4.5.17

Althusser. Leggere il Capitale dopo Nietzsche (Alfonso M. Iacono)

Un necrologio, per un filosofo – già allora (1990) – caduto nell'oblio. L'articolo ottimamente ci riporta al tempo d'oro dei “maestri del sospetto”, gli anni 60 e 70 del secolo scorso, e – più attuale oggi che allora – spinge ad interrogarsi sull'attuale “orwelliana smemorizzazione”. Leggere per credere. (S.L.L.)

Nello scritto Freud e Lacan, Louis Althusser affermò: «Per quanto ne sappia, nel corso del XIX secolo nacquero due o tre bambini che nessuno aspettava: Marx, Nietzsche, Freud. Figli «naturali» nel senso in cui la natura offendo i costumi, i principi, la morale e la buona educazione; natura è la regola infranta, la ragazza madre, quindi l’assenza di un padre legalmente riconosciuto. La ragione occidentale la fa pagar cara a un figlio senza padre. Marx, Nietzsche, Freud dovettero saldare
il conto, spesso atroce, della sopravvivenza: prezzo costituito da esclusioni, condanne, ingiurie, miserie, fame e morte, o follia. Parlo solo di loro (si potrebbe parlare di altri maledetti, che vissero la loro pena di morte nel colore, nel suono o nella poesia). Parlo solo di loro perché furono la nascita di scienza, o di critica».
Marx, Nietzsche, Freud: a ben guardare sono i tre autori di gran parte dei protagonisti del dibattito filosofico francese che, soprattutto negli anni ’60-’70, fu centrale se non dominante in Europa. Da Althusser a Focault, da Derrida a Deleuze il problema era quello di una critica razionale al nesso razionale che la modernità aveva istituito tra potere e immaginario, tra discorso e linguaggio, tra scienza e ideologia.
Sembrano passati secoli da allora. Il nesso razionale tra potere e immaginario, tra discorso e linguaggio, tra scienza e ideologia si è fatto sempre più forte, mentre la critica a tale nesso si è sempre più affievolita, dissolvendosi tra il postmoderno e la fine della storia. Quel che per questi autori fu una critica della storia o, in quanto tale, uno stimolo a ripensare in modo forte la storia, proprio nei sensi di Marx, Nietzsche, Freud, corno rottura antiumanistica o come rifiuto dell’ideologia occidentalista del progresso, sembra diventato oggi, se non un rifiuto della storia, certo un’accettazione di quegli aspetti di immutabilità rassegnata che rendono gli eventi
storici del tutto privi di ogni significato che non sia puramente domestico o docile.
È in quel contesto che forse vale la pena di ripensare il contributo di Louis Althusser, il suo marxismo, il suo Marx. In quegli anni non appariva imbarazzante discutere del Capitale. Non è che non apparisse imbarazzante soltanto a filosofi marxisti come Althusser o come Balibar o come tutti quelli della sua scuola. Non appariva imbarazzante a Levi-Strauss, a Sartre, a Focault, a Roland Barthes, a Lacan, a Derrida, a Canguilhem. C'è da chiedersi perché.
Althusser o la sua scuola contribuirono più di tutti gli altri a far circolare un Marx assai diverso, un Marx leggibile dentro i codici strutturalisti e dunque fruibile anche all’interno di contesti che avevano prodotto contributi decisivi in filosofia come in antropologia, in psicanalisi come in linguistica.
Althusser entrò nella storia del marxismo, dentro la tradizione del marxismo, sapendo bene che Marx andava affrontato e interpretato dopo Nietzsche e Freud. Qualcuno si domanda con una certa ingenuità come mai negli anni '60-70 il marxismo ebbe una grandissima influenza culturale. Qualcun altro, meno ingenuamente, ha parlato di dittatura culturale. La maggior parte ha invece dimenticato. Ma un punto da ricordare è proprio questo: il marxismo andava incrociandosi con le esigenze critiche più significative di quegli anni e con i contributi culturali più importanti.
Per niente dogmatico, quel marxismo stimolava la ricerca e la riflessione. E in molti casi, come in quello italiano fu un veicolo di sprovincializzazione. Non si tratta oggi di ritornare al passato o di rimpiangerlo, ma vale la pena di sottolineare che oggi troppo precipitosamente si è passati ad una sorta di orwelliana smemorizzazione.
Negli anni ’70 uscirono noi nostro paese scritti influenzati da Althusser. Spesso gli stessi autori sono passati, legittimamente, ad altri interessi, ma da nessuno si è sentita l’esigenza di spiegare come mai vent’anni fa il Marx di Althusser venne considerato così importante per comprendere criticamente il mondo e oggi invece a stento vale la pena di ricordarsene. Perché il Marx di Althusser fu così centrale nell’ambito della filosofia francese e non solo francese del secondo dopoguerra?
Perché Marx, divenuto oggi cosi desueto e fastidioso, fu posto assieme a Nietzsche e a Freud? Forse perché, nonostante tutto, la sua portata critica ci preservava da quella sorta di incanto che è l’apologia dell’esistente e che si accompagna sempre con un senso debole della memoria e della storia?


“il manifesto”, 24 ottobre 1990

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