3.3.11

Il socialismo fuori dagli apparati (di Giuseppe Tamburrano)

Il 19 febbraio a Livorno, in occasione dei 90 anni dalla storica scissione, sì è svolto un convegno dal titolo Dalla scissione comunista all'unione per il socialismo nel XXI secolo, organizzato dalla Lega dei socialisti di Livorno, da un Network per il Socialismo Europeo e dal cosiddetto Gruppo di Volpedo.
La lega livornese è un movimento esplicitamente collegato a Sel, mentre le altre due associazioni raccolgono persone aderenti a diversi partiti (Pd, Psi, Sel) o a nessun partito sull’idea della ricostruzione in Italia di un grande e unico partito del socialismo e del mondo del lavoro.
Nel corso dei lavori si è svolta una tavola rotonda molto interessante, in cui del tema, moderati da Lanfranco Turci, hanno dibattuto Fausto Bertinotti, Emanuele Macaluso, Giuseppe Tamburrano e Giuseppe Vacca. Darò conto del dibattito, che mi è sembrato molto stimolante, e riferirò le mie impressioni critiche nei prossimi giorni, con i miei tempi. Qui ho trascritto l’intervento, breve e sugoso, dello storico socialista Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Pietro Nenni. (S.L.L.)  

Vicende recenti hanno fatto terra bruciata della sinistra in Italia. Come possiamo pensare di ricostruire su questa terra bruciata una sinistra, un’idea, un movimento, un partito che io continuo a chiamare socialista?
Dobbiamo porci concretamente la domanda se è possibile ancora parlare socialismo e, nel caso, di quale socialismo soprattutto in sedi come questa, che sono fuori da ogni logica burocratica di partito, da ogni ricerca di posizionamento per un posto di consigliere comunale o provinciale.
In Europa ci sono certamente esempi di partiti socialisti, ma sono come chiese sconsacrate, sono strutture in cui l’idea di socialismo è totalmente assente. L’Italia sta peggio perché non c’è neppure una struttura.
La sinistra è fallita – si dice; ma con la crisi iniziata nel 2008 è crollato anche il mito di un mercato sovrano, che non ammette intromissioni, che si autoregola, è crollato il pilastro del capitalismo. Ne hanno preso atto governi come quello di Obama, che ha ripristinato il cosiddetto big governement, un impegno diretto dello stato su banche, industrie etc. La difesa del “libero mercato” senza limiti la sento oggi fare  solo nelle file della cosiddetta sinistra: per esempio ho sentito Veltroni protestare contro chi reclama gli interventi dello stato: “Ma volete tornare ai manager pubblici?”. Ma, per tutti gli altri, il mito del mercato è in braghe di tela.
Siamo intanto a una fase che appare di  svolta storica: le disuguaglianze crescono, la crisi dell’ecosistema si aggrava, ci sono le guerre, il terrorismo, il disordine mondiale di cui l’eruzione del mondo arabo è un sintomo. Un tempo, in questi casi, si usava ricorrere all’analisi marxista, si cercavano spiegazioni di fondo per intravedere una prospettiva di cambiamento. Oggi il ceto politico italiano di sinistra se la cava con qualche dichiarazione e neanche si pone  gli interrogativi di fondo.
Io vorrei lanciare un seme, uno stimolo, cominciando dall’identità, da quella che un tempo si chiamava l’ideologia cioè l’interpretazione del mondo, ponendo con franchezza la domanda: “E’ morto il socialismo o è tramontato il socialismo legato a una certa fase dello sviluppo?”.
E ne porrei un’altra, relativa all’Italia: “Può il socialismo rinascere all’interno degli steccati, degli apparati della cosiddetta politica?”. Io sostengo di no. Oggi “la politica” è fango e cenere, il fango della destra, la cenere della quercia e dell’ulivo.
L’idea socialista adeguata al mondo di oggi può rinascere solo altrove. Si è parlato della Fiat. Si è visto con chiarezza che Marchionne è un “padrone”, un padrone d’altri tempi adeguato ai giorni nostri. Non vuole intrusioni, non vuole controlli, neppure quello della Marcegaglia. Ebbene nel referendum Marchionne ha vinto, ma quasi la metà dei lavoratori ha votato no, contro il proprio stesso salario per difendere la propria libertà e la propria dignità. Ci sono ancora soggetti sociali che resistono, che affermano questi valori etici anche in questa Italia berlusconizzata. E lì che può rinascere il socialismo. 
C’è dell’altro. In una recente copertina dell’“Economist” si legge Print e stradivarius. Vi si parla del fatto che già oggi è possibile costruire con il computer un modello di violino e affidarlo a una fabbrica digitalizzata che lo realizza nei minimi particolari. Voglio dire che c’è stata una rivoluzione tecnologica che potrebbe ridurre di molto l’asservimento al lavoro, che potrebbe liberare per gli individui un tempo da vivere in libertà, secondo le proprie scelte e preferenze. E’ quella che Marx, ma anche Keynes, pensavano fosse la prima fase del socialismo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Lo Leggio,
grazie del pezzo che hai pubblicato, che è migliore del mio discorso.

Fraternamente
Giuseppe Tamburrano

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