29.3.11

Il cacio all'argentiera (ovvero il frico alla siciliana)

Non conoscevo la ricetta del cacio all’argentiera (caciu all’argintera), benché molti siti turistici o gastronomici ne documentino la diffusione in diverse aree della Sicilia, da Marsala a Palermo, da Lentini a Milazzo fino alle Madonie, ove secondo taluni sarebbe nata, nella povera cucina di un argentiere palermitano caduto in disgrazia ed esiliato in montagna, in virtù della ricca inventiva della moglie cuciniera.
L’ingrediente di base è, ovviamente, il formaggio: i più preferiscono il caciocavallo freschissimo o poco stagionato, siracusano, ragusano o, almeno, siciliano. Ma non manca chi, nelle Madonie, lo sostituisce con il pecorino, fresco o anche invecchiato, di quello canestrato e pepato.
Ad attirare la mia curiosità è stata in primo luogo la frittura del cacio, che accomuna questa preparazione al frico friulano, stuzzichino che amo sia nella variante con patate sia in quella con le mele renette, e che addirittura adoro in quella senza altro ingrediente che i formaggi di diversa varietà e stagionatura. La prima importante differenza tra le due pietanze riguarda ovviamente il grasso usato, in Sicilia esclusivamente e rigorosamente olio di oliva, nel Friuli burro. La seconda riguarda l’aggiunta – credo arabeggiante - dell’agrodolce che rende speciale il piatto siciliano.
Io l’ho provato più volte, anche per la facilità della preparazione, seguendo le diverse varianti, peraltro di modesta entità. Esse riguardano oltre che il tipo di formaggio anche la quantità d’aceto bianco per 4 etti di cacio (da uno a tre cucchiai) e l’uso dello zucchero. Alla fine ho scelto una linea mediana su tutte le questioni aperte, quella che vi suggerisco. La foto l’ho ricavata dalla rete (http://www.blogsicilia.eu/blog/wp-content/uploads/2009/07/cacio-22.jpg): è quella che più assomiglia al piatto che cucino io. Ma per prepararlo nuovamente e fotografarlo dovrò attendere di togliere questa maledetta ingessatura che mi menoma mano e braccio. Avverrà subito prima di Pasqua e del 25 aprile: quest’anno per me saranno, come vuole la tradizione, occasioni di resurrezione e di liberazione. (S.L.L.)

Ingredienti per 4 persone
■ 200 grammi di caciocavallo siciliano fresco
■ 200 grammi di pecorino primo sale pepato
■ 2 spicchi di aglio
■ 50 grammi di olio d'oliva extravergine
■ Un cucchiaio d'aceto (al massimo due, se l’aceto non risulta abbastanza forte)
■ Poco sale.
■ Un pizzico di zucchero
■ Origano
Tempo di esecuzione: 10'

Preparazione
Dividete in quattro fettine il caciocavallo e in quattro fettine il pecorino. Lo spessore giusto è mezzo centimetro che consente di lasciare morbido l’interno. 
Fate imbiondire gli spicchi d'aglio in una padella con olio caldo. Aggiungete poi gli otto pezzetti di formaggio che farete rosolare uno o due minuti da una parte e dall’altra. Togliete dunque l'aglio ed aggiungete l'aceto e il pizzico di zucchero (a piacere). Fate evaporare l'aceto e spolverate i pezzi di cacio con l'origano. Coprite la padella con un coperchio e lasciate sul fuoco ancora per circa cinque minuti. Dalla padella o da un ampio piatto servite ben calde con il sughetto due fettine ad ogni commensale, una per tipo di formaggio. E’ un antipasto, ma si usa ottimamente per favorire un felice sorseggio, in quattro, di una buona bottiglia. Leggo che l’accoppiamento più felice è con un rosato. Ne sono convinto; ma a me non è dispiaciuto quello con un rosso da Nero d’Avola, non troppo forte, di Canicattì.

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