Un recente libro di
Jeffrey Burton Russell, docente di medievistica alla University of
California, Santa Barbara (Satana. Il diavolo e l’inferno tra il
primo e il quinto secolo, Milano, Mondadori, 1986) mette in crisi
lo schema corrente della figurazione diabolica, che nelle culture
popolari, ma anche in molte testimonianze della cultura dotta, si
configura in una invariabilità astorica, quasi non soggetta ai
mutamenti di simbolismi e di segni che appartengono ad ogni processo
di umane vicende. Qui, in queste pagine, dense di notazioni e ricche
di alta sapienza filogica, molto ben tradotte da Massimo Parizzi, il
nostro carnale amico Diavolo si ricompone attraverso una precisa
serie di stratificazioni ideologiche e mitiche dei primi cinque
secoli dell’era cristiana e viene ricondotto a quella storicità e
concretezza che appartiene ad ogni metafora figurata della cronaca
degli uomini: e certo il diavolo di millecinquecento anni addietro
era diverso da quello che emerge oggi in alcuni limiti e margini
della cultura urbana o in talune esperienze oniriche della tradizione
di popolo o nelle angosce papali.
Passano in queste pagine
le dense controversie teologiche dei Padri della Chiesa, da Ireneo a
Lattanzio e Agostino e, nella puntuale notazione delle fonti,
travestono i vari problemi della presenza del male nel mondo,
incarnato nell’epifania satanica, e l'universo delle tentazioni cui
i monaci del deserto sono esposti. Si giunge a soluzioni di ricca
variazione. In Lattanzio è, per esempio, presente uno stimolante
dualismo, una contrapposizione pesante fra il Cristo, spesso
considerato, nella teologia di Lattanzio come un angelo, e il suo
oppositore angelico, Satana. Stridente conflittualità, che inficia
le basi stesse del monoteismo e inclina verso quella che sarà la
grande esplosione manichea: una conflittualità che dimentica
l’insegnamento corrente nell’Antico Testamento, dove è
riaffermata l’unicità (echad) di Dio e lo stesso male è
forma storica degli interventi di Jhwh nel tempo umano. Dio nella
Bibbia ha, in sé, una ruah ra’ah, uno spirito della
malignità e del dissesto cosmico e umano, che invia in mezzo agli
uomini, come forma di pazzia e di abbandono della via dell’equilibrio
(shalom). E lo spirito nefasto che porta Saul alle soglie
della pazzia e della morte, ed è quel Satan, l’avversario per
eccellenza, che nel Libro di Giobbe si pone fittiziamente come
«nemico di Dio» ed è solo il provocatore di risposte e discorsi
divini che confermano lo schema monoteistico.
Furono questi nostri
protopadri culturali afflitti da molte epifanie demoniache. Il
demonio, a differenza di quanto avviene oggi, errava per i deserti, e
sant’Antonio abbate, quale appare nella vita tracciata da
sant’Attanasio, diviene esemplare immagine di una lotta contro la
prorompente energia diabolica, che è rappresentata nella donna e
negli animali selvatici. Flaubert, con il suo Sant’Antoine,
ha rinnovato queste storie di lascive sottili e di tentennamenti
della carne, che celano la radicale misoginia dell’ideologia
cristiana dei primi secoli. È, questo di Russell, un peregrino
itinerario attraverso la storicità e la storicizzazione del demonio,
carico ancora delle assurdità teologiche cui dà origine: perché
mai, si chiedono i Padri, un dio essenzialmente buono, sede della
tutela della creatura, espone la stessa creatura al male tentante e
agli assalti di un mostro mitico? E la domanda resta, anche
attualmente, nella sua conturbante attualità.
In fondo, all'interno del
processo demonio-genetico occidentale e orientale, va tenuta presente
la dura polemica cristiana contro il mondo antico, assaltato e
distrutto. Gli dei delle genti si fanno in quest’epoca, epifanie
sataniche. Demoni sono il grande Pan, che, nel testo di Plutarco,
annunzia la sua morte nella distesa dell’Egeo, demoni divengono i
satiri, le ninfe, i centauri, le immagini divine itifalliche del
bosco e del solleone. Non a caso, in questa storicizzazione, il
Satana cristiano assumerà i tratti degli antichi numi, con il piede
forcuto, la pelle coperta da peli, l’invadente foga sessuale e
spermatica, il ludibrio di una non saziata libidine. E, in fondo, due
mondi si oppongono, quello tardo-antico carico di un bisogno
scomposto di godimento, anche melanconico, della vita, e il nuovo
universo evangelico, che solleva la condizione dell’uomo a peccato
e colpa: un male dal quale non siamo ancora liberi.
Tre giovani, Anna Maria
Crispino, Fabio Giovannini e Marco Zatterin, pubblicano Il libro
del Diavolo. Le origini, la cultura e l’immagine (Bari, Dedalo,
1986, pagg. 192, L. 25.000), molto ricco di esempi iconografici. Si
tratta sostanzialmente di una antologia di temi diabolici, ben curati
e collegati, che annota molte cose sulla demonologia di interesse
contemporaneo, e le annota con acume critico e con gusto. Gli autori,
avvalendosi di testimonianze scientifiche sulla tradizione
demonologica, sono principalmente interessati a collegarle
all’attuale diffusione dei culti satanici, senza eccedenti pretese
dottrinali. Si sforzano, così, di comprendere perché Torino diviene
attualmente un luogo diabolico per eccellenza, con le sue comunità
di evocatori e di stregoni, che ho conosciuto da vicino, e perché la
stessa Urss si fa, come da un’antica tradizione, uno dei luoghi
deputati della presenza diabolica, che emerse anche in tutta la
cultura italiana della fine del secolo scorso e dei primi decenni di
questo secolo. Alcuni filoni satanici della Massoneria ottocentesca,
il «paganesimo» che circola nella letteratura europea, la noia
dell'invadenza ecclesiastica e beghina di Pio IX, le esperienze di
limite che provenivano dalla Francia, soprattutto da Huysmans, si
proiettano in quella singolare produzione «satanica» emergente
nell’Inno a Satana di Carducci e nei frammenti dell’inno
ad Arimane di Leopardi. È un ambiente demoniaco nel quale
contraddittoriamente crescono le invenzioni mitiche dei Simbolisti,
del grande Maestro massone Aleister Crawely, della comunità
palladiana, che della figura demoniaca faceva, fino ai principi del
secolo, il suo referente culturale. È un buon libro che interessa
quanti, nelle grandi confusioni che riguardano l’argomento,
vogliano avere un'immagine chiara e documentata del Diavolo nella
nostra epoca.
Affollato di diavoli, di
succubi, incubi, gnomi e mostri vari è un dimenticato trattatello
del ’600, la Cautio criminalis, propriamente la «cautela da
usare nei processi di stregoneria» che, composto nel 1631, dal
gesuita tedesco Friedrich von Spee appare ora in un’attenta
traduzione italiana presso l’editore Salerno (pagg. 337, L.
24.000). Lo Spee intendeva principalmente definire, in una critica
sottile di impianto scolastico, le assurdità del processo
inquisitoriale antistregonico e dimostrare tutta la prevaricante
violenza sottesa nella tortura, sempre destinata a provocare false
confessioni o a legittimare l’accusa di stregoneria: giacché se
l’inquisita non si arrendeva alla confessione era presunta amica
segreta ed occulta del demonio, per quel maleficio del silenzio che
le consentiva, per magia, di sopportare senza reazioni i tormenti.
È, infine, da segnalare,
la ripubblicazione di uno dei tanti libri parolai e inutili di
Giovanni Papini (Il diavolo. Appunti per una futura diabologia,
Milano, Oscar Mondadori), che può essere riletto soltanto per
l’intelligente prefazione di Mario Gozzini, aperta alle più
attuali problematiche sul male.
"il manifesto - la talpa giovedì", ritaglio senza data, ma 1986
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