3.10.17

In morte di Giancarlo Fusco. "Arrivò all'Europeo vestito come un zingaro..." (Camilla Cederna)

Un amico dei più pittoreschi, uno showman incredibile. Dormiva sotto le barche della Versilia, e lì, questa è la leggenda accreditata dai suoi amici, lo scoprì Benedetti direttore dell'"Europeo". Vestito come un mendicante, due o tre denti soltanto perché aveva fatto il boxeur, e in tasca una sua fotografia, seminudo con un gran serpente attorcigliato intorno al collo. (Era vissuto al Tombolo dopo la guerra, e questa foto fu il primo dono che mi fece).
Certo il suo ingresso all' "Europeo" fu sensazionale: sandali sfasciati ai piedi, pantaloni con un fil di ferro per cintura, e una cordicina più sotto, dove era più che necessaria una chiusura, quella bocca vuota, la barba lunga e un bosco di riccioli disordinati. Ma traboccava di humour, e aveva il dono di trasudare simpatia, sempre pronta la battuta, e pepate le osservazioni. Era il tipo meno quotidiano che si potesse immaginare, tutto il contrario di quanto fosse noia, banalità, conformismo. Gran raccontatore di storie, e se erano inventate, erano inventate benissimo. Siccome ero l'unica donna della redazione, Benedetti me l'affidò perché lo rivestissi. Così (una coppia molto guardata per la strada), ricordo che lo portai in corso Buenos Aires a comprarsi un abito fatto, dal parrucchiere a rasarsi e a tagliarsi i capelli, ecco poi le calze e le scarpe. Rimaneva quel forno di bocca, e la redazione, con l'aiuto dell'editore Mazzocchi, si quotò per fargli fare una dentiera, quasi perfetta. Intanto scriveva articoli ineccepibili: far la cronaca gli piaceva, tanto vorace era la sua curiosità per gli uomini e le loro avventure. Veniva spesso in casa mia a colazione, ed era sempre cortesissimo con mia madre a cui portava un vaso di gerani o un vassoio di marrons glacès. E con noi parlava dei suoi.
La madre discendeva da una famiglia di zingari di Siviglia. Suo padre infatti possedeva un noto circo, una delle sue zie ballava sulla corda, il nonno era un coraggioso domatore. L'unica figlia, intelligente ma non bella, quando il padre vendette il circo e morì, diventò un'appetibilissima ereditiera: aveva allora (nel primo decennio del secolo) un milione di dote. Un giovane e bel tenente di marina italiano, passando per Siviglia, la conobbe, la sposò e se la portò a Viareggio. L'ufficiale di marina, sempre bello e molto traditore, lasciava per lunghi periodi la moglie a casa, ma per fortuna lei continuava a lavorare, e il suo mestiere le piaceva moltissimo. Che mestiere? "Fa il falegname" rispondeva Fusco, ed era vero: sua madre adorava segare e piallare, e la sua specialità erano oggetti enormi, letti matrimoniali, armadi a tre luci, vastissimi parquets a complicati disegni.
Un'idea brillante di Benedetti fu quella di mandarlo un anno al festival di Venezia. Smoking bianco e farfallino nero era la divisa di allora, e lui subito a chiedermi: "In tasca devo mettere un fazzoletto nero?" (Non prima di avermi confidato che sarebbe andato più volentieri in slip di gorilla). La sua forza? L'essere assolutamente alieno da qualsiasi intrigo o maneggio dell'ambizione, non soffrire di ossessione da danaro, non essere per nulla attaccato a convenzioni e protocollo, non inorgoglirsi per le lodi che riceveva. Per esempio per il suo libretto: Le rose del ventennio che ebbe un gran successo: la storia del fascista Ferro Maria Ferri che durante la guerra di Grecia, dicendosi pronto ad ogni audace impresa, al momento giusto si rivela un vigliacco, la visita di Mussolini al fronte con le sue proposte tutte sbagliate e le domande imbecilli, insomma il racconto dell'asfissia di un regime in un clima di amare risate, di continuo sberleffo.
Fusco non sopportava i boriosi, e sul conto di un giornalista che dettava legge nel vestire e si dava un mucchio d'arie, era perentorio: "Parla di sè come un gentleman, cosa che nessun gentleman farebbe mai". Ridendo di sé, ma al momento giusto dandosi con passione al gioco di piacere, per un certo periodo fece il giro dei salotti di Milano, dove, a richiesta degli amici, raccontava qualche suo saporito aneddoto. Come la morte di Zacconi, già vecchissimo, a Viareggio. È già in coma, non riconosce più nessuno, quando alla porta occhieggia lo scrittore Enrico Pea che vuole salutarlo. Il figlio di Zacconi gli fa cenno che il padre sta molto male, e allora Pea gli si avvicina in punta di piedi e senza dire una parola si china sulla sua fronte per baciarlo. È il momento in cui il vecchio attore apre gli occhi, e vedendo così vicina quella testa antica, dalla foltissima barba, esclama: "Eccomi Signore, vengo a te, sono pronto!". Imitava la voce ancora forte e cavernosa dell'attore, come quella di Maria Melato, anche lei a Viareggio dopo la guerra, che in tono dannunziano vantava la bellezza dei soldati di colore, "stupèndi etiopi" declamando.
È stato certo per anni una colonna dell' "Europeo", e se lo si lodava rispondeva che chiunque altro avrebbe potuto far meglio. Non assistetti al suo apartheid e probabilmente alla sua decadenza romana. Conservo invece vivo il ricordo di quanto mi divertii con lui finché se n'andò da Milano. Avevo il privilegio delle sue confidenze, le donne, la sua incapacità (raramente vinta) di resistere alla tentazione della grappa, la conoscenza di qualche suo incongruo amico, come quel nababbo (per via di certi oleodotti), con i denti d'argento, l'automobile con il tetto di cristallo e la passione per le soubrettes, alle più belle delle quali mandava tre orchidee con attorcigliato intorno al gambo un braccialetto di brillanti. Uno dei "numeri" più divertenti gli era stato dettato dal suo gusto della provocazione. Ecco la galleria e una folla di gente in ammutolito stupore per una scena delle più insolite. Romolo Valli che fa la parte di un vecchio signore annoiato del cinquecento, e Fusco che lo segue curvo e zoppicante; perché mima il buffone che tenta invano di divertirlo con lazzi, frizzi e motti ribaldi. Così che per ben tre sere fu intralciato il traffico tra l' ottagono e lo sbocco in piazza del Duomo.


“la Repubblica”, 18 settembre 1984

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