11.5.15

Quando arrivò l'Aids. Beniamino Placido contro il cardinale Siri

Quando arrivò l'Aids tra la gente di chiesa si affermò la tesi che, se non la sua origine, almeno la sua diffusione era conseguenza della libertà sessuale e dei suoi eccessi. A dare voce ufficiale al bigottismo fu nel 1986 un principe della Chiesa cattolica, il cardinale Siri, in una intervista a “Il Sabato”, settimanale che all'epoca fiancheggiava “Comunione e Liberazione”, il movimento che più esaltava la verginità prematrimoniale e la fedeltà sessuale tra coniugi.
Siri trovò su “la Repubblica” una risposta pungente, ove Beniamino Placido splendidamente condiva laica indignazione con laica ironia. Una paginetta che qui riporto e raccomando alla lettura. (S.L.L.)
Il cardinale Giuseppe Siri  (Genova, 1906 - 1989) seduto.
Si vedono, in piedi, due guardie del suo corpo consacrato
Eminenza non peccammo abbastanza
Il cardinale Siri ha ragione. L'ho sempre pensato. Qualche volta l'ho anche detto (in privato). Non l'ho scritto perché impedito dal consueto e comune senso del pudore. Il Cardinale Siri ha ragione quando dice l'ha detto in una intervista che apparirà su “Il Sabato”, e che i giornali hanno ampiamente anticipato che l'Aids è venuto perché ce lo siamo meritato. E' venuto per punirci dei nostri peccati: per castigare il nostro permissivismo morale (soprattutto sessuale).
L'Arcivescovo di Genova ha ragione. E tutti i laici in buona fede dovrebbero dargliene atto. Ha ragione, però, per ragioni diverse anzi, opposte a quelle che ha addotto. Ci siamo meritati ampiamente l'Aids, non perché abbiamo troppo profittato del periodo di permissivismo sessuale che è ormai (e purtroppo) alle nostre spalle. Perché ne abbiamo approfittato troppo poco.
Consideriamo i fatti. L'umanità non ha mai avuto un buon rapporto con la sessualità. Quando ha voluto immaginarsela serena e solare, ha dovuto collocarla in una mitica età dell'oro: ovviamente immaginaria; ovviamente inesistente. Nel Medioevo per non andare tanto lontano fu proprio la Chiesa ad applicare all'Eros la sua minacciosa sessuofobia: che forse è sostanza del Cristianesimo. Forse ne è solo un accidente inspiegabile, un incidente di percorso. Poi venne, piano piano, il Rinascimento: propiziato da galantuomini come Boccaccio, Chaucer, Lorenzo de' Medici (“Quant'è bella giovinezza...”). Ma si era appena aperto uno spiraglio primaverile quando zac arrivò la sifilide. Ne cantò (e lamentò) l' avvento Girolamo Fracastoro, in un poemetto in esametri latini, Syphilis, sive de morbo gallico, che fa bella mostra di sé adesso, nella Mostra veneziana dedicata ad Arcimboldo. E' del 1530. Quindi possiamo fare un po' di conti. Dal 1530 alla seconda Guerra Mondiale corrono circa quattrocento anni. Per quattro secoli uomini e donne hanno trepidato, prima di accoppiarsi: per paura della sifilide, per paura di maternità non volute. Poi, improvvisamente, miracolosamente, quarant'anni di pace.
Gli antibiotici spazzarono via le malattie veneree. La pillola mise a disposizione della donna uno strumento per controllare la maternità. Uomini e donne potevano incontrarsi liberamente, serenamente. Per svolgere le loro reciproche curiosità sentimentali. E sessuali, naturalmente. Incontrarsi e dirsi addio, come in un romanzo di Kormendi; incontrarsi e dirsi arrivederci, come in una canzone di Rascel. Incontrarsi, comunque. Senza dover chiedere il permesso prima, durante o dopo all'Ufficiale di Stato Civile. Senza doversi scambiare, prima, il certificato liberatorio della Usl competente per territorio. Come accadrà, invece, d'ora in poi.
L'hanno fatto? L'abbiamo fatto? Non abbastanza. Ci siamo fatti irretire da vecchie paure. Abbiamo consentito che tornassero vecchi fantasmi. Qualche volta abbiamo persino biascicato che quella sessualità solo perché liberata era anche alienata. L'umana capacità di dire sciocchezze laiche o ecclesiastiche è inesauribile. Allora Colui che ci aveva dato quei quarant'anni per fare il nostro Esodo, per uscire dalla cattività d' Egitto, s'è scocciato. Ed ha detto: è così? Non vi piace la libertà? V'è venuta a noia la sessualità? E allora vi riporto sotto l' imperio di qualche Faraone sessuofobico. Non d'Egitto, magari. Ma di Genova. Lei ha ragione, Cardinale Siri. Cioè ha torto marcio.


“la Repubblica”, 26 marzo 1987  

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