31.12.14

Ottocento. Mani sporche sul parto (Franco Voltaggio)

La parabola di Ignác Fülöp Semmelweis,
il medico ungherese che scoprì,
nel policlinico della Vienna imperiale,
la causa dell'epidemia di morti post partum.

Erano i medici a diffondere
la febbre puerperale,
da donna a donna,
con le loro mani infette.
Non accettarono
la prova inconfutabile
della loro colpa
e «lo straniero» fu rimandato a casa
a morire di incomprensione e follia.
Ignác Fülöp Semmelweis
Vienna, una domenica del 1847. Una bella ragazza ormai prossima al parto varca la soglia del Policlinico («Allgemeines Krankenhaus») di Vienna per essere ricoverata nel reparto di ostetricia. E' angosciata. Ha tutte le ragioni per esserlo. Si è concessa su un bel prato a uno studente di filosofia e quando, dopo ripetuti incontri, ha scoperto di essere incinta e glielo ha detto, il ragazzo, accusandola di essere una sciocca sprovveduta, l'ha piantata. La giovane è messa male anche con suo padre. Il vecchio, tra l'altro dolorante per una vedovanza mal sopportata, ha accolto la notizia con una terribile sfuriata e, al suo rifiuto di rivelare il nome dello studente, l'ha scacciata. E' sola, è spaventata - un parto è, all'epoca, una faccenda difficile - ma continua ad essere assetata di una tenerezza che, d'altronde, continua ad essere disposta a donare per prima. Graziosa com'è, la povera figliola fa pensare alle parole di un lied in voga: «tu sei un foglio, un foglio bianco sul quale scrivono gli dei». Non sa che sul foglio non sarà scritta la sicura promessa di una vita felice, che ha tutto il diritto di attendersi, ma una sentenza di morte.

Comincia il calvario
Il reparto del Policlinico ha due settori, la I e la II Divisione; la seconda divisione è gestita da ostetriche e infermiere, la prima divisione dai medici ed è affollata da studenti di medicina che fanno pratica, frastornando le pazienti con domande imbarazzanti e frugando indiscretamente nelle loro parti intime. Insomma, la I Divisione ha una brutta fama e non solo per l'oggettiva brutalità con cui sono trattate le pazienti, ma anche per l'altissimo numero di decessi. Anche per quanto le ha detto Lisl, sua intima amica, la fanciulla lo sa e chiede d'essere accettata nella II Divisione. Niente da fare. Per una delle regole bislacche - che da sempre governano gli ospedali - viene accolta singhiozzante nella I Divisione. Comincia il calvario. Le prime ore sono occupate da visite ginecologiche, che le procurano una forte sofferenza fisica e la mettono a disagio, presto seguite dalle doglie. Finalmente il parto. Viene alla luce un bel maschietto che lei chiama Ferdinando, lo stesso nome del nonno e dell'imperatore. La sua felicità dura poco. Il decorso è talmente negativo da trasformarsi rapidamente in stato terminale. Muore infatti tre giorni dopo la nascita del bambino. Causa della morte: febbre puerperale.

Semmelweis alla I Divisione
Comincia così Il morbo dei dottori. La strana storia di Ignác Semmelweis, un libro straordinario di Sherwin B. Nuland, clinico americano della Yale University dove insegna storia della medicina e bioetica, assai noto anche in Italia - ha svolto diverse conferenze nell'ambito di Spoletoscienza, nel 1996 e nel 1998, e a Roma nell'Università Cattolica (2002), dove è atteso per un seminario (Leonardo, l'arte e la medicina») l'8 e il 9 novembre prossimo - soprattutto per una penetrante indagine sulla terminalità (Come moriamo: riflessioni sull'ultimo capitolo della vita, Mondadori 1994). Per molti versi, Il morbo dei dottori è una storia, tessuta con grande precisione e narrata con un'intensa partecipazione emotiva, di tre protagonisti, una sindrome morbosa, la febbre puerperale, la medicina, dilacerata tra ossequio alla tradizione e fermenti innovativi, e un medico, Semmelweis.
In tutti gli ospedali europei della metà dell'800, la mortalità tra le partorienti è elevatissima. Il sintomo caratteristico è una febbre talmente alta da dare il suo nome alla patologia, definita per l'appunto «febbre delle puerpere». Le procedure diagnostiche non riescono a identificarla con una malattia vera e propria come il tifo o la tubercolosi perché non è ancora accertata con sicurezza la causa. La ricerca delle cause (eziologia) oscilla tra almeno tre diverse ipotesi: a) i fluidi provenienti dall'utero dopo il parto possono non avere una libera fuoriuscita, ma stagnare, andando così incontro a putrefazione e, risalendo poi nei tessuti e nel sangue, provocare dolore, febbre e infine la morte; b) durante la gravidanza l'utero ingrossato, premendo sull'intestino, determina una stasi fecale con conseguente immissione nelle vene di veleni provenienti dalle feci; c) un agente esterno, con ogni probabilità identificabile nell'aria impura circolante nelle corsie in cui sono ospitate le donne, provoca un'epidemia che colpisce le partorienti all'utero, determinando la lochioschesi (ritenzione dei flussi). Le prime due ipotesi hanno qualche elemento di attendibilità e traggono origine da una messe di osservazioni che risalgono addirittura alla tradizione ippocratica, la terza è totalmente errata e nasce da un fraintendimento evidente. La febbre puerperale, comunque riconosciuta come un male infettivo, ha in effetti alcuni dei caratteri tipici dell'epidemia, come il grande numero dei soggetti colpiti e l'alto tasso di letalità, ma non ha quello più significativo, vale a dire il contagio, poiché le puerpere sono troppo isolate per venire a contatto diretto e infettarsi a vicenda. Resta l'incubo del morbo che, con le fantasie associate ai miasmi, fa della febbre puerperale una maligna e costante compagna delle partorienti ricoverate, tanto da chiamare in causa l'istituzione stessa e rendere la sindrome quella che oggi si direbbe una malattia iatrogena. La medicina pencola nel buio ed è essa stessa, per il dogmatismo e le passioni dei medici, una presenza incombente e perniciosa.
E' questa la situazione del reparto maternità del Policlinico di Vienna quando nel marzo del 1847 vi fa il suo ingresso il terzo protagonista, Ignác Semmelweis (1818-1865), con l'incarico biennale (eventualmente rinnovabile) di assistente di ostetricia del professor Klein. Nato a Pest (allora non ancora unificata con Buda), dove ha completato la formazione accademica, dopo esser stato per un anno a Vienna, Semmelweis si fa notare per il suo carattere aperto e il serissimo impegno professionale. Operativo nella I Divisione, alterna la corsia con lunghe ore nella sala anatomica dove compie perfette dissezioni delle donne decedute per febbre puerperale, studiando con attenzione i reperti del processo infettivo. Ossessionato dalla ricerca della causa, comincia a pensare che questa vada ricercata nel reparto stesso. E' rimasto colpito dal fatto che il numero dei decessi della II Divisione è decisamente inferiore a quello della I Divisione affidata ai dottori. Che siano proprio i medici, lui stesso compreso, a infettare le donne? Ma quale mai infezione trasmetterebbero? E' semplice: medici e studenti frugano nel corpo delle degenti con le stesse mani con cui hanno toccato i cadaveri delle donne morte di febbre puerperale. A poco a poco mette a punto una precisa teoria eziologica ed escogita un mezzo assai semplice per prevenire il male.Odore mortale
Ecco in sintesi la teoria: l'infezione è una contaminazione del sangue causata dalle particelle di cadavere, riconoscibili dall'odore che conferiscono ad ogni cosa cui si attaccano; il mezzo di trasmissione le mani dei dottori e degli studenti reduci dalla sala anatomica. Ed ecco la prevenzione: l'obbligo per chiunque - medici, studenti e infermiere - di lavarsi con cura le mani con una soluzione di cloro (già nel maggio del 1847 una bacinella con il disinfettante viene collocata, per ordine di Semmelweis, all'ingresso della I Divisione). Non sono però soltanto i cadaveri a costituire una fonte di infezione, ma qualsiasi altro materiale infetto. Nel novembre del 1847 la I Divisione accoglie una donna sotto doglie con l'articolazione del ginocchio infetta. Poco dopo, diverse pazienti muoiono colpite da febbre puerperale. L'infezione è stata trasmessa dalle infermiere che, prima di entrare in contatto con le altre pazienti, si erano occupate della puerpera con il ginocchio malato e, completato il bendaggio, avevano trascurato di lavarsi le mani. Finalmente tutta la verità, poi precisata assai più tardi, quando, a seguito della scoperta dei batteri da parte di Pasteur, comincia la grande stagione della batteriologia. L'agente patogeno isolato è uno streptococco. In definitiva la febbre del puerperio è: a) un comune processo infettivo (sepsi) evitabile con banali procedure antisettiche; b) non è una malattia specifica e, meno che mai, epidemica.

La verità e il potere
A Vienna l'importanza di queste ricerche cruciali non viene riconosciuta. Al contrario Semmelweis entra in rotta di collisione con il suo capo. Le ragioni sono molte. Semmelweis è in fondo un elemento estraneo. L'ungherese, impetuoso e indisciplinato come il pregiudizio viennese vede tutti i suoi connazionali, è avvertito come uno «straniero fra noi». Come se non bastasse, oltre a considerarne esplicitamente come sciocchezze le teorie eziologiche, il giovane medico offende Klein anche per le posizioni politiche assunte (Semmelweis è un nazionalista magiaro che partecipa con entusiasmo ai moti del Quarantotto, trascurando del tutto il fatto che Klein è un pupillo dell'onnipotente Metternich), ma, soprattutto, entra troppo direttamente nella gestione dell'ospedale: il lavaggio delle mani è considerata una novità offensiva, il cambio frequente e l'acquisto di lenzuola per le puerpere uno spreco intollerabile. L'incarico non gli viene rinnovato e Semmelweis è costretto a tornare a Pest dove lavorerà nella maternità dell'ospedale di San Rocco. Ma anche qui le cose non vanno bene: è considerato un «viennese» e la sua teoria incontra forti resistenze, aggravate dallo scarso tatto con cui impone le sue per altro correttissime regole.
A Pest, nel 1855, ottiene il posto di professore di ostetricia nella locale università, ma la cattedra gli viene sottratta e data a un suo rivale nel 1857. Nel frattempo, a 38 anni (un'età avanzata per quei tempi) si è sposato. Dopo il matrimonio comincia a pensare seriamente a pubblicare un libro sulla sua teoria. Esce così nel 1861 L'eziologia, il concetto e la profilassi della febbre puerperale. L'opera, sterminata, prolissa e ripetitiva, talvolta confusa, non giova affatto al suo autore, tanto più che lo stile fastidiosamente trionfalistico è accompagnato da un tono inopportunamente polemico. Di fatto il grande ricercatore aumenta la schiera dei suoi detrattori e assottiglia quella dei suoi estimatori. La sua salute comincia a declinare. Nei primi mesi del 1865, l'ultimo anno della sua vita, mostra evidenti segni di squilibrio mentale: fa discorsi sconclusionati, si masturba dopo un normale rapporto con la moglie, si mette a frequentare apertamente una prostituta. Dopo un episodio particolarmente sconcertante, avvenuto il 21 luglio, i familiari decidono di ricoverarlo in una casa di cura per alienati. Gli viene detto che verrà portato a Grafenburg dove gli saranno praticate cure termali. Il 29 luglio, accompagnato dallo zio materno parte col treno, ma giunto a Vienna il mattino successivo viene indotto a scendere alla stazione dove lo aspetta Hebra, uno dei suoi rari amici. Con una scusa Hebra e lo zio lo portano in un'istituzione psichiatrica. Ricoverato vi muore il 13 agosto. Causa ufficiale del decesso: una grave sepsi provocata dal taglio di un dito. Nuland, sulla scorta della sua ricostruzione, allude a un probabile trauma da colpi infertigli dagli infermieri e accenna al fatto che Semmelweis soffriva di una demenza presenile, probabilmente Alzheimer.
Questa la triste vicenda di uno scienziato eccezionale. Ma che cosa lo portò a questa fine? Le cause imputabili, il dolore per la scomparsa precoce dei genitori, l'ostilità dell'ambiente medico, l'isolamento a Vienna e in patria, sono tutte attendibili. Ma forse c'è qualcosa di più. Proprio in forza della suggestione in noi suscitata dalla lettura di Nuland, ci azzarderemmo a fare un'ipotesi: l'uomo che amava tanto le donne ed esaltava lo splendore della maternità (un sentimento forte in lui suscitato dal tenero affetto per la madre) si ammalò sino a morirne di un'infelicità scatenata dai sensi di colpa per la scomparsa di tante giovani madri. Dopo tutto, sino a quando non trovò la profilassi adeguata per la febbre puerperale, non aveva forse contribuito con i suoi colleghi della famigerata I Divisione I a trasmettere l'infezione fatale?


Il manifesto, 9 ottobre 2004

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