Alla partenza per la
spedizione in Asia con un esercito di circa cinquantamila uomini -
racconta Plutarco - Alessandro aveva risorse limitatissime; prima di
partire però si preoccupò di distribuire, fra gli amici che
restavano in patria o che partivano con lui, quasi tutti i beni del
suo tesoro regale - terreni e rendite - come risarcimento preventivo
dell'incerta campagna. All'amico Perdicca che gli chiedeva che cosa
tenesse per sé, Alessandro rispose: le speranze. La speranza
trascina Alessandro a tagliarsi tutti i ponti alla spalle, a spostare
sempre più avanti la linea del suo orizzonte: non sa fermarsi, non
può considerare nessuna tappa, nessuna impresa, come l'ultima della
sua avventura.
Ossessione della gloria:
come notava Santo Mazzarino, è Alessandro stesso che investe la sua
vita e le sue gesta nella costruzione del suo mito. Molto prima di
immaginare fin dove arriveranno le sue conquiste, si porta appresso
una corte di archivisti, cronisti e storici, testimoni e poeti:
perché crede poco alla realtà obiettiva degli eventi, ma soltanto
alla durata della loro narrazione. Il mito di Alessandro eccede dalla
narrazione della storia che non può contenere in forma le
contraddizioni e le speranze - largamente extrastoriche - del
personaggio. La gloria di Alessandro fiorisce (forse come lui stesso
avrebbe sperato) al di fuori - e in parte contro – i testi più
specificamente storici, diventando ben presto un grande mito politico
e letterario: documenti veri e falsi si intrecciano alle tradizioni
orali, agli aneddoti sulle incredibili qualità fisiche e morali di
Alessandro, alle memorie favolose dei reduci tornali a raccontare le
meraviglie dell'Oriente: altre luci, altri spazi, altri colori.
L'effetto sul reale delle effimere conquiste sarà, soprattutto, un
«secondario»: l'ideale cosmocratico avrà un influsso metastorico
fondamentale per tutta l'età ellenistico-romana, al punto che tutta
la storia costituzionale dell'Impero Romano e le singole vicende dei
suoi principes (l'iconografia imperiale, le interminabili
gierre contro i Parti «nuovi persiani») potrebbe essere
proficuamente letta nella chiave dell'imitatio Alexandri. E
nel frattempo, con il consolidarsi del mito, l'immagine di Alessandro
acquista un valore magico, oltre che simbolico. Mito culturale,
archetipo politico, talismano religioso: la superstizione resiste per
secoli, e sopravvive anche all'avvento del Cristianesimo. Alla fine
del IV secolo Giovanni Crisostomo ammonisce i cristiani di Antiochia
a non portare più al collo e alle caviglie amuleti con l'immagine di
Alessandro; l'ultimo tempio dedicato ad Alessandro fu chiuso nel VI
secolo da Giustiniano e sostituito con un tempio dedicato alla
Madonna.
Ma l'Alessandro del mito
sopravvive attraverso il Medioevo: una fortuna straordinaria hanno
infatti le diverse versioni del Romanzo di Alessandro. La data
della prima compilazione di quest'opera è incerta ma, almeno per una
parte dei materiali che confluiscono nella composizione, andrà
collocata a una cronologia alta, fra il III e il II secolo a.C., a
ridosso dell'impresa storica di Alessandro. Le redazioni greche del
Romanzo attribuite allo storico Callistene, nipote di
Aristotele, a Esopo, allo stesso Aristotele, si incrociano con la
versione latina del IV secolo d.C. di Giulio Valerio, da cui viene
tratta nel IX secolo un Epitome, con falsi lardo-antichi e
medievali come il Testamento di Alessandro, e la Lettera ad
Aristotele sulle meraviglie dell'India, la Collatio Alexandri
cum Dindimo (che nel Romanzo è Dandame, il capo dei
brahmani gymnosofisti). Il testo di passaggio tra le versioni antiche
e quelle medievali è la versione latina da una redazione bizantina
del X secolo dell'Arciprete Leo - conosciuta come Historia de
Preliis.
A partire da questo
ritorno del testo in Occidente il Romanzo è, come è stato
notato, il testo che «di tutte le tradizioni uscite dall'antichità
greco-romana (fatta eccezione per il Nuovo Testamento) ha avuto la
più importante diffusione nel tempo e nello spiazio».
Infinite sono, fino al XV
secolo in area occidentale, e anche oltre in area orientale, le
redazioni, traduzioni, riduzioni, i rifacimenti della leggenda. Nelle
prime versioni medievali alla metà del XII secolo compare, in forma
«moralizzata» la figura di Alessandro cavaliere-paladino, prototipo
del monarca sapiente e valoroso, spinto ai confini del mondo per dar
prova delle sue eccezionali virtù cavalleresche, ma anche per
inverare un disegno voluto dalla Divina Provvidenza. Così le
redazioni volgari del Romanzo in francese, tedesco, spagnolo,
entrano nei cicli epici delle Chansons des gestes insieme alle
varie redazioni del Romanzo di Troia, del Romanzo di Tebe,
del Romanzo di Enea e gli eroi pagani entrano nelle
biblioteche e negli arredamenti (sotto forma di affreschi o arazzi)
di tutte le corti, a costituire il modello antico della nuova etica
cavalleresca.
La fioritura della
leggenda di Alessandro (e la sua fortuna iconografica) ha una data di
morte. Nel 1438 l'umanista Pier Candido Decembrio volge in volgare la
Vita di Alessandro di Curzio Rufo: quella «storia», insieme
alla biografia plularchea, e al testo di Arriano (che presto verrà
riscoperto) viene considerata la «vera» storia di Alessandro: da un
punto di vista umanista, il recupero delle fonti «classiche» fa
piazza pulita delle versioni leggendarie (considerate, a torto, tutte
medievali) e si ricostruisce una biografia più seria e attendibile,
l'unica a cui si riconosce l'autorevolezza dell'antichità.
Dalla fine del
Quattrocento, comunque, nella letteratura e nell'iconografia la
storia di Alessandro si disincanta, il suo mito, a poco a poco, si
sfata. In campo artistico egli viene denudalo delle vesti medievali o
«moderne» con cui compariva nelle pitture e negli arazzi. Nella
pittura rinascimentale matura e fino a tutto il Settecento il Re
Macedone verrà rivestito di vesti «antiche» e ritratto non più
negli episodi della sua leggenda, ma come condottiero alla testa dei
suoi eserciti nelle grandiose battaglie, o in alcuni episodi
aneddotici tratti da I.uciano, Plinio o da Plutarco, che diventano
topici esempi di magnanimità regale. L'Alessandro della leggenda,
dunque, per molti secoli scompare quasi completamente dall'orizzonte
culturale della letteratura e dell'arte occidentale. Dopo la
riscoperta storica di Droysen, l'inventore del termine «ellenismo»,
alla fine del secolo scorso Giovanni Pascoli dedicava all'eroe «dagli
occhi di diverso colore» una poemetto - l'Alexandros - che
gronda di lamentosa retorica tardo-romantica, ma ha il merito di
recuperare alla letteratura un'immagine di Alessandro meno rigida e
antipatica di quella restituita dai manuali scolastici. Sul piano
della ricerca filologica il recupero dell'Alessandro perduto prende
avvio alla metà del Novecento dai fondamentali studi di Rheinold
Merkelbach sulle fonti del Romanzo, ricomincia a farsi strada,
anche nel campo degli studi, un interesse crescente per i testi
letterari e iconografici che compongono la figura del re leggendario
arrivato ai confini del mondo. In ambito accademico si segnalano a
partire dagli anni ottanta le pubblicazioni di Lorenzo Braccesi e
della sua scuola sui vari «ultimo Alessandro» nelle tradizioni
occidentali e, più di recente, alcune pregevoli pubblicazioni in
facsimile di manoscritti medievali. Il mito di Alessandro diventa
protagonista di ambiziosi progetti editoriali: alle innumerevoli
storie di Alessandro in Occidente e in Oriente è dedicato il
progetto monumentale della Fondazione Valla/Mondadori, per la quale
sono apparsi sinora Alessandro nel Medioevo occidentale (1997)
e le Storie di Alessandro Magno di Curzio Rufo in dieci Libri,
col testo critico a fronte (il secondo dei due volumi, con commento
scientifico di J. E. Atkinson e la traduzione di Tristano Gargiulo, è
uscito quest'anno).
Ma è negli ultimi
decenni di questo secolo che il fantasma di Alessandro sembra
riacquistare la sua lucentezza, ancora carico di tutta l'energia del
mito. Specie dopo il fortunato ritrovamento delle tombe macedoni nel
palazzo reale di Verghina, in Macedonia, si rinnova l'interesse per i
reperti alessandrini, in mostre archeologiche lanciate come eventi di
largo richiamo (tale è stata Alessandro Magno. Storia e mito,
organizzata a Palazzo Ruspoli a Roma dalla Fondazione Memmo, tra il
1995e il '96). Ma non solo. Se l'Alessandro fiabesco - figura del
coraggio e dell'avventura - non era mai scomparso nella tradizione
orale delle fiabe e nel folklore greco e mediterraneo, ricompare ora
in canzoni popolari. Ad Alessandro, alle sue paure e al suo
sfondamento dell'orizzonte, dedica il testo di una canzone - un po'
troppo «pascoliano» e intriso di malinconia lardo-romantica - il
cantautore Roberto Vecchioni, Alessandro e il mare (1992).
Anche nella letteratura neo-prosopografica Alessandro ritorna
protagonista. Una buona risposta del pubblico di lingua inglese ha
avuto la trilogia della scrittrice Mary Renault, che abilmente
sfrutta e amplifica la traccia narrativa degli amori di Alessandro,
giocando implicitamente sul riferimento alle Memorie di Adriano di
Marguerite Yourcenar: proprio ad Antinoo si ispira il
|personaggio di Bagoa, protagonista di The Persian boy,
l'unico volume della serie tradotto in italiano (Il ragazzo
persiano, Milano 1985). Notevole anche il successo di pubblico di
lingua tedesca della biografia romanzata di Gisbert Haes, Alexander
(Zurich 1992, Munchen 1994). Recentemente, con un grosso investimento
nel lancio pubblicitario, è stata proposta da Mondadori in edizione
popolare una serie di romanzi, dall'infanzia alla morte di
Alessandro, che hanno avuto un ampio lancio anche televisivo e un
ottimo successo di pubblico: Valerio Massimo Manfredi, Alexandros.
Il figlio del sogno. Di tutt'altro livello, per il pregio di
scrittura, per il soggetto e per il taglio narrativo, era stato il
racconto di Amo Schmidt (1959) sull'avvelenamento di Alessandro da
parte di Aristotele, tradotto anche in italiano: Alessandro o
della verità (Torino, 1965).
E proprio a quegli anni,
in cui non si era ancora inaugurata la moda di Alessandro, sono da
ascrivere le pagine poetiche dedicate all'eroe da Giorgio Colli. Così
in La Ragione errabonda, fra gli appunti e gli aforismi,
troviamo questi suoi versi straordinari: Ares infiamma il mio
sangue / distillando immagini convulse // [...] / Piombo fuso è
l'acqua dell'Eufrate /si tuffa il sole nel fiume //fugge la luce dal
mio sguardo // [...] / Tintinnerà l'aureo pendaglio / sulle gambe
delle schiave / domani, nel silenzio / del corteo funebre, / se
Dioniso avrà sciolto l'affanno / dal mìo corpo, inutile ormai, / e
profumi dell'India / si leveranno dal rogo / sulle calde onde
dell'Eufrate. / Quello che ho visto morirà con me. [...].
Così attraverso i secoli
di una lunga storia ricompare l'Alessandro del mito e la sua voce è,
nuovamente, quella dell'ansia, della sete tutta filosofica
dell'altrove, della cerca infinita. Ma il valore più alto cui egli
tendeva - la risonanza del nome trasmessa nei millenni nonostante le
lunghe pause silenti della storia - è, come voleva, ancora
immortale.
alias-il manifesto, 2 dicembre 2000
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