12.10.17

O belli o brutti al bagno tutti. Le Terme nell'antica Roma (Clara Valenziano)

Le Terme di Caracalla ove, fra l'altro, i Romani giocavano a palla
ROMA
Nell'Iliade e nell'Odissea un vero e proprio bagno di pulizia si faceva solo a mare o a fiume: Ulisse e Diomede, stanchi e sudati dopo una bravata notturna, entrano in mare fino alla cintola e si sciacquettano ben bene prima di sedersi a tavola con gli amici; Nausicaa e le sue ancelle, finito di lavare i panni di tutta la famiglia, si tuffano nel fiume. E sempre all'aria aperta erano, nella Grecia arcaica, i bagni costruiti per gli atleti accanto alle palestre. In casa si usava la tinozza che, a Roma, stava in un bugigattolo oscuro situato accanto alla cucina. Questo locale si chiamava lavatrina, diventata poi, per sincope, latrina. E se già in epoca romana la parola aveva acquistato un significato diverso, un motivo c'era: da un certo momento in poi, niente più lavaggi in latrina: tutti alle terme. Proprio tutti: ricchi e poveri, uomini e donne, giovani e vecchi, liberi e schiavi. Il prezzo d'ingresso era alla portata di qualsiasi borsa; si pagava sempre con la moneta più piccola dell'emissione in bronzo dell' epoca: un quadrante ai tempi di Orazio, due denari nell'età di Diocleziano.
I bagni pubblici (le terme) non li hanno inventati i romani i più antichi sono stati trovati a Olimpia e rimontano al V sec. a.C. , ma è stata Roma a fare della frequentazione delle terme una gioia della vita, proprio come l'amore e il vino (Balnea, venus et vinum vitam faciunt). Ogni giorno nell'affanno del vivere c'era una pausa nelle prime ore del pomeriggio per dedicarsi al corpo, alla sua pulizia, al suo benessere, e al piacere di stare insieme agli altri, di parlare, di ascoltare: vita non est vivere sed valere (la vita non consiste nel vivere, ma nel sentirsi bene). Le terme furono un elemento così essenziale e così caratteristico della vita romana, che in tutte le province dell'impero dai confini africani al vallo di Adriano il segno specifico della romanizzazione è appunto la presenza degli edifici termali.
La mostra Terme romane e vita quotidiana, organizzata dal Comune di Roma al Museo della Civiltà romana, è la replica di quella tenutasi due anni fa a Castiglioncello e a Rosignano Marittimo. È una mostra, visivamente, di proporzioni modeste; in cambio si apprende molto sulle tecniche edilizie, sulle cure termali, sullo sport e sulla mentalità dei romani leggendo cartelloni e catalogo. Nella storia delle terme il salto qualitativo avvenne, nel primo secolo a.C., con l'invenzione del sistema di riscaldamento ad ipocausto, cioè convogliando l'aria calda sotto il pavimento e dietro le pareti; con questo sistema i locali venivano mantenuti a calore costante, senza spiacevoli sbalzi di temperatura. Sotto il pavimento delle terme ce n'era un secondo, più basso di 60 centimetri e nello spazio vuoto circolava l'aria calda che poi risaliva lungo tubi di terracotta inseriti nelle pareti. Nel calidario i tubi arrivavano fino alla volta, foderando completamente l'ambiente.
Fu Agrippa, braccio destro di Augusto, il grande sostenitore delle terme come luogo di socializzazione. Agrippa non era disinteressato: cercava consensi alla politica imperiale inaugurata dall'imperatore, ma fu lui, che si sappia, il primo in assoluto a sostenere che era ingiusto che i grandi capolavori di scultura fossero segregati nelle case dei ricchi; dovevano stare sotto gli occhi di tutti, nelle terme. E in quelle che lui fece costruire, gratis per tutti, nella zona che oggi si estende tra il Pantheon e Largo Argentina, c'era una bella collezione di capolavori. Ai tempi di Agrippa, a Roma già funzionavano circa 170 terme gestite da privati; e queste erano a pagamento, tranne che per militari e ragazzi. Le donne chissà perché pagavano il doppio degli uomini. Dopo quelle di Agrippa, le terme costruite dagli imperatori Traiano, Caracalla e Diocleziano erano tutte gratuite e avevano tutte la stessa pianta: un corpo centrale che era la vera zona dei bagni; tutt'intorno la palestra e un vasto giardino dove pergole, boschetti, viali, fontane formavano belle prospettive; infine lungo il muro di cinta, che era a portici, biblioteche, sale da conferenze (musaea) e sale da musica (auditoria). Si entrava nello spogliatoio (custodito da un guardiano: i furti erano frequenti) e si depositavano i vestiti negli appositi armadietti. Di là si passava nella palestra dove, seminudi e spalmati d'olio, si faceva ginnastica (anche le donne).
L' esercizio più consigliato contro l'obesità era la lotta: vietato usare i pugni, bisognava vincere con la pressione del corpo e l' intreccio delle membra. Il gioco più praticato era quello della palla (pila), che in genere era riempita di piume; ma ce n'era un tipo che invece era piena di sabbia e serviva a giocare a una specie di rugby: il giocatore doveva impadronirsene e cercare di conservarla il più a lungo possibile mentre gli veniva contesa, a spinte, dagli avversari. Finita la ginnastica, cominciava il bagno. Dall'ambiente surriscaldato del calidario si passava, dopo una sosta nella sala a calore tiepido, all'immersione nelle vasche di acqua fredda. Seguivano unzioni, massaggi, depilazioni e, infine, passeggiate nei viali del giardino o sotto i portici.
Passati bruscamente da un'epoca in cui il bagno si faceva in media ogni otto giorni alle comodità delle grandi terme, molti abusavano dei bagni caldi e spesso qualcuno ci restava secco. Era anche una questione di mode: un momento tutti esaltavano gli effetti miracolosi dei bagni caldi, subito dopo si proclamava che niente faceva così bene come i bagni freddi. Questi ultimi divennero molto di moda quando un giovane medico, il liberto Antonio Musa, ebbe l'ardire di sottrarre Augusto, malato di epatite, alle cure dei suoi affermatissimi colleghi (che gli avevano prescritto bagni caldi e vapori in un ambiente tappezzato di pellicce) e lo convinse a immergersi nella vasca del frigidario. Augusto, che pure era molto cagionevole, sopravvisse, guarì e fece erigere una statua a Musa, il cui successo non fu sminuito dal fatto che Marcello, il giovane nipote di Augusto, da lui sottoposto alla stessa cura, morì. A Roma, comunque era convinzione generale che i bagni quotidiani giovassero alla salute. Persino Cicerone, per una volta tanto spiritoso, di un tale che era appena deceduto disse: “Finché è andato alle terme non è mai morto”.
Lo straordinario lusso delle terme e la promiscuità dei sessi (ogni tanto le ordinanze degli imperatori ribadivano che gli uomini dovevano fare il bagno da una parte e le donne da un' altra, ma nessuno le rispettava) offrivano ai conservatori l'occasione per rimpiangere il bel tempo antico, quando Scipione l'Africano si lavava in un bagnetto piccolo e buio e usava acqua limacciosa. Si lavava braccia e gambe, e solo ogni nove giorni faceva il bagno (Seneca). Un'altra volta è Cicerone a indignarsi perché ragazzi e ragazze fanno il bagno assieme e ricorda i tempi in cui non solo le donne avevano pudore, ma nessun figlio si sarebbe azzardato a denudarsi davanti a suo padre.
Nelle terme si aggirava gente di tutti i tipi: accattoni che ci venivano per stare al caldo, venditori di salsicce e di bibite, squattrinati decisi a scroccare un invito a pranzo, mezzani, prostitute, commercianti, letterati, magistrati. E i ricchi, sebbene possedessero terme private, preferivano esibirsi in quelle pubbliche: ci venivano accompagnati dal medico personale e da un codazzo di schiavi che li asciugavano, li massaggiavano, li profumavano. Anche Plinio il Vecchio era un po' esibizionista: si portava sempre dietro un segretario a cui dettava mentre stava in vasca. Ci andava persino l'imperatore Adriano con la famiglia.
Alle terme succedeva di tutto: anche che il mandante dell'assassinio di Clodia vi desse appuntamento al killer per consegnargli il veleno. Perciò è naturale che scrittori e poeti latini ne abbiano colto gli aspetti più congeniali al loro temperamento. A Marziale i corpi nudi di uomini e donne suggeriscono solo scherzi sulla potenza o impotenza amatoria dei rispettivi proprietari. Ovidio, invece, che in esilio soffre di solitudine e di nostalgia, si strugge al ricordo delle ore passate con gli amici nel giardino delle terme di Agrippa a leggere poesie. Ma è di Marziale un invito a pranzo, molto affettuoso, a un amico. Dice così: “Vieni a pranzo da me. Vieni alle due. Prima andremo insieme alle terme che sono proprio sotto casa. Poi ti darò lattuga, porro e uova. Te lo prometto: non ti leggerò le mie poesie”.


“la Repubblica”, 5 febbraio 1989  

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