8.5.17

Dimmi la tua fiaba zingara (Ida Magli)


La cultura zingara possiede una ricca tradizione orale. Le fiabe vengono narrate da chiunque le conosca in moltissime occasioni: serate tra amici, lunghi viaggi, oppure riunioni formali come i battesimi e specialmente le veglie funebri che possono durare molti giorni e molte notti e dove le fiabe vengono narrate non per intrattenere ma per consolare. Questa tradizione, tuttavia, oggi rischia di disperdersi; si presenta quindi tanto più utile e interessante l'opera di Diane Tong che ha raccolto in forma scritta alcune delle fiabe più note traendole da un vasto repertorio internazionale. (Storie e fiabe degli zingari, traduzione di Andrea Di Gregorio, Guanda, pagg. 320, lire 30.000).
Non conosciamo statistiche precise sulla popolazione zingara sparsa nel mondo; gruppi di zingari si sono stabiliti in ogni nazione dell'Europa, in Medio Oriente, nel Nord Africa, in America, nelle Hawaii, in Australia e in Nuova Zelanda e si calcola che oltre ai circa venti milioni che vivono in India, ci siano dai dieci ai venti milioni di zingari sparsi un po' in tutti i paesi. Originari dell'India settentrionale, gli zingari si mossero, a partire dal decimo secolo, in successive ondate verso l'Europa dove la loro presenza è menzionata per la prima volta nel XV secolo. Popolo nomade per antonomasia, ha sempre svolto varie attività, quelle stesse che ritroviamo più frequente nelle fiabe: la lavorazione del ferro, il commercio dei cavalli, la musica, la chiromanzia e, non ultima, proprio la narrazione di fiabe.
Percepiti, in quanto stranieri e nomadi, come portatori di valenze negative, gli zingari sono stati perseguitati dovunque andassero con massacri, deportazioni e per più di cinque secoli, nell'Europa sud orientale e centrale, ridotti in schiavitù. Liberati ufficialmente alla metà dell'Ottocento, gli zingari hanno però dovuto sottostare da quel momento e quasi dappertutto ai tentativi di assimilazione forzata e di rinuncia alla loro cultura. L'odio contro di essi ha raggiunto il suo culmine con il nazismo durante il quale mezzo milione di zingari perirono nell'Olocausto.

Matrimoni misti
Una testimonianza di questa tragedia è entrata a far parte della tradizione orale zingara con il racconto Il piccolo zingaro di Auschwitz. Ma, malgrado il generale raccapriccio nei confronti dell'Olocausto, l'immagine negativa degli zingari è rimasta e se ne trova qualche traccia anche in Italia dove spesso succede che quartieri cittadini si sollevino contro la vicinanza delle roulotte e che le madri rifiutino di mandare a scuola i loro figli se vi si trovano anche bambini zingari. Naturalmente è il loro stile di vita, riassunto nel nomadismo, che si configura in modo negativo negli stereotipi che li accompagnano: essere sporchi, essere mendicanti, essere ladri, essere incapaci di lavorare e così via. Il disprezzo di cui gli zingari sono oggetto da parte del resto del mondo è uno dei temi maggiormente trattati nelle loro storie. Nella Zingara e la caverna si parla di una delle difficoltà più comuni, ossia del non poter trovare luoghi dove accamparsi perché nessuno li vuole vicino; nell'Uccello è descritto l'orrore con il quale molti non-zingari vedono i matrimoni misti: la profezia dell'uccello che la figlia del nobile sarebbe andata sposa ad uno zingaro tormenta il nobile che non sa pensare ad altro. Nel racconto americano Alifi e Dalifi l'eroe ha imparato che di solito non è opportuno rivelare la propria identità etnica: “Il ragazzino non voleva parlare di sé perché sapeva che se avessero saputo che era zingaro, non l' avrebbero più voluto. Così, quando vide la bella casa e con che riguardo veniva trattato, rifiutò di dire qualsiasi cosa su di sé: né da dove venisse né chi fossero i suoi genitori. Fece finta di non saperne nulla”. In due racconti: La vendetta del rospo e Come si sta nel paradiso degli zingari troviamo bene espressa la loro collera di fronte al modo con cui sono trattati e le fantasie di rivalsa con cui tentano di consolarsi: “In questo nostro paradiso zingaro, i nostri figli zingari si incontrano per contarsela e bere alla propria salute. I figli dei gagé (i non-zingari), invece, se ne stanno fuori a tremare di fame e di freddo e a elemosinare un po' di cibo dai nostri figli. Ma i nostri figli zingari ridono, ridono di loro. Li prendono in giro e mangiano, e mangiano ma non danno loro neanche un boccone”.
Un altro tema significativo di questi racconti è l'orgoglio di essere zingari. Nel racconto La creazione, per esempio, il colore giusto della pelle è quello zingaro; e nella Zingara e la caverna il narratore esalta l'intelligenza e l'ingegnosità degli zingari: “Ecco perché da allora fino a oggi, dieci milioni di anni dopo, la gente dice ancora che gli zingari sanno tutto. Ed è vero”.
Molti racconti eziologici presentano una spiegazione del perché gli zingari sono sparpagliati sulla terra: “Questo fatto accadde molto tempo fa. Uno zingaro era in viaggio con la sua famiglia. Il suo cavallo era magro e malfermo sulle gambe, e più la famiglia dello zingaro cresceva, più a lui riusciva difficile tirare avanti il suo pesantissimo carro. Ben presto, d'altronde, il carro fu talmente pieno di ragazzetti che saltavano l'uno sull'altro che il povero cavallo a malapena poteva trascinarsi lungo la pista sconnessa. Mentre il carro procedeva faticosamente, inclinandosi prima a sinistra, poi piegandosi a destra, pentole e padelle finivano per rotolare fuori e, di tanto in tanto, anche qualche bambino veniva scagliato a capofitto sulla strada. Certo, non era poi così terribile di giorno, quando potevi sempre fermarti a raccogliere da terra pentolame e marmocchi, ma di notte poteva cadere qualsiasi cosa e neppure te ne saresti accorto. E in ogni caso, chi mai sarebbe riuscito a tenere il conto di una tribù simile? E intanto il ronzino continuava per la sua strada. Lo zingaro continuò a viaggiare per il mondo e, dovunque andasse, si lasciava dietro un figlio e un altro, e un altro ancora. E così, vedete, accadde che gli zingari si sparpagliarono in tutto il mondo”.
Anche sulla presenza della musica nella loro vita si narrano molte fiabe, come per esempio in Come gli zingari sono diventati musicisti, Il rom nel pianoforte e Il violino tzigano in cui è il diavolo che insegna a una ragazza, infelice per amore, a suonare il violino traendone dolcissime melodie.

Esperienza di vita
Alcuni dei temi trattati nelle fiabe zingare sembrano essere originali del loro folclore, ma molti altri sono comuni alla tradizione universale; così, per esempio, troviamo una specie di versione maschile di Cenerentola nel racconto polacco Il fratello stolto e il cespuglio magico, con il trionfo finale dell'umile eroe e il riconoscimento del suo valore; nella storia gallese Jack e la tabacchiera d'oro vi sono invece tre motivi diffusissimi nel folclore universale, quali quello del giovane che parte per vedere il mondo, quello del padre di una principessa che impone un arduo compito al pretendente alla mano di sua figlia e quello, analizzato da Bettelheim dal punto di vista psicoanalitico, degli animali che aiutano l'eroe nelle sue difficoltà e senza il cui intervento non sarebbe in grado di affrontare la vita reale. In l'Uccello e la gabbia d' oro si trovano elementi comuni a temi universali come quello del fratello minore che riesce nella sua impresa nonostante la slealtà dei due fratelli maggiori, e nella Volpe e il mugnaio troviamo una versione del Gatto con gli stivali in cui appunto, contrariamente alla tradizione dell'Europa occidentale in cui l'animale servizievole è il gatto, il suo ruolo è assunto dalla volpe, come nella versione italiana, greca, russa e in genere quelle orientali. Nel Rimborso del morto troviamo una variante del racconto-tipo, diffuso ovunque, nel quale un misterioso straniero torna dall'aldilà per pagare un debito di riconoscenza, racconto trattato letterariamente da Hans Christian Andersen nella fiaba Il compagno di viaggio; nell'Ingegnosa figlia del sarto c' è invece un tema greco, ripreso in una variante siciliana nella Caterina la sapiente di Italo Calvino. In effetti la maggior parte dei racconti zingari appartiene alla tradizione folclorica indoeuropea e forse furono proprio gli zingari, nel loro vagabondare e nel ruolo di narratori professionisti che gli è proprio, a trasportare nei vari paesi questi racconti, adattandoli alla loro esperienza di vita e cercando di giustificare e di rendere positivi soprattutto quegli aspetti che continuano ad essere percepiti come disvalori dal mondo nemico che li circonda.


“la Repubblica”, 7 dicembre 1990  

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