Il senatore Giovanni Agnelli negli anni venti |
Gli operai della "Fiat,, ai fratelli della Vittoria
La Fiat, con la Grande Guerra e le commesse che gliene derivarono, ampliò notevolmente profitti e potenza. Nessuna meraviglia dunque che il senatore Giovanni Agnelli, il principale padrone della Fiat negli anni del conflitto e del fascismo, dedichi un monumento alla orribile carneficina della guerra e ai suoi morti, gli assassinati dai potenti, cui attribuisce il titolo di “eroi”.
(vedi http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/11/agnelli-conquista-la-stampa-la-fiat-in.html )
Aveva scritto Trilussa che “quer covo di assassini/ che c’insanguina la terra/ sa benone che la guerra / è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse/ pe’ li ladri de le Borse”. Agnelli lo sapeva più che benone, volle pertanto regalare, a nome dei suoi operai (che volentieri ne avrebbero fatto a meno) un monumento agli eroi, un Faro della Vittoria da collocare sul colle della Maddalena, anche per ottenere un po' di pubblicità, giocando con il biblico “FIAT LUX”. Due piccioni con una fava.
L’epigrafe fu commissionata a Gabriele D’Annunzio, che in verità per l’occasione non diede il meglio di sé.
Credo comunque che quel monumento regalato alla retorica militarista del fascismo giovò ai profitti della famiglia Agnelli: arrivarono altre guerre, in Etiopia, in Spagna, fino alla tremenda guerra mondiale; e tante commesse, tanti profitti al sicuro nelle banche svizzere.
(vedi http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/11/agnelli-conquista-la-stampa-la-fiat-in.html )
Aveva scritto Trilussa che “quer covo di assassini/ che c’insanguina la terra/ sa benone che la guerra / è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse/ pe’ li ladri de le Borse”. Agnelli lo sapeva più che benone, volle pertanto regalare, a nome dei suoi operai (che volentieri ne avrebbero fatto a meno) un monumento agli eroi, un Faro della Vittoria da collocare sul colle della Maddalena, anche per ottenere un po' di pubblicità, giocando con il biblico “FIAT LUX”. Due piccioni con una fava.
L’epigrafe fu commissionata a Gabriele D’Annunzio, che in verità per l’occasione non diede il meglio di sé.
Credo comunque che quel monumento regalato alla retorica militarista del fascismo giovò ai profitti della famiglia Agnelli: arrivarono altre guerre, in Etiopia, in Spagna, fino alla tremenda guerra mondiale; e tante commesse, tanti profitti al sicuro nelle banche svizzere.
A edificazione delle nuove generazioni posto qui l’articolo su “La Stampa” del 28 marzo 1928 e le immagini, tratte sempre dal quotidiano della “famiglia”, del progetto di faro e dell’autografo dannunziano.(S.L.L.)
IL FARO DELLA VITTORIA
Domenica scorsa abbiamo dato notizia e pubblicalo la fotografia del Faro defila Vittoria, che nella notte del prossimo 24 Maggio si accenderà sul Colle della Maddalena. Pubblichiamo ora la epigrafe dettata da Gabriele D'Annunzio, epigrafe che sarà scolpita in caratteri romani sulla fronte del monumento che guarda a Torino e fregiata dell'insegna sabauda e del simbolo del Littorio.
Sono brevi parole ma che chiudono in una [elice sintesi poetica la ragione ideale che diede vita all’opera grandiosa ed esprimono con lapidaria semplicità quello che è stato il concetto ispiratore del monumento, il sentimento unanime di gratitudine per le schiere eroiche che netta guerra soffrirono tutto il soffribile, ed il senso di fratellanza che lega oggi, che la Vittoria inghirlanda di lauri la pace, i morti e i vivi, coloro che forgiarono le armi per la vittoria e coloro che la vittoria ci hanno dato col sacrificio della vita.
Questo ideale concetto, che l'ideatore del monumento maturò nella sua mente rivivendo la passione dei 42 mesi epici nei quali si formò la grandezza della nuova Italia ha trovato in D'Annunzio un insuperabile commentatore. Non ad altri che al Poeta Soldato, al laudatore del cielo del. mare della terra e degli eroi, custode e offeritore di ricchezze magnifiche, poteva chiedere il senatore Agnelli l'epigrafe per il Faro della Vittoria. Il Poeta ha dettato un commento nel quale la parola, spoglia da ogni esteriorità verbale, è tutta sostanza; è musica sì, ma musica di idee e non soltanto di suoni; è ritmo che scande le sillabe, ma segna insieme le tappe gloriose e dolorose dello spirito in continua ascesa, in continua purificazione di se stesso. Sono dunque gli operai d'ogni opera che dedicano ed offrono il durevole bronzo alla pura memoria dei compagni saliti nella gloria. Sono gli artieri d'ogni opera, di pace e di guerra, che il Capo della grande famiglia operaia torinese chiama con sè a ricordare. «Fiat lux et facta est lux nova». Si origina cosi il Mito nella secolare storia della vicenda umana. Mito, questa volta, non di leggendarie gesta, di eroi o di iddiì; ma del più gentile e puro e raro di lutti i sentimenti, il mito della gratitudine verso chi nulla può pia donare perché già tutto, dando la vita, ha donato. I vivi alzano i Morti nella luce della gloria, accendono ed alimentano il fuoco della riconoscenza.
Alla pura memoria
all'alto esempio
dei mille e mille fratelli combattenti
che la vita donarono
per accrescere la luce della Patria
e propiziar col sacrifizio l'avvenire
il durevole bronzo
la rinnovata selva
dedicano
gli operai d'ogni opera
dal loro capo Giovanni Agnelli
adunati sotto il segno
di quella parola breve
che nella Genesi
fece la luce.
« Fiat lux, et facta est lux nova ».
Maggio MCMXV — .Maggio MCMXXVIII.
GABRIELE D'ANNUNZIO. 26 - XI - 1927.
Nessun commento:
Posta un commento