11.10.15

Sciascia. Un bilancio a un anno dalla morte (Massimo Onofri, 1990)

Tra il 1989 e il 1991 venne pubblicato il bimestrale “Liber”, che si proclamava “Rivista europea di libri”, le cui ambizioni continentali erano evidenti dalla denominazione e dal comitato di direzione multinazionale (direttore il francese Pierre Bordieu). Usciva in quattro lingue in abbinamento a giornali e riviste quali la “Frankfurter Allgemeine”, “L'Indice”, “Le Monde”, “El Pais”. Il numero di ottobre 1990 ricordava con tre articoli Leonardo Sciascia a un quasi un anno dalla sua morte. Quello qui “postato” è una sorta di bilancio dell'opera dello scrittore siciliano e del suo ruolo nella storia d'Italia. Gli altri erano dedicati alla “fortuna” di Sciascia in Spagna e in Francia. (S.L.L.)
Nel ’67 Sciascia scriveva: “È stato detto che nelle Parrocchie di Regalpetra sono contenuti tutti i temi che ho poi, in altri libri, variamente svolto... Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una lunga sconfitta della ragione”. La letteraria Regalpetra, ridisegnata sulla natia Racalmuto, veniva assunta come metafora di ogni luogo ove, nell’eclissi della ragione, non restava che far torto o patirlo. La storia di quel paese veniva così a rappresentare il primo momento di quell’ontologia del potere che avrebbe regolato la vasta folla dei personaggi futuri come bulloni, viti e chiavarde degli ingranaggi di una grande macchina inquisitoriale.
Le Parrocchie avevano la forza di un archetipo. In esse, infatti, trovarono radice quelle investigazioni storico-erudite, da Il Consiglio d'Egitto a La strega e il capitano, nelle quali, recuperando la lezione di Manzoni, Sciascia smascherava le atroci imposture di un passato mai passato. Sempre in esse trovò battesimo la greve materia di quei romanzi polizieschi, da Il giorno della civetta a Una storia semplice nei quali diceva d’aver introdotto il dramma pirandelliano, di quelle storie di mafia in cui un sistema di illeciti e criminosi interessi, inizialmente collocato in Sicilia, rilevava estese ramificazioni, nell’inesorabile salire a nord della linea delle palme. Alla storia come luogo della menzogna e dell’ingiustizia, Sciascia oppose soltanto l’ottimismo della scrittura. Prendeva corpo quell’utopia della letteratura chiamata a mettere ordine nel caos della vita, quel primato dello stile che distinse subito Sciascia dagli intellettuali impegnati sulla trincea del saggio-denuncia e dagli epigoni del neorealismo. Si manifestava quel peculiare modo di decifrare la realtà, nella guisa di una lunga divagazione o di un’intuizione fulminante, che sempre muoveva, per dirigersi a terra, da una costellazione di libri, nella frequentazione di diversi pianeti letterari, dalla Sicilia di Pirandello e Brancati alla Francia di Voltaire, Courier e Stendhal, dalla Spagna di Cervantes e Unamuno, fino alle Americhe di Hemingway e Borges.
La letteratura divenne presto, per Sciascia, la forma più assoluta che la verità potesse assumere. Il pamphlet s’incastrò sempre più con l’apologo, la ricostruzione precisa di un fatto di cronaca giudiziaria rivelò il disegno di una parabola, l’investigatore cedette all’inquisitore. I suoi libri, insomma, furono contemporaneamente i vari capitoli di una microfisica del potere, laica incarnazione del Maligno, e lucidissime allegorie della vita politica nazionale. Gli italiani vi si specchiarono e con grande riluttanza si riconobbero: di qui le aspre polemiche, il doloroso isolamento in cui talvolta Sciascia visse. Tutto iniziò con Il contesto.
Il romanzo, ambientato in un imprecisato paese sudamericano assai simile all’Italia, svolge una catena di delitti eccellenti nel raggelante scenario di una collusione tra partiti di governo e organizzazioni rivoluzionarie per il mantenimento dello statu quo: storia che, se gli costò l’accusa di anticomunismo, parve, anni dopo, un’inquietante profezia del “compromesso storico”. Con il tralignare della politica italiana in pasticciaccio, nell’incrudire di un pessimismo che a Diderot sostituì Montaigne e Pascal, la sua tesa scrittura si caricò degli equivoci riflessi di una realtà ormai sconvolta dal sistema clientelare e mafioso. I suoi gialli problematici si improntarono a quel gioco di multiple e parziali verità che era nelle cose. Fu il tempo di Todo modo, libro di coltissima tessitura, implacabile processo a un’Italia democristiana ove la giustizia è impossibile. Venne poi Candido, amarissima satira di un paese in mano a due grandi chiese, la cattolica e la comunista, nell'allarmata constatazione del confluire dell'uno nell’altro dogma. Infine lo straziante Affaire Moro, ove si intona una dolorosa meditazione sulla “passione” del politico democristiano, simbolo di tutte le vittime del mondo, immolato sull’altare di uno stato fantasmagorico e inesistente, quale quello attaccato con ferocia visionaria dalle Brigate rosse, o difeso con stolido e quasi unanime zelo dalle forze di governo e dai partiti di opposizione.
Negli ultimi anni, lontanissimo dal rosso e nero di ogni ideologia, di contro a una realtà che dileguava in metafisici vapori si tenne a una strenua e inflessibile difesa del diritto. Accanto ad alcune detective stories, quali Il cavaliere e la morte e Una storia semplice, percorse da cupe riflessioni autobiografiche e da brividi religiosi, apparvero le pagine dedicate alla pena di morte del racconto A porte aperte. Sempre più presente nel dibattito politico nazionale, le sue infiammate requisitorie morali e civili bruciano ancora nelle belle pagine del suo ultimissimo libro, A futura memoria.
Comunque lo si giudicherà, resta incontestabile il fatto che Sciascia, attraverso le sue letteratissime metafore, ogni volta facendo parte per se stesso, fu il sensibile sismografo della nostra società. Dall’estrema punta meridionale del continente, egli fu, insieme con De Roberto, Pirandello, Borgese, Brancati, Tornasi di Lampedusa, uno di quegli scrittori che affidarono alle loro pagine un senso, se non il senso, di una storia d’Italia.


Liber, Anno II n.3 Ottobre 1990

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