26.9.14

Gli ultimi giorni di Cartagine (Clara Valenziano)

Il porto di Cartagine - Ricostruzione
La collina si chiama Byrsa. E' l'antica acropoli di Cartagine. Da un lato degrada verso il mare (i due piccoli stagni, laggiù lungo la riva, sono i famosi porti punici); dal lato opposto è isolata da lagune. In fondo alla laguna più grande c'è Tunisi, bianca. Da Tunisi si arriva a Cartagine lungo una sottile striscia di terra in mezzo alle acque basse, che sanno lievemente di marcio e sono popolate di fenicotteri. Su questa collina gli archeologi francesi hanno ricercato a lungo la massiccia cinta di mura interne, poste a difesa della rocca, e il tempio aereo del dio Eschmun, al quale si arrivava - dicono gli scrittori che visitarono la città alla vigilia della sua caduta - salendo sessanta ripidi gradini, e dove, nel 146 a.C., si svolse l' ultimo atto della tragedia di Cartagine.
Ora, a scavi ultimati, ecco il responso degli studiosi francesi: non rimane più niente dei monumenti dell'antica acropoli cartaginese, perché i romani, quando ricostruirono la città, ne decapitarono la vetta, la spianarono per formare un largo terrazzamento su cui erigere, secondo l'usanza romana, un vasto foro e un'imponente basilica (il foro si trova in buona parte sotto la chiesa costruita in onore del re francese Luigi IX, che morì qui, nel 1270, durante una crociata. La basilica è stata riportata alla luce).
In compenso, la terra rimossa dalla vetta, usata per ampliare i fianchi della collina, ha sotterrato e protetto un intero quartiere punico che gli archeologi francesi hanno appena finito di scavare. E' un quartiere di strade strette e di piccole case a molti piani, addossate le une alle altre. Un robusto muro di fondazione di un edificio romano, che in parte l' attraversa, oggi fa quasi da belvedere sulla voragine del riemerso quartiere dei vinti.
Da qui, alzando gli occhi verso il mare, si domina lo scenario in cui si svolse il dramma finale di Cartagine, che ebbe un testimone d'eccezione: lo storico Polibio, il quale si trovava al seguito di Scipione l'Emiliano. Quando, nel 149, Roma dichiarò per la terza volta guerra a Cartagine, la città non si fece la minima illusione e offrì immediatamente la resa. I romani chiesero in ostaggio i bambini delle famiglie più in vista. Gli ostaggi vennero consegnati. Poi venne la seconda richiesta: la città doveva essere disarmata. Le armi vennero consegnate. Infine arrivò l'ordine sleale e crudele: i cartaginesi dovevano abbandonare la città, Cartagine sarebbe stata rasa al suolo. A questo annuncio, pazzi di rabbia, i cartaginesi si ribellarono: uccisero gli ambasciatori romani e anche i magistrati locali che avevano consigliato di consegnare ostaggi e armi; chiusero le porte; si barricarono dietro le mura e resistettero per tre lunghi anni.
La situazione si era ormai fatta imbarazzante per Roma che, nel 146, inviò sul posto Scipione l'Emiliano. Questi rafforzò l'assedio dalla parte delle lagune e del mare e isolò completamente la città: fame e malattie cominciarono ad aprire grandi vuoti tra i difensori. Alla fine di marzo, Scipione ruppe le difese cartaginesi dalla parte più debole: le mura che proteggevano il porto. Ci vollero tuttavia sei giorni di aspri combattimenti, casa per casa (anche nel quartiere che sta qui sotto) prima che i romani riuscissero ad arrivare alla cittadella. Nell'acropoli si erano rifugiate circa 50.000 persone; un numeroso gruppo stava nel tempio. Quando questi videro i primi soldati romani ai piedi della scalinata, dettero fuoco al tempio e si lasciarono morire tra le fiamme. Gli abitanti furono fatti schiavi, la città saccheggiata e incendiata. Racconta Polibio che Scipione recitò i versi di Omero sull' incendio di Troia e pianse "pensando al giorno in cui anche per Roma sarebbe suonata l' ora della morte". Avverto un leggero risentimento nella voce dell'archeologo Abdelmajid Ennabli, il giovane direttore degli scavi di Cartagine che ha rievocato per me il racconto di Polibio. Allora colgo un rametto fiorito di hennè e glielo porgo. Pace fatta tra romani e cartaginesi? Ma sì, certamente; anzi ora Ennabli mi mostrerà la scoperta che più gratifica il suo orgoglio di "punico immaginario", la più importante di questo ciclo di scavi affidati ad archeologi stranieri: il mistero del porto di Cartagine è stato risolto.
Scendiamo lungo la collina e andiamo agli stagni, che sono due e contigui; uno di forma irregolarmente rettangolare, l' altro rotondo, con al centro una piccola isola. Il mistero consisteva in questo: il porto cartaginese era così famoso nell' antichità, che è stato descritto minuziosamente da molti viaggiatori antichi. Ciononostante - o anzi proprio per questo - la sua identificazione con gli stagni non convinceva del tutto gli archeologi. La descrizione più dettagliata è quella di Appiano, il quale dice che i porti erano due - l' uno dentro l' altro - ed erano invisibili dal mare perché nascosti da un alto muro. Fin qui tutto corrisponde: i due porti erano stati ottenuti attrezzando i due stagni lungo il litorale e c' è ancora, molto sbertucciato, il muro che corre parallelamente alla linea della costa: le navi giravano intorno a un isolotto ed entravano nella laguna, poi con un' altra virata entravano nel primo porto, quello commerciale. Di qui passavano nel secondo porto, quello militare, un bacino perfettamente circolare dove sorgeva un' isola che era la sede dell' ammiragliato. Ma Appiano precisa: "Lungo le banchine dell'isola e del porto militare erano state costruite 220 cale, ognuna delle quali poteva contenere una nave da guerra". Qui si presenta una difficoltà: lo stagno è troppo piccolo, 220 cale e altrettante navi non ci potevano fisicamente stare. E poi, possibile che fosse così piccolo il porto militare del popolo la cui flotta aveva terrorizzato i romani per la sua capacità, al momento dell'attacco, di infilarsi tra una nave romana e l'altra, fare un'improvvisa semiconversione e sfondare le fiancate avversarie?
E' stato lo scavo dell' èquipe inglese guidata dall' archeologo Henry Hurst a risolvere il mistero. Hurst aveva cominciato ad avere i primi sospetti su come realmente stessero le cose quando, nel rimuovere la terra dell'isola, aveva trovato migliaia di monoliti delle dimensioni di robuste travi. Poi, scavando in profondità, ha avuto un vero colpo di fortuna: ha trovato una cala, cioè un piano inclinato di pietra per mettere le navi in secco, in perfetto stato di conservazione. Allora tutto è diventato chiaro: non si trattava di moli in mezzo al porto, ma di scivoli costruiti sotto l'isola, che era una costruzione artificiale fatta - in modo molto ingegnoso - con un sistema di pilastri paragonabili alle nostre colonne di cemento armato. Al livello dell'acqua, tra una foresta di pilastri, c'erano le cale, una accanto all'altra e convergenti verso il centro dell'isola. Sopra, al primo piano, sorgevano i magazzini, e sopra ancora, ma al centro dell' isola, c'era la torre dell'ammiraglio che, da quell'altezza poteva sorvegliare il traffico sul mare e il movimento del porto commerciale.
Così si spiega anche un altro particolare riferito da Appiano: davanti ad ogni cala c'erano due colonne ioniche che davano al porto l'aspetto di un monumentale porticato. Era, insomma, un porto che riusciva a inzeppare, come un moderno garage di automobili, centinaia di navi da guerra nelle sue rimesse e che, ciononostante, aveva un'aria ordinatissima. Proprio come raccontano, ammirati, i viaggiatori antichi. A poche decine di metri dal porto, c' è il famoso tophet, il più antico cimitero cartaginese dove sono raccolte le ceneri dei primogeniti sacrificati al dio Baal. Qui, infatti, attorno a questi stagni, si erano insediati i primi fenici arrivati da Tiro. Colpisce la somiglianza con Mozia e con Cadice: anche qui un luogo poco visibile dal mare e separato e protetto dalle popolazioni interne, un tranquillo scalo per i ricchissimi commerci dei metalli delle miniere d'argento spagnolo che i punici trasportavano nelle prospere città del Mediterraneo orientale. Sulla costa africana, spagnola, siciliana, sarda, ci sono decine di posti poco appariscenti come questo, dove, tremila anni fa, la colonizzazione fenicia e quella contemporanea dei greci, dava inizio alla storia europea.

la Repubblica, 4 agosto 1984

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