In occasione della trasmissione di un Milione televisivo
con la regia di Giuliano Montaldo, “l'Espresso”, estraendolo
dal trattamento di un progettato film su Marco Polo che Italo Calvino
aveva scritto per la Vides, pubblicò l'episodio che qui riprendo. Il
fascino è quello delle Fiabe italiane o della riscrittura in
prosa del Furioso: la luminosa esattezza dello stile dà più
forza all'oscuro intrico di casualità e di inspiegabili pulsioni che
avvolge l'umana esistenza. Il titolo è mio; quello a suo tempo
ideato dal titolista del patinato settimanale (Alla corte del Gran
Can sedusse la Gran Cagna) mi pare una schifezza: oltre ad essere
costruito su un gioco di parole volgare e scontato, è del tutto
inadeguato al contenuto del “pezzo”. (S.L.L.)
Marco a cavallo, solo,
entra in una città tartara. Scende una locanda. Mangiando interroga
il locandiere sul traffico che si vede in città.
— Non sa, signore?
Oggi è giorno di torneo... Nuovo torneo con questa nostra
principessa... — e sospira — quanti se ne è fatti! e ancora
questo sposo non si è trovato! Figuriamoci: chi le tiene testa?
— Che principessa? e
cos'è questa storia dei tornei?
— Come? Non sapete? La
principessa Agaruk, la figlia di re Caidu, il nostro re! Una ragazza
cresciuta con le armi indosso fin da quando era bambina! Sempre negli
accampamenti coi tartari, e in tutte le battaglie, chi c'era in prima
linea? Lei! Adesso sarebbe proprio tempo di darle marito! Basta si
decidesse, avrebbe ai piedi tutti i re, i principi. Macché! Si è
messa in testa che sposerà soltanto il cavaliere che uscirà a
disarcionarla in un torneo! E chi si prova e perde deve lasciare una
posta di cento cavalli. A questo modo, si è fatta una mandria di
cavalli che basterebbe per tutta un'armata.
La principessa Agaruk
intanto sta pascolando i suoi cavalli che sono centinaia e centinaia.
E' una ragazza bellissima ma di proporzioni gigantesche, con un'aria
proterva, capelli che le cadono sugli occhi. Veste alla foggia dei
tartari, panni maschili. Con una frusta fa andare i cavalli.
Il re Caidu sta
parlandole affacciato alla staccionata dello stabbio. — Questa
volta è proprio l'occasione che tu ti lasci vincere, Agaruk. Il re
del Pamir è un potente sovrano, un giovane valoroso, e innamorato
pazzo di te. Non avrai l'occasione migliore, ne sono sicuro!
Agaruk non si volta
nemmeno, sempre schioccando la sua frusta. — Che mi vinca, se è
valoroso. Se mi disarcionerà sarò sua sposa, è convenuto, no? Ma
scommetto che lo farò saltar di sella come fosse un biscottino!
Da un'altra parte della
staccionata è affacciata la madre, la regina. — Agaruk, perché ti
intesti così? Il re del Pamir un così bel giovane, alto quanto te,
robusto, fiero... dovresti esser felice d'esser sconfitta da un uomo
così...
Agaruk grida: — Non
accetterò mai d'esser sconfitta! Mai! Mai! Capite? — s'afferra al
collo d'un cavallo che passa di corsa, gli balza in groppa e sprona
al galoppo, dando con la lunga frusta al suolo, e facendo correre
dietro di sé tutta la mandria di cavalli...
Questo re di Pamir è
davvero un bellissimo giovane. Eccoli in campo l'uno di qua, l'altra
di là, che indossano l'armatura, aiutati dai valletti. Nelle
tribune, il re, la regina e tutto il popolo della città. C'è anche
Marco. Il popolo grida: — Vincila, vincila, Pamir! Agaruk, lasciati
vincere, stavolta! Questa è la volta buona!
Il re del Pamir, mentre
stanno preparandosi, vede che il suo lucido scudo manda un riflesso
fin dov'è Agaruk, e per gioco, le fa solicello sugli occhi, e le
sorride.
Agaruk sorride, abbassa
gli occhi quasi vergognosa, poi da questa mossa scontrosa passa a
un'espressione d'ira.
Montando a cavallo, fanno
a capo scoperto il giro del campo. S'affiancano per salutare il re
Caidu e la regina. Il re del Pamir sorride e guarda amico e franco la
desiderata avversaria. Lei è tutta tesa e torva, riottosa.
Calzano gli elmi,
abbassano la visiera. Sono ai due estremi del campo, lancia in resta.
Galoppano l'uno contro 1' altro e il duello incomincia.
Il popolo è tutto per il
pretendente e smania vedendo come la lotta si fa accanita.
II duello con le lance
comincia con finezza di gran scherma, poi si fa pesante, di forza,
d'urto, finché entrambi spezzano le lance.
Pongon mano alle spade. E
si gettano l'una addosso all'altro come si dovessero ammazzare. E'
Agaruk, certo, che ci mette tutta quella furia; e lui deve rispondere
del pari se non vuoi soccombere.
Presto il loro è un
corpo a corpo, ora anche lui ha preso una rabbia, come a un'offesa,
un torto che la principessa gli fa, e pare che si vogliano scannare.
E' di forza bruta, proprio con la superiorità della violenza della
sua gigantesca persona, che Agaruk scalza il cavaliere via di sella e
lo butta, paf!, per terra.
Il pubblico resta come di
marmo. Non un applauso, non un grido. Re Caidu e la regina sono
mesti. A Marco passa un brivido per il filo della schiena.
Agaruk si scopre il viso
e ride, ride contro tutti. Il re del Pamir si rialza, toglie l'elmo,
scuote il capo, va via.
Entrano in campo i cento
cavalli della posta persa. Agaruk si pone alla loro testa e fa il
giro del campo.
Per festeggiare (a
malincuore) la vittoria della figlia, re Caidu dà un ricevimento. Il
re presenta ai convenuti il suo ospite d'onore, Marco Polo,
ambasciatore del Gran Khan.
Agaruk sta in disparte e
scherza, secondo il suo solito, con i giovani guerrieri. A uno torce
un braccio d'improvviso, un altro lo manda a finire lungo e disteso
per terra, con un terzo fa a braccio di ferro. Tutti, a corte, usano
con lei modi camerateschi e bruschi, gli unici che lei sopporta.
S'avvicina Marco. Lei lo
guarda dall'alto in basso. Marco nasconde una mano dietro la schiena.
Avanza la mano e porge una rosa dal lungo stelo ad Agaruk.
Lei dapprima è sorpresa,
poi quasi offesa, poi timida prende la rosa con un'aria quasi da
giovinetta, poi la porta al viso a sentirne il profumo, si vergogna,
per un secondo è felice, s'arrabbia, si vergogna ancora, si volta
come per nascondersi, va via con la rosa.
“L'Espresso”, senza
indicazione di data, ma 1982.
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