Associare la parola
violenza al Sessantotto fa parte del terrorismo giornalistico. Lo
storico americano Sidney Tarrow ha mostrato che fra l’autunno del
1967 e quello del 1969 la violenza fu minima (esplose solo quando il
movimento di massa defluì). Il Sessantotto fu violento perché
svolse una funzione distruttiva attraverso azioni anche illegali - le
occupazioni delle facoltà, manifestazioni non autorizzate - non
perché praticasse la violenza o spalleggiasse e consentisse
l’intervento di gruppi terroristici.
Distrusse le dipendenze,
i rapporti, i meccanismi scontati, le gerarchie visibili e quelle
impalpabili, ponendo una domanda radicale di significato che metteva
in causa ogni momento della vita. Per chi e per che cosa si vive? Per
chi e per quale fine si studia e sì lavora? Per chi e per quale fine
ci si associa e si fa politica? I rapporti personali e sessuali (la
microfisica del potere) possono essere distinti da quelli politici? E
anche: le forme della democrazia possono essere separate e
addirittura antitetiche rispetto ai suoi fini? Tutti i gruppi chiusi
organizzati come nicchie egoistiche e protettive (la famiglia) o come
istituzioni volte alla camera individuale e alla formazione della
classe dirigente nazionale (le scuole, le università) ne furono
allora sconvolti.
A questa violenta domanda
di senso per far coincidere i nomi con le cose non dava risposta né
il capitalismo con la società del benessere né il comunismo
realizzato con il suo Stato burocratizzato. Il Sessantotto fu contro
l’Unione Sovietica e, in Italia, contro il Pci; e sviluppò una
critica di massa al socialismo realizzato che oggi è diventata senso
comune. Anche per la parola socialismo bisognava (bisogna) tornare a
far coincidere il nome con la cosa.
Infine: il Sessantotto
distrusse la dimensione nazionale e statuale per porsi all’interno
del sistema-mondo: nacque da una globalizzazione che interessò tutti
i continenti e che presupponeva una lotta senza frontiere.
Anche per questo fu
anticipatore e violento. Immanuel Wallerstein scrive:«Ci sono state
due rivoluzioni mondiali. Una nel 1848. La seconda nel 1968. Entrambe
hanno fallito. Entrambe hanno trasformato il mondo».
Purtroppo il Sessantotto
non lo ha trasformato abbastanza.
Non è stato troppo
violento, ma troppo poco.
L'Espresso, 5 Marzo 1998
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