Un necrologio, per un
filosofo – già allora (1990) – caduto nell'oblio. L'articolo
ottimamente ci riporta al tempo d'oro dei “maestri del sospetto”,
gli anni 60 e 70 del secolo scorso, e – più attuale oggi che
allora – spinge ad interrogarsi sull'attuale “orwelliana
smemorizzazione”. Leggere per credere. (S.L.L.)
Nello scritto Freud e
Lacan, Louis Althusser affermò: «Per quanto ne sappia, nel
corso del XIX secolo nacquero due o tre bambini che nessuno
aspettava: Marx, Nietzsche, Freud. Figli «naturali» nel senso in
cui la natura offendo i costumi, i principi, la morale e la buona
educazione; natura è la regola infranta, la ragazza madre, quindi
l’assenza di un padre legalmente riconosciuto. La ragione
occidentale la fa pagar cara a un figlio senza padre. Marx,
Nietzsche, Freud dovettero saldare
il conto, spesso atroce,
della sopravvivenza: prezzo costituito da esclusioni, condanne,
ingiurie, miserie, fame e morte, o follia. Parlo solo di loro (si
potrebbe parlare di altri maledetti, che vissero la loro pena di
morte nel colore, nel suono o nella poesia). Parlo solo di loro
perché furono la nascita di scienza, o di critica».
Marx, Nietzsche, Freud: a
ben guardare sono i tre autori di gran parte dei protagonisti del
dibattito filosofico francese che, soprattutto negli anni ’60-’70,
fu centrale se non dominante in Europa. Da Althusser a Focault, da
Derrida a Deleuze il problema era quello di una critica razionale al
nesso razionale che la modernità aveva istituito tra potere e
immaginario, tra discorso e linguaggio, tra scienza e ideologia.
Sembrano passati secoli
da allora. Il nesso razionale tra potere e immaginario, tra discorso
e linguaggio, tra scienza e ideologia si è fatto sempre più forte,
mentre la critica a tale nesso si è sempre più affievolita,
dissolvendosi tra il postmoderno e la fine della storia. Quel che per
questi autori fu una critica della storia o, in quanto tale, uno
stimolo a ripensare in modo forte la storia, proprio nei sensi di
Marx, Nietzsche, Freud, corno rottura antiumanistica o come rifiuto
dell’ideologia occidentalista del progresso, sembra diventato oggi,
se non un rifiuto della storia, certo un’accettazione di quegli
aspetti di immutabilità rassegnata che rendono gli eventi
storici del tutto privi
di ogni significato che non sia puramente domestico o docile.
È in quel contesto che
forse vale la pena di ripensare il contributo di Louis Althusser, il
suo marxismo, il suo Marx. In quegli anni non appariva imbarazzante
discutere del Capitale. Non è che non apparisse imbarazzante
soltanto a filosofi marxisti come Althusser o come Balibar o come
tutti quelli della sua scuola. Non appariva imbarazzante a
Levi-Strauss, a Sartre, a Focault, a Roland Barthes, a Lacan, a
Derrida, a Canguilhem. C'è da chiedersi perché.
Althusser o la sua scuola
contribuirono più di tutti gli altri a far circolare un Marx assai
diverso, un Marx leggibile dentro i codici strutturalisti e dunque
fruibile anche all’interno di contesti che avevano prodotto
contributi decisivi in filosofia come in antropologia, in psicanalisi
come in linguistica.
Althusser entrò nella
storia del marxismo, dentro la tradizione del marxismo, sapendo bene
che Marx andava affrontato e interpretato dopo Nietzsche e Freud.
Qualcuno si domanda con una certa ingenuità come mai negli anni
'60-70 il marxismo ebbe una grandissima influenza culturale. Qualcun
altro, meno ingenuamente, ha parlato di dittatura culturale. La
maggior parte ha invece dimenticato. Ma un punto da ricordare è
proprio questo: il marxismo andava incrociandosi con le esigenze
critiche più significative di quegli anni e con i contributi
culturali più importanti.
Per niente dogmatico,
quel marxismo stimolava la ricerca e la riflessione. E in molti casi,
come in quello italiano fu un veicolo di sprovincializzazione. Non si
tratta oggi di ritornare al passato o di rimpiangerlo, ma vale la
pena di sottolineare che oggi troppo precipitosamente si è passati ad una sorta di
orwelliana smemorizzazione.
Negli anni ’70 uscirono
noi nostro paese scritti influenzati da Althusser. Spesso gli stessi
autori sono passati, legittimamente, ad altri interessi, ma da
nessuno si è sentita l’esigenza di spiegare come mai vent’anni
fa il Marx di Althusser venne considerato così importante per
comprendere criticamente il mondo e oggi invece a stento vale la pena
di ricordarsene. Perché il Marx di Althusser fu così centrale
nell’ambito della filosofia francese e non solo francese del
secondo dopoguerra?
Perché Marx, divenuto
oggi cosi desueto e fastidioso, fu posto assieme a Nietzsche e a
Freud? Forse perché, nonostante tutto, la sua portata critica ci
preservava da quella sorta di incanto che è l’apologia
dell’esistente e che si accompagna sempre con un senso debole della
memoria e della storia?
“il manifesto”, 24
ottobre 1990
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