferroviere Emilio Guerra, avverrà successivamente). Il progetto consisteva in questo: guidare la lotta della classe operaia contro il potere borghese e capitalistico rappresentato dal fascismo. Il regime mussoliniano - scriveva nel “Diario”5 il 13 settembre 1938 - era una «enorme macchina fondata sulla paura di perdere il posto»: una macchina che si sarebbe «frantumata inevitabilmente» solo se qualcuno avesse alzato la testa e avesse dato l’esempio. “Dare l’esempio”: questo era il compito che Giacomo aveva scelto per sé e per assolvere il quale si esercitava a temprare il suo carattere. Accadde pertanto che nella cucina di Domenica Bondi in Buranello prendessero corpo e forma, attraverso le discussioni e le letture di brani delle loro opere, Jack London, Émile Zola, Antonio Labriola, Benedetto Croce, Charles Darwin, Niccolò Machiavelli, William Shakespeare, Alessandro Manzoni, Domenico Settembrini, Francesco De Sanctis, Anatole France e molti altri autori, fra i quali acquisteranno una crescente importanza, insieme con le edizioni prefasciste, le edizioni clandestine dei testi di Marx, Engels, Lenin e Stalin, tutti destinati ad imprimere un segno profondo nella formazione di Buranello e del nucleo studentesco comunista di Sampierdarena che gravitava attorno a lui. «Non ricordo che ci siano state proposte esperienze o che vi siano stati modelli risultati poi determinanti per la nostra formazione politica e culturale. Tutto era affidato all’amore per le letture.» Nella sua testimonianza, resa durante gli anni Novanta del secolo scorso, Ottavio Galeazzo confermerà ciò che con grande stupore aveva già scoperto, su incarico dell’OVRA, Alfredo Ingrassia, commissario dell’Ufficio politico della Questura di Genova, il quale aveva condotto le indagini sul “gruppo sovversivo degli studenti”: quelle indagini che, l’11 ottobre 1942, avevano portato all’arresto dello studente di ingegneria e sottotenente di complemento presso il 15º Reggimento Genio, Giacomo Buranello, di anni 21, figlio di Domenica Bondi, casalinga, e di Giuseppe Buranello, operaio Ansaldo. La scoperta nasceva dalla domanda che il commissario, incredulo e quasi esterrefatto, si era dovuto porre a mano a mano che riannodava tra di loro i molteplici fili della sua inchiesta: come era stato possibile che degli sbandati, con scarsi contatti tra loro, fossero stati capaci in tempi brevissimi di «riallacciare le fila del vecchio movimento comunista per ricostituirlo in una efficiente organizzazione»?
Fu durante il servizio militare prestato nel regio esercito a Chiavari, nel 1942, che Buranello diventò il capo. Ciò significava che era giunto il momento che egli aveva sempre intensamente voluto e ricercato: il momento di “tradurre i pensieri in azione”, per dirla con Mazzini, o di passare dalle “armi della critica alla critica delle armi”, per dirla con Marx, o, per ridare la parola a Buranello, «il momento di fare sul serio», laddove “fare sul serio” significava costituire il partito, l’organizzazione di partito». A questo proposito, vi è un aneddoto che illustra bene la determinazione e la sicurezza che Buranello aveva progressivamente maturato grazie alla sua formazione politica e ideale. L’aneddoto, che ci mostra i due amici e compagni nel corso del trasferimento da un carcere ad un altro carcere, è riferito ancora una volta da Ottavio Galeazzo. «Sul treno che ci portava ad Apuania successe che un brigadiere dei carabinieri, di quelli che si piccano un po’ di essere aperti, venne lì nel vagone e cominciò a chiacchierare. A me, che ero incatenato a Giacomo e testimone del colloquio, fece l’impressione di essere un uomo discretamente preparato. Uno dei carabinieri che aveva sentito dei brani di questa conversazione, quando il brigadiere andò via, venne da noi e disse: “Eh, ha studiato il brigadiere…”. E Giacomo: “Sì, ma non abbastanza”».
Date queste premesse, non è difficile comprendere che era praticamente inevitabile che si aprisse uno scontro, che non fu solo di carattere organizzativo, ma anche di carattere politico e strategico, fra il nucleo studentesco comunista di Buranello, sorto in modo autonomo, e le cellule clandestine del partito comunista, i cui rappresentanti storici erano, oltre ad Arturo Dellepiane, Emilio Guerra e Raffaele Paoletti. Per misurare la differenza tra le due compagini, è sufficiente considerare che il progetto di Buranello muoveva dall’assunto, dato per ovvio, che la guerra avrebbe segnato la fine del fascismo e dato origine in tempi brevi ad una situazione rivoluzionaria. Se la premessa era questa, la conseguenza che ne derivava logicamente era che occorreva creare subito una organizzazione di tipo militare. Nel giugno del 1942 Buranello scrive: «Premettiamo che la nostra organizzazione illegale è costruita per l’azione rivoluzionaria, violenta, militare. Perciò dev’essere un’organizzazione dinamica, un esercito di giovani pronti alla lotta. L’esperienza ci insegna che i vecchi comunisti immobilizzati dalla sorveglianza della polizia politica, o accasciati dalle persecuzioni, o demoralizzati e arrugginiti nell’inazione forzata, o fossilizzati nella vecchia mentalità del partito legale non potrebbero svolgere una attività adeguata nell’organizzazione illegale che si sta formando. Essi perciò devono raggrupparsi in margine all’organizzazione illegale, uniformarsi alle direttive di questa, aiutarla nella sua opera, svolgere una attiva propaganda individuale, cercare di formare dei nuovi comunisti, segnalarli ai compagni più giovani, dare il proprio contributo finanziario al Partito, ma non partecipare al lavoro illegale entro le organizzazioni del partito. Al momento dell’azione, quando la battaglia sarà in corso, quando attaccheremo direttamente e apertamente la polizia fascista, i vecchi comunisti potranno intervenire a fianco dei giovani e dare a questi l’aiuto prezioso della loro esperienza e della loro saggezza». Si potrebbe essere indotti a pensare, sulla base di un’analogia grossolana con l’attualità politica, che Buranello intendesse ‘rottamare’ la vecchia organizzazione di partito con una nuova organizzazione, ma in realtà non era in gioco un semplice avvicendamento anagrafico, ma un progetto rivoluzionario e un’egemonia ideologica. «Un uomo - chiariva Buranello – può essere giovane a cinquant’anni e vecchio a quaranta. Un uomo è giovane quando vuole esserlo». Il suo progetto evocava i requisiti anagrafici per escludere dalla nuova organizzazione il settore ‘storico’ dei militanti comunisti, ma era pronta ad accogliere quanti, al di là dell’età, si fossero pronunciati a favore della linea degli ‘studenti’, cioè della linea rivoluzionaria di Buranello. La divaricazione politica e strategica era evidente e il suggello fu posto con la gragnola di domande retoriche punteggianti la “Circolare sull’organizzazione” redatta da Buranello all’inizio dell’estate del 1942. Perché cercare complicate alleanze quando bastava rendersi «coscienti (…) di queste forze che sono in noi (…)» e usarle «con intelligenza rivoluzionaria» per l’unico scopo praticabile: «la dittatura del proletariato (…) la Repubblica dei Consigli di operai, contadini e soldati»? Per conseguire questo scopo, occorreva una organizzazione «composta esclusivamente di comunisti, diretta esclusivamente da comunisti, non inceppata da elementi estranei che all’ultimo momento paralizzino l’azione e compromettano le vittorie ottenute». Il momento favorevole era finalmente arrivato, anzi – prevedeva leninisticamente Buranello - «non ci sarà mai una occasione migliore». In conclusione, se Ruggero Zangrandi ci ha descritto “il lungo viaggio attraverso il fascismo” compiuto da una parte della sua generazione, si può dire che lo “studente Buranello” e i suoi compagni, che pure appartenevano alla stessa generazione, furono, in un ambiente proletario e popolare come quello del Ponente genovese, i protagonisti di un “breve viaggio attraverso il fascismo” che sfociò ben presto nell’adesione al comunismo e nel rifiuto globale e radicale del fascismo e delle sue mistificazioni. L’adesione al comunismo era nata dall’amore per la realtà, per la cultura e per l’umanità ed era maturata come espressione intellettuale e morale di un piccolo gruppo. Gli ‘studenti’ avevano infatti ricercato sia i comunisti che il comunismo, poiché ai loro occhi entrambi apparivano come la manifestazione concreta e più alta di quei sentimenti e di quegli ideali. Se il comunismo era stato scoperto sui libri e aveva preso forma attraverso la costruzione, faticosa non meno che appassionata, delle loro biblioteche, i comunisti avevano rivelato non solo il volto umano e cordiale della fraternità, ma anche quello settario e rinunciatario degli sconfitti. Ecco perché Buranello scoprì l’antidoto più potente a questi limiti e a queste deviazioni nella forma che al comunismo era stata data dal leninismo. La teoria del materialismo storico e la soggettività politica del ‘partito’ si saldarono così senza residui, nella sua personalità intellettuale, con l’ispirazione etica di stampo mazziniano e con la critica spietata della mancanza di spirito rivoluzionario da lui ravvisata in alcuni dei suoi compagni di cospirazione. Il “breve viaggio attraverso il fascismo” aveva dato luogo all’esperienza dell’antifascismo militante, sorta in modo del tutto autonomo, e quest’ultimo avrebbe costituito il prologo di quella lotta armata contro il fascismo che solo nella classe operaia poteva trovare la sua naturale avanguardia e nel socialismo il suo logico compimento, se si voleva evitare che, come disse Antonio Labriola del Risorgimento, anche la Resistenza restasse «una rivoluzione democratica non compiuta che ha lasciato il paese nella corruttela e nel pericolo permanente».


Dicembre 2014

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