Nato
da un'occasione contingente (una discussione sulla Polonia di
Jaruzelski) l'articolo espone la tesi di una protratta
militarizzazione dell'agricoltura in Unione Sovietica, alla lunga
costosa anche economicamente. Ho l'impressione che lo schema rischi
di oscurare i mutamenti nel tempo, le differenze tra le varie regioni
e le dinamiche interne della società e dell'economia kolchoziana.
Per gli appassionati della materia non è male leggere l'articolo
tenendo presenti gli studi di Moshe Lewin (soprattutto la prima parte
di The making of Soviet system,1985, cioè “La formazione del sistema sovietico”, impropriamente
titolato Storia sociale dello stalinismo nell'edizione
italiana Einaudi del 1988). (S.L.L.)
La raccolta del grano in un kolchoz (fattoria collettiva) in Ucraina (1947) |
Nello scorso giugno, a
Birmingham, polemizzai per una intera serata con il preside della
Facoltà di Economia dell'università di Varsavia, che era, come me,
ospite del prestigioso centro inglese di studi sull'Est europeo. Il
preside, iscritto al partito comunista dal '46, e a Solidarnosc
dall'autunno '80, affermava che l'unica via rimasta al suo paese per
uscire dall'impasse era la militarizzazione dell'industria, insieme
alla temporanea emarginazione del partito-Stato. Alle mie obiezioni,
mi invitò a riflettere sul precedente storico costituito dalle
vicende dell'agricoltura sovietica negli anni '30.
Dopo il 13 dicembre l'ho
fatto, con 1'aiuto di Robert F. Miller, autore di One Hundred
Thousand Tractors. The Mts and the developmentof controls in Soviet
Agricolture (Harvard Univ. Press, pagg. ,425, dollari 21.75): vi
sono analizzati il ruolo politico e le funzioni economiche delle
«Stazioni macchine e trattori», vale a dire le officine-autorimesse
aperte nei distretti rurali sovietici all'epoca della
collettivizzazione. L'autore vede nella storia delle Mts una lunga
guerra di conquista, ad opera del partito, delle campagne. Il periodo
più difficile fu quello degli anni 1929-39, che Bucharin definì il
periodo dello sfruttamento militare-feudale della manodopera
contadina. Non è su quest'ultima, però, che si appunta l'attenzione
di Miller, bensì sul partito e i suoi obiettivi.
Gli avamposti del
potere
II primo e principale
obiettivo che il partito si riprometteva con le Mts, era
l'occupazione effettiva e duratura del territorio conquistato. In
realtà il kolchoz, appena costituito, avrebbe dovuto essere tutelato
dai funzionari del partito stesso, dirigenti tecnici e
amministrativi. Ma il partito disponeva di poche decine di migliaia
di iscritti nelle zone rurali, rispetto ai 130 milioni di residenti,
e la percentuale di tecnici agrari era del tutto irrisoria. Così
dopo l'espulsione, manu militari, dei «nemici di classe» (i
contadini ricchi e il pope) il villaggio e il kolchoz
rimasero nelle mani inesperte dei contadini poveri, elevati alle
cariche direttive della cooperativa e del soviet. Ma quei contadini
nulla erano in grado di fare di fronte alla resistenza passiva
opposta dalla maggioranza, che era tenacemente ostile alla
collettivizzazione. Le Mts apparvero allora l'unica istituzione in
grado di affrontare l'ostilità e la passività della gente.
II loro compito
principale era l'assistenza tecnica: in cambio dei servizi ottenuti,
i kolchozy erano contrattualmente obbligati a consegnare una
parte del raccolto, a pagare in natura. In questo modo si assicurava
alle città una quota consistente del fabbisogno alimentare.
Altrettanto importante
era il compito politico delle Mts. Queste officine-autorimesse erano
infatti dei veri e propri avamposti del potere sovietico: le loro
«guarnigioni» dovevano fare accettare al contadino il lavoro nella
cooperativa, e fargli inoltre assimilare quella che si definiva la
costruzione staliniana del socialismo. Le prime guarnigioni furono
costituite da operai di città, iscritti al partito, socialmente
attivi, con un livello di istruzione superiore a quello dei
contadini, ma certo insufficiente al compito che veniva loro
affidato. Gli ex saldatori, gli ex fabbri potevano diventare
trattoristi, ma non agronomi; eppure l'appartenenza alle Mts
conferiva loro la potestà di dirigere i lavori agricoli. Tanta era
la paura del sabotaggio contadino, che l'inesperienza veniva
preferita a una esperienza ostile. Risultato: dopo qualche anno dalla
creazione delle cooperative, delle fattorie statali e delle Mts, il
bilancio della penetrazione sovietica nelle campagne era ancora
insoddisfacente.
Si era nel 1932. Vennero
allora istituite, all'interno delle Mts, le «politotdely»,
sezioni politiche che dipendevano direttamente da Mosca. Le
«politotdely», definite «l'occhio del partito», dovevano
accelerare il processo di assimilazione dei villaggi, procedendo a
rigorose verifiche della fedeltà al partito e alla «linea generale»
dei membri delle Mts e delle cellule rurali. I funzionari delle
«politotdely», anch'essi cittadini, erano in gran parte
intellettuali ed ebrei: persone dunque completamente estranee
all'ambiente e perciò in grado di sferrare senza esitazioni
l'ennesima offensiva anticontadina.
Quando, nel '34, le
sezioni politiche furono liquidate, le relazioni kolchoz-Mts-potere
sovietico erano ormai consolidate. Ormai tutto il territorio agricolo
era sottoposto all'assistenza e al controllo delle Mts, e nei
villaggi i contadini sembravano aver accettato il loro ruolo di
produttori e cittadini di seconda classe. Per affrancarsi non c'era
altra via che la fuga in città e l'ingresso in fabbrica; per i
meglio dotati, l'istruzione superiore. Per chi invece rimaneva in
campagna, il massimo delle aspirazioni era quello di diventare
trattorista delle Mts, venire accettato nel partito e puntare così a
qualche carica direttiva locale. La sostituzione dei quadri dirigenti
urbani e intellettuali con elementi locali è stato un processo
lento, e per giunta interrotto dalla guerra e dagli anni della
ricostruzione. Soltanto alla fine degli anni '50 si è cominciato a
poter contare su una intellighenzia tecnica rurale, disposta ad
integrarsi nel villaggio.
Fu solo allora che
Kruscev decise di chiudere le «Stazioni macchine e trattori»,
rendendo finalmente pubblico il peso economico che esse
rappresentavano per il paese. I contadini cominciarono a ricevere un
salario mensile in denaro, e le cooperative conquistarono l'autonomia
nell'uso dei mezzi meccanici, nonché un contratto regolare con lo
Stato per la vendita dei prodotti a prezzi meno jugulatori. La
militarizzazione dell'economia agricola era così finita, ma il costo
sociale ed economico dell'operazione doveva, col tempo, risultare
elevatissimo. I guasti causati all'attività produttiva dei contadini
erano stati tali, che nel corso di quasi vent'anni Breznev non è
ancora riuscito a porvi rimedio. Dal marzo del '65 i contadini
sovietici fruiscono di una politica agraria favorevole, che avrebbe
dovuto portare a tutto il paese abbondanza e miglioramento dei
consumi alimentari; invece continuano ad alternarsi, come nel
passato, gli anni di buon raccolto a quelli in cui si aggrava la
dipendenza dell'estero.
L'unico risultato
consolidato è la pacificazione sociale delle campagne....
“la Repubblica”, 19
febbraio 1982
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