22.5.17

Da Robespierre a Charlton Heston. La cultura delle armi negli Stati Uniti (Benoît Bréville)

Il 14 dicembre 2012, in una scuola elementare di Newtown (Connecticut), un uomo armato di un fucile d’assalto massacra ventisette persone, tra cui venti bambini. È la settima strage dall’inizio dell’anno, negli Stati uniti. «Queste tragedie devono cessare» dichiara il presidente Barack Obama, prima di annunciare la creazione di una commissione sul controllo delle armi da fuoco. Poco dopo, le vendite di armamenti toccano un massimo storico nel Tennessee. In cinque stati, Walmart deve fare i conti con l’esaurimento delle sue scorte di armi semiautomatiche; e si aggiungono centomila nuovi soci alla National Rifle Association (Nra), la potente lobby delle armi da fuoco (quattro milioni trecentomila aderenti, tra cui uno dei più famosi resta Charlton Heston).
Il 16 gennaio 2013, Obama svela le misure elaborate dalla commissione (divieto per i fucili d’assalto, i caricatori di grande portata, ecc.). Alla Borsa di New York le azioni dei colossi degli armamenti s’impennano: +5,6% per Sturm, Ruger & Co, +6,5% per Smith & Wesson. Prima delle ultime elezioni presidenziali, il presidente-direttore generale di Sturm, Ruger & Co, Michael O.
Fifer, già confessava: «Se glielo domandate, penso che la metà della gente che appartiene all’industria delle armi da fuoco direbbe che non si augura la sua [di Obama] rielezione. Ma, a conti fatti, sicuramente andranno di nuovo a votare per lui.» Ritenuto favorevole al controllo delle armi da fuoco, il presidente democratico si dimostra l’«alleato oggettivo» degli adepti della polvere da sparo: negli Stati uniti, la paura del sequestro alimenta a dismisura le vendite, e la minaccia di un maggiore controllo sulle armi da fuoco favorisce... i fabbricanti di armi.
Questo paradosso dipende in parte dall’uso ingegnoso del secondo emendamento della Costituzione americana (1787). Ogni volta che, in conseguenza di un massacro, monta una grande ondata di emozione popolare, i difensori delle armi da fuoco lo ripetono in tutti i modi: i Padri fondatori hanno voluto che ciascun cittadino avesse il diritto di «detenere e portare un’arma»; nessun governo ha il diritto di limitare una libertà così fondamentale.
Ma perché i padri della nazione hanno introdotto una tale disposizione nella Costituzione? Si preoccupavano del diritto alla caccia delle future generazioni? Non credevano che lo stato potesse garantire la sicurezza dei cittadini?
Il secondo emendamento è spesso sbeffeggiato dai media stranieri, che lo considerano una bizzarria, un arcaismo della società americana. Vi si associa a volte tanto il redneck («zotico») avvinghiato al suo fucile e al suo pick-up, a volte il padre di famiglia vagamente paranoico che vuole difendere in prima persona i suoi cari. Il diritto alle armi simboleggia allora l’individualismo del popolo americano. «Lo sappiamo, le armi da fuoco, sono tipiche della cultura statunitense», esclama su Rtl il conduttore Marc-Olivier Fogiel. Il suo interlocutore, il giornalista Claude Askolovitch, ritiene addirittura che il fatto sia «consustanziale a quel Paese», perché «gli americani si considerano ancora degli agricoltori che si battono contro gli inglesi». Solo «gli intellettuali illuminati della Costa est» sarebbero immuni da questa mania.
Ahimè! Il diritto alle armi contenuto nel secondo emendamento fu pensato, nel XVIII secolo, da «intellettuali illuminati della Costa est». All’epoca la questione non era né culturale, né individualista, ma politica e progressista, e si iscriveva in una lunga tradizione, ampiamente dimenticata oggi. Per secoli, le armi furono in effetti percepite come simbolo di libertà: che fosse la spada consegnata dal padrone al servo affrancato, sotto Enrico I d’Inghilterra (1100-1135); o il fucile negato agli schiavi francesi, a cui era vietato - secondo l’articolo 15 del Codice nero (1685) - «portare alcun’arma d’offesa, né grossi bastoni, se non a costo di frustate e del sequestro». Se i Padri fondatori hanno permesso a tutti i cittadini di armarsi, non era per «battersi contro gli inglesi», ma per esercitare un diritto da loro stessi considerato fondamentale: resistere all’oppressione, alla tirannia, per farla breve a uno stato che tentasse di oltrepassare le prerogative limitate che gli conferisce la Costituzione.
Questo diritto alla rivolta, compresa quella violenta, fu teorizzato nell’Europa del XVII secolo dai precursori degli Illuministi: «Il popolo sopporterà, senza rivolte, né proteste, certi errori gravi dei suoi governi, numerose leggi ingiuste - scriveva per esempio il filosofo inglese John Locke nel suo Trattato sul governo civile —. (...) Invece, se una lunga serie di abusi, di prevaricazioni e di frodi rivela un’unità d’intenti, che non può sfuggire al popolo, quest’ultimo prende coscienza del peso che lo opprime e scorge ciò che lo aspetta; non bisogna stupirsi, a quel punto, se si ribella.»

L’idea ha attraversato i secoli e le frontiere. Durante la Rivoluzione francese, Maximilien de Robespierre chiese che «si costruiscano delle fucine negli spazi pubblici dove fabbricheremo delle armi per armare il popolo». Appena un secolo più tardi, quando il governo autoritario di Adolphe Thiers decide di sequestrare i duecento ventisette cannoni collocati a Belleville e a Montmartre, che appartengono al popolo parigino, quest’ultimo si rivolta e instaura la Comune di Parigi. «Armi! Tutti i cittadini hanno il diritto di averne come sola garanzia seria, efficace, dei loro diritti», proclama allora il rivoluzionario di Narbona. L’idea è ripresa in seguito dai repubblicani spagnoli nel 1936, che chiedono armi all’estero per lottare contro il franchismo; dai partigiani della seconda guerra mondiale, che cercano di armare il popolo parigino; poi dai rivoluzionari cubani.
Trascurata dai progressisti, che hanno realizzato una forma di simbiosi con lo Stato, questa doppia tradizione dell’arma emancipatrice e del diritto alla resistenza è stata ripresa, negli Stati uniti, dai conservatori. Solo loro invocano ormai lo spirito originario del secondo emendamento: quello che «non è stato scritto per proteggere il vostro diritto a sparare a un daino, ma per proteggere il vostro diritto a sparare contro un tiranno se egli si impossessasse del vostro governo», ribadiva per esempio su “Fox News” l’editorialista Andrew Napolitano. In questo tentativo di recupero, i difensori delle armi da fuoco non esitano ad arruolare Martin Luther King, apostolo della disobbedienza civile non violenta. Larry Ward, militante attivo del secondo emendamento e ispiratore della «giornata in onore delle armi» (Gun Appreciation Day), la cui prima edizione si è tenuta il 19 gennaio, affermava così su Cnn: «Io credo che questa giornata onori l’eredità del dott. King. Se egli fosse ancora vivo, sarebbe d’accordo con me nel dire che la schiavitù non sarebbe mai durata così a lungo nella nostra storia se gli afro-americani avessero avuto il diritto di portare un’arma sin dalla nascita di questo paese». Wayne LaPierre, l’inamovibile vice-presidente della NRA, evoca senza mezzi termini il ricordo del genocidio degli ebrei d’Europa: «In Germania, il controllo delle armi da fuoco ha consentito il successo della Shoah».
I partigiani di una regolamentazione del commercio delle armi da fuoco sarebbero dunque altrettanti schiavisti o nazisti inconsapevoli, E, poiché la Costituzione permette a ciascuno di possedere un’arma per combattere la tirannia, chiunque proponga di circoscrivere questo diritto è paragonabile a un potenziale tiranno. Insomma, il popolo deve armarsi per difendere il suo diritto alle armi.
I cittadini americani avrebbero tuttavia ben altre occasioni per proteggere l’eredità dei Padri fondatori. In seguito agli attentati dell’ 11 settembre 2001, il loro governo ha autorizzato lo spionaggio di cittadini innocenti senza mandato, l’incarcerazione dei presunti terroristi senza processo, le esecuzioni extra-giudiziarie; esso ha dichiarato guerra senza chiedere il permesso al Congresso. Così facendo, ha ridicolizzato il quarto, quinto, sesto e ottavo emendamento. Senza che neanche una delle trecento milioni di armi da fuoco in circolazione negli Stati uniti sia stata brandita per esigere il rispetto della Costituzione...


“Le monde diplomatique” febbraio 2013 Ed.Italiana (traduzione di V. C.)

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