14.8.18

1952. Il XIX congresso del PCUS e l'ultimo intervento pubblico di Stalin (Luciano Canfora)


Il XIX congresso del Partito comunista sovietico fu celebrato nell’ottobre del 1952, con Stalin ancora vivo.
Nella ritualità dei congressi di partito c’è sempre un messaggio nascosto, quale che sia il partito, in quella dei congressi dei partiti comunisti questi significati impliciti erano ancora più importanti, eloquenti, ma anche criptici, simbolici. C’era tutta una presentazione scenografica del personale politico in cui tutto, a cominciare dall’ordine nel quale avvenivano gli interventi, significava sempre qualcosa.
Il XIX congresso del Partito comunista sovietico, il primo che si celebrava dopo la fine della guerra nel '45, vide una novità molto significativa: non ci fu il rapporto politico di Stalin, segretario generale del partito, che di norma costituisce l’architrave di un congresso. Lo fece al suo posto un dirigente che fino ad allora non era stato in primissima linea e che evidentemente veniva così indicato da Stalin come suo successore, cioè Georgij Maksimilianovic Malenkov, il quale pronunciò un torrenziale discorso di apertura del congresso tracciando la storia degli anni successivi alla vittoria nella guerra, e soprattutto presentando il bilancio delle difficoltà economiche con cui si scontrava la ricostruzione dell’Unione Sovietica.
Insomma, tutti capirono che Malenkov era il nuovo astro nascente della politica sovietica. Stalin si limitò a parlare soltanto alla fine, con un breve intervento, quasi un saluto al congresso, che fece epoca. Siamo soliti pensare agli anni del dopoguerra come ad anni di tensione con la nascita del Cominform e la spinta dei partiti comunisti dell’Europa occidentale a radicalizzare le loro posizioni, ad essere più rigidi, più aggressivi. In controtendenza, Stalin pronunciò parole che parvero totalmente difformi da una tale impostazione.
Il breve intervento che Stalin fece per salutare il XIX congresso e commentare la situazione mondiale forniva direttive essenziali che si possono dividere in due ambiti concettuali. Da un lato, osservò, per l’Unione Sovietica era assolutamente indispensabile l’appoggio da parte di tutto il movimento comunista, sia dei paesi diventati socialisti che dei partiti comunisti occidentali all’opposizione. Una sorta di chiamata a raccolta intorno all’epicentro del sistema socialista. Questo è abbastanza tradizionale. Quello che invece sconcertò e parve una vera novità, e certamente lo era, fu l’appello ai partiti comunisti occidentali a non arroccarsi in posizioni settarie bensì ad abbracciare, per così dire, le parole d’ordine tradizionali della sinistra democratica, non comunista. Ebbe tra l’altro a dire Stalin: «Un tempo la borghesia si permetteva di fare del liberalismo, difendeva le libertà democratico-borghesi, e in tal modo si creava una sua popolarità. Oggi del liberalismo non è rimasta traccia, non vi è più libertà individuale e i diritti della persona sono riconosciuti solo a chi possiede il capitale. Tutti gli altri sono considerati grezzo materiale umano, adatto ad essere sfruttato. Viene calpestato il principio dell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle nazioni, esso è sostituito dal principio dei pieni diritti solo per la minoranza degli sfruttatori e della mancanza di diritti per gli sfruttati. La bandiera delle libertà democratico-borghesi la borghesia l’ha buttata a mare. Io penso», concludeva Stalin «che tocca a voi, rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, risollevarla e portarla avanti se volete raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo».
Questa formulazione era, in sostanza, il riconoscimento della giustezza della linea politica di larghe alleanze con forze diverse, avente per obbiettivo le grandi riforme strutturali. Era la linea che i comunisti italiani, in particolare, avevano mantenuto e praticato nonostante la formazione del Cominform e i rimproveri che in sede di Cominform venivano rivolti loro per essere troppo parlamentaristici. Per loro fu un grande riconoscimento il fatto che il massimo dirigente del comunismo mondiale si accorgesse che quella era la linea più produttiva. Ed è importante anche che nelle parole che Stalin pronuncia ci sia, proprio in conclusione, questo riferimento alle libertà democratico-borghesi, le libertà civili e i diritti individuali, che vengono calpestati in Occidente in omaggio al principio del profitto e alla legge de più forte. Secondo Stalin queste libertà devono diventare un elemento centrale della lotta politica che i comunisti conducono insieme con altri partiti democratici di varia estrazione, per conseguire «la maggioranza del popolo».
Questa formula significa molto chiaramente che le scorciatoie per il potere, che possono essere definite anche rivoluzione, colpo di stato, ricorso alla violenza, venivano da quel momento accantonate e considerate una via sbagliata. La via giusta era quella di conseguire «la maggioranza del popolo», cioè ottenerne il consenso. Nel suo ultimo intervento pubblico di partito Stalin raccomandava questo.
Naturalmente la visione che ho cercato di far emergere qui, del chiaroscuro che caratterizza il mondo comunista all’inizio degli anni Cinquanta, va arricchita di ulteriori sfumature. C’era stata la rottura con Tito, e questo aveva determinato una dura spinta repressiva verso tutti i gruppi interni ai vari partiti comunisti che simpatizzassero per lui. Era stata lanciata una campagna contro il nazionalismo, indicandosi appunto in Tito e nella vicenda jugoslava una esperienza da condannare. Per altro verso c’era stata, da parte sovietica, una forte propensione a sostenere e difendere lo Stato di Israele, nato per decisione delle Nazioni Unite, su iniziativa americana e sovietica, contro 1 opposizione inglese. Questo aveva provocato una guerra, la prima guerra arabo-israeliana del 48, in cui i sovietici armavano attraverso la Cecoslovacchia gli israeliani mentre gli inglesi armavano l'Egitto e la Giordania. Quando, però, i rapporti internazionali cominciano a cambiare, e Israele si pone in una posizione equidistante fra i due blocchi o addirittura comincia a guardare ad, Occidente, all’interno dell’Unione Sovietica c’è una stretta che colpisce la comunità ebraica, molti dei cui componenti tentano di emigrare in Israele.
Il famigerato processo dei medici che dopo la morte di Stalin venne sconfessato perché infondato nelle sue stesse premesse è un episodio sintomatico di questo clima.
Insomma, molti aspetti contrastanti si intrecciavano fra di loro. Abbiamo considerato prima le parole pronunciate da Stalin nell'ottobre 52, di apertura verso le formazioni democratiche di altra ispirazione, ma non si deve dimenticare, quando si ricostruisce questo chiaroscuro, una sorta di contraddittorietà della politica di Stalin negli ultimi anni della sua vita. C’è però un punto fermo in tutto l’ultimo periodo ed è la riluttanza ad accettare la cristallizzazione dei due blocchi attraverso la divisione della Germania.
In questa situazione di spinte che vanno in diverse direzioni, Stalin muore il 5 marzo del 1953.

da 1956. L'anno spartiacque, Sellerio 2008

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