8.5.17

I volti del tentatore. Due millenni di diabologia laica e cristiana (Alfonso M. Di Nola)

Un recente libro di Jeffrey Burton Russell, docente di medievistica alla University of California, Santa Barbara (Satana. Il diavolo e l’inferno tra il primo e il quinto secolo, Milano, Mondadori, 1986) mette in crisi lo schema corrente della figurazione diabolica, che nelle culture popolari, ma anche in molte testimonianze della cultura dotta, si configura in una invariabilità astorica, quasi non soggetta ai mutamenti di simbolismi e di segni che appartengono ad ogni processo di umane vicende. Qui, in queste pagine, dense di notazioni e ricche di alta sapienza filogica, molto ben tradotte da Massimo Parizzi, il nostro carnale amico Diavolo si ricompone attraverso una precisa serie di stratificazioni ideologiche e mitiche dei primi cinque secoli dell’era cristiana e viene ricondotto a quella storicità e concretezza che appartiene ad ogni metafora figurata della cronaca degli uomini: e certo il diavolo di millecinquecento anni addietro era diverso da quello che emerge oggi in alcuni limiti e margini della cultura urbana o in talune esperienze oniriche della tradizione di popolo o nelle angosce papali.
Passano in queste pagine le dense controversie teologiche dei Padri della Chiesa, da Ireneo a Lattanzio e Agostino e, nella puntuale notazione delle fonti, travestono i vari problemi della presenza del male nel mondo, incarnato nell’epifania satanica, e l'universo delle tentazioni cui i monaci del deserto sono esposti. Si giunge a soluzioni di ricca variazione. In Lattanzio è, per esempio, presente uno stimolante dualismo, una contrapposizione pesante fra il Cristo, spesso considerato, nella teologia di Lattanzio come un angelo, e il suo oppositore angelico, Satana. Stridente conflittualità, che inficia le basi stesse del monoteismo e inclina verso quella che sarà la grande esplosione manichea: una conflittualità che dimentica l’insegnamento corrente nell’Antico Testamento, dove è riaffermata l’unicità (echad) di Dio e lo stesso male è forma storica degli interventi di Jhwh nel tempo umano. Dio nella Bibbia ha, in sé, una ruah ra’ah, uno spirito della malignità e del dissesto cosmico e umano, che invia in mezzo agli uomini, come forma di pazzia e di abbandono della via dell’equilibrio (shalom). E lo spirito nefasto che porta Saul alle soglie della pazzia e della morte, ed è quel Satan, l’avversario per eccellenza, che nel Libro di Giobbe si pone fittiziamente come «nemico di Dio» ed è solo il provocatore di risposte e discorsi divini che confermano lo schema monoteistico.
Furono questi nostri protopadri culturali afflitti da molte epifanie demoniache. Il demonio, a differenza di quanto avviene oggi, errava per i deserti, e sant’Antonio abbate, quale appare nella vita tracciata da sant’Attanasio, diviene esemplare immagine di una lotta contro la prorompente energia diabolica, che è rappresentata nella donna e negli animali selvatici. Flaubert, con il suo Sant’Antoine, ha rinnovato queste storie di lascive sottili e di tentennamenti della carne, che celano la radicale misoginia dell’ideologia cristiana dei primi secoli. È, questo di Russell, un peregrino itinerario attraverso la storicità e la storicizzazione del demonio, carico ancora delle assurdità teologiche cui dà origine: perché mai, si chiedono i Padri, un dio essenzialmente buono, sede della tutela della creatura, espone la stessa creatura al male tentante e agli assalti di un mostro mitico? E la domanda resta, anche attualmente, nella sua conturbante attualità.
In fondo, all'interno del processo demonio-genetico occidentale e orientale, va tenuta presente la dura polemica cristiana contro il mondo antico, assaltato e distrutto. Gli dei delle genti si fanno in quest’epoca, epifanie sataniche. Demoni sono il grande Pan, che, nel testo di Plutarco, annunzia la sua morte nella distesa dell’Egeo, demoni divengono i satiri, le ninfe, i centauri, le immagini divine itifalliche del bosco e del solleone. Non a caso, in questa storicizzazione, il Satana cristiano assumerà i tratti degli antichi numi, con il piede forcuto, la pelle coperta da peli, l’invadente foga sessuale e spermatica, il ludibrio di una non saziata libidine. E, in fondo, due mondi si oppongono, quello tardo-antico carico di un bisogno scomposto di godimento, anche melanconico, della vita, e il nuovo universo evangelico, che solleva la condizione dell’uomo a peccato e colpa: un male dal quale non siamo ancora liberi.
Tre giovani, Anna Maria Crispino, Fabio Giovannini e Marco Zatterin, pubblicano Il libro del Diavolo. Le origini, la cultura e l’immagine (Bari, Dedalo, 1986, pagg. 192, L. 25.000), molto ricco di esempi iconografici. Si tratta sostanzialmente di una antologia di temi diabolici, ben curati e collegati, che annota molte cose sulla demonologia di interesse contemporaneo, e le annota con acume critico e con gusto. Gli autori, avvalendosi di testimonianze scientifiche sulla tradizione demonologica, sono principalmente interessati a collegarle all’attuale diffusione dei culti satanici, senza eccedenti pretese dottrinali. Si sforzano, così, di comprendere perché Torino diviene attualmente un luogo diabolico per eccellenza, con le sue comunità di evocatori e di stregoni, che ho conosciuto da vicino, e perché la stessa Urss si fa, come da un’antica tradizione, uno dei luoghi deputati della presenza diabolica, che emerse anche in tutta la cultura italiana della fine del secolo scorso e dei primi decenni di questo secolo. Alcuni filoni satanici della Massoneria ottocentesca, il «paganesimo» che circola nella letteratura europea, la noia dell'invadenza ecclesiastica e beghina di Pio IX, le esperienze di limite che provenivano dalla Francia, soprattutto da Huysmans, si proiettano in quella singolare produzione «satanica» emergente nell’Inno a Satana di Carducci e nei frammenti dell’inno ad Arimane di Leopardi. È un ambiente demoniaco nel quale contraddittoriamente crescono le invenzioni mitiche dei Simbolisti, del grande Maestro massone Aleister Crawely, della comunità palladiana, che della figura demoniaca faceva, fino ai principi del secolo, il suo referente culturale. È un buon libro che interessa quanti, nelle grandi confusioni che riguardano l’argomento, vogliano avere un'immagine chiara e documentata del Diavolo nella nostra epoca.
Affollato di diavoli, di succubi, incubi, gnomi e mostri vari è un dimenticato trattatello del ’600, la Cautio criminalis, propriamente la «cautela da usare nei processi di stregoneria» che, composto nel 1631, dal gesuita tedesco Friedrich von Spee appare ora in un’attenta traduzione italiana presso l’editore Salerno (pagg. 337, L. 24.000). Lo Spee intendeva principalmente definire, in una critica sottile di impianto scolastico, le assurdità del processo inquisitoriale antistregonico e dimostrare tutta la prevaricante violenza sottesa nella tortura, sempre destinata a provocare false confessioni o a legittimare l’accusa di stregoneria: giacché se l’inquisita non si arrendeva alla confessione era presunta amica segreta ed occulta del demonio, per quel maleficio del silenzio che le consentiva, per magia, di sopportare senza reazioni i tormenti.

È, infine, da segnalare, la ripubblicazione di uno dei tanti libri parolai e inutili di Giovanni Papini (Il diavolo. Appunti per una futura diabologia, Milano, Oscar Mondadori), che può essere riletto soltanto per l’intelligente prefazione di Mario Gozzini, aperta alle più attuali problematiche sul male.

"il manifesto - la talpa giovedì", ritaglio senza data, ma 1986

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