Caravaggio, La Conversione di San Paolo |
Di volumi su Paolo,
apostolo, scrittore, teologo, ne sono stati scritti talmente tanti, e
sotto tutti i punti di vista, che può apparire inutile aggiungere un
altro titolo ad una bibliografía pressoché infinita. Eppure il
nuovo libro di Barbaglio (Cittadella Editrice, Assisi), - uno dei
biblisti italiani più noti e preparati — riesce a dire non poco di
nuovo. Partendo proprio dal presupposto delle molte lettura di Paolo
— ortodosse ed eretiche, rivoluzionarie e reazionarie, mistiche e
pragmatiche, ecc. — Barbaglio affronta tutto Paolo (vita, scritti,
attività missionaria) dal punto di vista della critica storica,
rigidamente intesa, con sano equilibrio nell’uso delle fonti, senza
forzature e senza il benché minimo dogmatismo. Questo approccio
scientifico, d’altronde, non è una novità: più nuove, invece, le
due ottiche che Barbaglio inserisce nell’approccio storico-critico:
la contestualizzazione di Paolo nel vasto quadro della chiesa e della
società e letteratura del suo tempo, e, in secondo luogho, la
ricezione di Paolo nella chiesa primitiva (fino a tutto il secolo II)
: il titolo è, infatti, Paolo di Tarso e le origini cristiane.
Come viveva Paolo
La prima ottica permette
una lettura di Paolo più facile, specie per chi ha una certa
conoscenza laica dell’antico mondo latino, greco e mediorientale, e
più profonda. Si vedano, come esempio, le pagine dedicate allo stato
sociale e civile di Paolo, soprattutto al suo sostentamento mediante
il lavoro manuale (cap. IV) e anche le pagine sulla epistolografia
antica (179 ss.) che consentono una lettura molto agevolata delle
famose e difficili lettere dell’apostolo.
Sulla base di studi ormai
sicuri, Barbaglio distingue nettamente, d’altronde, nel ricco
epistolario paolino inserito nel canone del Nuovo Testamento le sette
lettere che si possono dire autentiche (la prima ai Tessalonicesi, le
due ai Corinti, quelle ai Galati, ai Filippesi, a Filemone, ai
Romani) dalle altre sei che sono state scritte nell’ambito della
sua scuola (la quattordicesima della serie, quella agli Ebrei, ha
poco o niente di paolino).
Ancora più nuova
l’ottica della ricezione, che occupa gli ultimi capitoli del
volume, i più originali. Dalla fine del primo secolo a tutto il
secondo, Paolo domina il cristianesimo primitivo, al punto da far
pensare che la figura stessa di Gesù ne restasse oscurata (ma
Barbaglio rifiuta, documenti alla mano, questa radicalizzazione). O
per osannarlo, o per accusarlo, o per cercare di farlo dimenticare
tacendo, Paolo è al centro delle polemiche e dei dibattiti.
Le due principali
correnti «eretiche» (le virgolette sono necessarie, parlando di
un’epoca nella quale non erano stati fissati i criteri di una
«ortodossia») del secolo II si appropriano, in maniera diversa,
dell’insegnamento di Paolo, giocandolo contro i loro avversari
«ortodossi». Marcione e i suoi seguaci, radicalizzandone
l’insegnamento in senso antigiudaico, dualistico, quasi manicheo;
gli gnostici esaltandone gli aspetti spiritualistici, pneumatici,
neo-platonici. Le correnti cristiane più legate all’antico
giudaismo, intanto, lo condannano perché traditore dell’antica
tradizione. Barbaglio, però, documenta il cammino non sempre
rettilineo del pensiero paolino negli scritti teologici dei primi
secoli, fino a divenire — alla fine del secolo II e ad opera
soprattutto. di Ireneo di Lione e del suo grande influsso — il
teologo cristiano più influente, citato e rispettato.
Un gigante e i suoi
limiti
Come qualsiasi opera
scientifica, anche questa di Barbaglio fornisce una quantità di
strumenti, ma non offre valutazione a poco prezzo. Il suo Paolo è
una figura gigantesca, ma non isolata dai condizionamenti del tempo e
non priva di limiti: gli uni e gli altri appaiono puntualmente dove è
logico aspettarseli. Nel grave problema, ad esempio, delle attese
escatologiche, che Paolo affronta in varie fasi successive,
fornendone soluzioni non sempre .definitive né soddisfacenti; cosi,
altro esempio interessante, nella questione del ruolo delle donne
nelle comunità. Ed anche nell’annoso problema dell’atteggiamento
di Paolo nei confronti dei problemi sociali del tempo (schiavi,
ecc.): Barbaglio approfondisce l’analisi dei testi e dei contesti,
evitando le facili conclusioni. «A parere di Paolo, luogo
dell’attuale novità cristiana è la sfera del personale e l’ambito
comunitario delle piccole aggregazioni ecclesiali, mentre il gran
mondo resta il destinatario della missione evangelizzatrice. Alle
Comunità cristiane, caratterizzate da fattivo amore e fraterna
solidarietà, assegna il ruolo profetico di prefigurazione della
nuova umanità e del nuovo mondo. Possiamo anche individuare le cause
di tale ristretta visuale: la fallace persuasione della prossima fine
della storia che sarà chiusa dalla venuta di Cristo glorioso;
soprattutto il radicale pessimismo verso le capacità dell’uomo di
guidare i suoi passi, conseguente al dogma che la salvezza ha Cristo
e Dio come sua unica fonte» (pagg. 217-218).
Paolo è un personaggio
al quale non ci si può accostare con indifferenza: o simpatia o
antipatia, ed accese, come la storia della sua ricezione dimostra
(peccato che Barbaglio si sia fermato al 200!). Da questo volume
traspare una profonda passione per un personaggio intollerante ed
appassionato, forse integrista, ma mai convenzionale, una figura che
da venti secoli continua a interrogare, a porre in questione chi gli
si accosta. Ma Barbaglio è riuscito a imbrigliare la simpatia.
Nessun orpello, nessuna parola in più: ogni riga un concetto, una
citazione, un rinvio. Un testo, pur nella sua completezza, stringato,
essenziale, una dote rara ai nostri tempi.
"il manifesto", ritaglio senza data, probabilmente 1985
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