Sono passati circa tre
anni dalla pubblicazione dell'articolo qui postato, che informa con chiarezza sul tema. A
quanto è dato di sapere il progetto di riforestazione di cui qui si
ragiona non si è fermato: alla fine del 2012 si è svolta a
Montevideo una conferenza di presentazione di nuove iniziative con il
sostegno del governo uruguayano. Ma anche le resistenze ambientaliste
e sociali contro la “monocoltura arborea” si intensificano in Sud
America e c'è una forte denuncia delle scelte dell'Uruguay e
l'intenzione di indicare la lotta contro le nuove piantagioni come
contenuto principale dell'imminente Giornata contro il Cambiamento
Climatico proclamata da diversi paesi latinoamericani (il 21
settembre, giornata che da quelle parti segna l'inizio della
primavera, e che l'Onu indica come Giornata della Pace). Sul tema chi
capisce lo spagnolo può vedere in rete l'articolo di Sylvia Ubal
sulla Rivista Venezuelana Barometro Internacional. (S.L.L.)
Si chiama «progetto di
piantagioni di nuova generazione», ma il nome è ingannevole. Si
tratta del progetto promosso dagli enti forestali di alcuni governi
(Cina, Svezia e Regno unito), un pool di aziende internazionali del
settore (ForestalMininco/Cmpc, Masisa, Fibria, Mondi, Portucel, Sabah
Forestal Industries, Veracel, Stora Enso, Upm-Kymmene), e sostenuto
anche dal Wwf, una delle più note organizzazioni ambientaliste
internazionali. Il Ngpp (acronimo di «new generation plantation
project») consiste nel definire «pratiche sostenibili» per la
gestione di piantagioni, e promuoverle presso le aziende forestali,
le autorità governative, gli investitori per «promuovere l’adozione
delle migliori pratiche nelle piantagioni forestali»: così si legge
sul sito del Wwf. Che argomenta: le piantagioni intensive sono
controverse perché distruggono le foreste originarie e altri
ecosistemi naturali, oltre ad avere impatti sociali, calpestare i
diritti delle comunità locali, e così via, ma non è necessario che
sia così, se si adottano pratiche di «foresteria sostenibile».
Il progetto però è
contestato da alcune grandi reti ambientali e sociali
latinoamericane. Con il progetto delle nuove piantagioni «credono o
fanno credere che per magia si risolveranno le contraddizioni
intrinseche alla foresteria industriale: accaparramento e
concentrazione di terre, espropriazioni delle comunità locali ed
esclusione di altre forme produttive già esistenti, dell’esaurimento
delle acque e del suolo», si legge in un comunicato della Rete
latinoamericana contro la monocultura degli alberi (Recoma), creata
durante il Forum socialemondiale del 2003 (ha
rappresentanti in
Argentina, Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Paraguay
e Uruguay). Questa rete si batte per limitare l’espansione delle
monocolture a favore di specie locali adattate al clima e al terreno,
di multiuso e a beneficio delle popolazioni locali, con sistema
produttivi agroforestali regionali.
Insomma: non si coltivino
alberi solo per produrre legna e cellulosa per le grandi aziende,
olio di palma, biodiesel - o per essere monetizzati sul nascente
«mercato del carbonio». Le grandi corporations, conclude il
Recoma, «hanno sempre cercato di ridipingere di verde le loro
attività commerciali». Con una conferenza stampa tenuta di recente
a Buenos Aires, altre tre reti latinoamericane - la Federazione
argentina degli Amigos de la Tierra, il Foro Boliviano Ambienta e la
Red de Alerta Contra el Desierto Verde brasiliana - hanno criticato
il progetto Ngpp. Sostengono che punta ad aprire le porte del settore
forestale al mercato energetico e del carbonio, permettendo così che
ancora più terre fertili vengano accaparrate dai grandi gruppi
agroindustriali. Fanno notare ad esempio che il sito web del Ngpp
cita nove esempi di piantagioni forestali industriali sostenibili che
avrebbero «aiutato a proteggere e ampliare la biodiversità»:
peccato che cinque di questi casi corrispondano a zone dove le
comunità locali e indigene hanno presentato denunce per
espropriazioni indebite, distruzioni ambientali e assenza di studi
preventivi di impatto ambientale: si tratta delle monocolture «verdi»
dell’impresa Upm in Uruguay, della Vercael/Stora Enso in Brasile,
della Masisa in Argentina e delle Cmpc/Forestal Mininco in Cile. Il
Wwf si sforza di sostenere i «benefici economici e eco-sostenibili»
di queste monocolture arboree, che giustifica perché parte del
mercato delle commodities (materie prime) – ribattono le tre
reti latinoameticane - è proprio questo sistema di produzione
industriale che perpetua modelli insostenibili per gli ecosistemi,
per le biodiversità, e per gli umani che di queste risorse vivono.
Dimenticando che una piantagione forestale non è ne sarà mai un
bosco.
“il manifesto”, 22
ottobre 2011
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