Pio XI |
Ma papa Francesco decide
tutto da solo? È davvero difficile, con quel poco che si sa di certo
sul Vaticano, dare oggi una risposta a questa domanda. La recente
presa di posizione della Chiesa sul funerale di Priebke, a cui
Adriano Prosperi ha dedicato un notevole articolo sulla Repubblica,
lascerebbe pensare di sì: che sia stata una decisione solo sua, del
vescovo di Roma. Ma non è detto. La storia dei Papi e della Chiesa,
a conoscerla meglio, può riservare molte sorprese. Si veda ad
esempio il profondo cambiamento che ne ha modificato da non molto la
storiografia relativa al Novecento. Alcuni forti segnali di novità
erano arrivati nel passato: si ricordino in particolare i bei lavori
di Giovanni Miccoli, di Daniele Menozzi e di Susan Zuccotti. Ma da
quando sono stati aperti gli archivi vaticani, e si possono vedere i
documenti fino al 1939, data di morte di Pio XI, è incominciata una
nuova fase.
Davanti ai documenti
veri, e non alle chiacchiere interessate, un grande numero di cose è
cambiato. Sono passati dieci anni da quella apertura, il tempo giusto
per far emergere studi seri. E ora disponiamo davvero di un quadro
più circostanziato e di un nuovo gruppo di studiosi attrezzati e non
prevenuti. È il caso di Lucia Ceci e del suo recente volume
L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini
(Laterza 2013), su cui mi soffermo in particolare qui. Ma si
possono aggiungere anche altri nomi di studiosi. Il riferimento ovvio
è a Hubert Wolf, che ha indicato la strada con i suoi studi sul
Sant’Uffizio; ma si vedano, tra gli altri, Giovanni Coco, Gabriele
Rigano, Laura Pettinaroli, Paolo Valvo. Superando le forti resistenze
del passato, ora i documenti vengono studiati senza dover a tutti i
costi(salvo qualche eccezione) difendere l’onorabilità della
cattedra di Pietro.
Una cosa che il notevole
libro di Lucia Ceci ci dice è che un organismo così complesso e
articolato com’è la Chiesa recente, che è pur sempre una
teocrazia, non si capisce solo guardando e studiando il Papa e la
Curia. Pio XI fu un Papa verticista come non si vedeva da secoli, un
Papa quasi medievale nella sua aspirazione a convertire interi
continenti e popoli come gli slavi. A quest’ultimo scopo si
affidava a personaggi incredibili, come il gesuita Michel d’Herbigny,
che con alcuni viaggi scriteriati in Unione Sovietica, alla metà
degli anni venti riuscì a rovinare i rapporti tra Urss e Santa Sede
e a condurre alla rottura totale e alle persecuzioni dei cattolici in
quel paese.
Dall'altra, però, papa
Ratti a un certo punto chiamò come suo principale braccio destro
Pacelli, mediatore all'ennesima potenza, capace di gestire un
collegio di cardinali più che riottosi, classi dirigenti cattoliche
in tutto il mondo che chiedevano autonomia, fedeli e sacerdoti delle
più disparate tendenze, spesso in forte contrasto con Roma.
I vari totalitarismi
mettevano a dura prova la resistenza della Chiesa, perché facevano
nascere qua e là nuove forme di religioni laiche e di misticismi di
vario tipo, in concorrenza con la religione della Chiesa di Roma. Per
non parlare dei rapporti con gli stati. Come sottolinea bene Ceci, da
secoli la Chiesa non stipulava tanti Concordati come quelli siglati
al tempo di Pio XI (ben 16, in pochi anni). Eppure, anch'essi furono
a loro volta fonte di ulteriori conflitti, in Italia, in Germania, in
Francia. A tutto questo poi si aggiungevano altre situazioni di
scontro frontale in paesi cattolicissimi come Spagna e Messico. E
quindi altri uomini e altre risorse divennero necessari per gestire
questa grande situazione centrifuga: diplomatici, ordini religiosi,
uomini e politici di provata fede. E ci sarebbero da aggiungere gli
uomini dei mezzi di comunicazione, che proprio Pio XI, papa medievale
e moderno, utilizzò in abbondanza e in concorrenza con i regimi
totalitari: cinema, radio, giornali.
A proposito di
collaboratori di Pio Xi, segnalo alcune altre pagine molto
interessanti del libro di Ceci: quelle sull'influenza della rivista
dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica», sul Papa e sulla Chiesa
tutta. Anche qui, diverse cose erano state già dette. E il campo
parrebbe stranoto. Eppure, nel quadro unitario di questo libro,
colpisce il rapporto, così stretto e diretto e multifunzionale, che
viene indicato tra rivista (e gesuiti in genere) e azione papale e
della Chiesa.
Si veda ad esempio
l'analisi sull'elaborazione del concetto di «nazionalismo
esagerato», poi usato da Pio XI per indicare sia i movimenti
nazionalisti da condannare come l'Action Française degli anni venti,
sia però, in seguito, i regimi razzisti veri e propri, come nazismo
e fascismo. Il termine fu prodotto dalla rivista dei gesuiti prima
dell'arrivo al soglio del Papa, ma questi lo assimilò addirittura
nella sua prima enciclica, del dicembre 1922. Esso all'inizio stava a
indicare il nazionalismo bellicistico, che aveva portato alla prima
guerra mondiale. Applicando un termine così generico, in seguito, ai
regimi razzisti, il Papa si lasciò molta mano libera (e poté dire
che lui parlava appunto di «nazionalismo esagerato», non di
«razzismo»). Ma in fin dei conti evitò di definire i termini
possibili di una condanna della lotta tra le razze, di cui pure la
Chiesa all’epoca aveva preparato gli ambiti dottrinali.
Ma «La Civiltà
Cattolica» elaborò molto per tempo (1922) anche un altro concetto,
quello del «complotto ebraico» tratto dai Protocolli dei Savi
Anziani di Sion. E pure questo fu messo a disposizione (e usato) sia
del Papa sia da molti intellettuali della Chiesa. Anch’esso fece
una lunga strada. Anzi, si può affermare che, per via cattolica, i
Protocolli la fecero molto più lunga di quella che avrebbero potuto
fare nel solo ambito laico-antisemita in cui erano nati. Anche su
questo, Ceci fornisce alcune riflessioni interessanti.
In proposito aggiungo,
anzi, che ora sembrano per fortuna messe da parte le affermazioni,
fatte da varie parti nel passato, su una Chiesa, anche nei suoi
vertici, estranea al razzismo. Tuttavia ancora oggi esse affiorano
qua e là, anche a costo di deformare i documenti. Segnalo ad esempio
un recente saggio di Raffaella Perin (sull’ultimo numero della
«Rivista di Storia del Cristianesimo», 2013/1), la quale arriva a
dire che una lettera piuttosto imbarazzante, a proposito di ebrei e
razzismo, scritta da Pacelli su indicazione di Pio XI, non fu
consegnata a Mussolini. Quando ormai invece è dimostrato che essa,
rifatta l’8 agosto 1938 dal padre gesuita Tacchi Venturi (il trait
d'union del papa con Palazzo Venezia), fu letta e consegnata da
costui al duce: lo stesso Tacchi Venturi ha scritto che Mussolini la
«ritenne presso di sé». Forse Tacchi Venturi nella sua
rielaborazione calcò un po’ la mano sui dettagli di quella
lettera, esaltando il fatto che i Papi in passato avevano segregato
gli ebrei nei ghetti (per premunirsi «contro le loro malefatte»).
Ma il senso non era diverso da quanto la Chiesa aveva scritto e
ammesso negli anni passati. E Mussolini ebbe tra le mani quella
lettera e anche quella gli servì come arma di ricatto per ottenere
un accordo con la Chiesa sul razzismo.
Storia complessa ed
ecumenica, quella dell’istituzione Chiesa. Piena di meandri,
intessuta di rapporti, interni ed esterni, difficili da seguire.
Talvolta difensiva in modo arcigno e ossessivo, come fu al tempo di
Pio XI e di Pio XII. O conciliante, come quella di Giovanni XXIII e
Paolo VI. Talvolta aggressiva, perfino nel chiedere scusa, come fu
quella di Giovanni Paolo II: che dichiarò per ben 94 volte le colpe
avute dalla Chiesa nella sua storia, quasi a dire che essa era così
benedetta da Dio da potersi permettere di avere tanto sbagliato. Ma,
di sicuro, si tratta di un’istituzione mondiale e millenaria. Ben
venga papa Francesco, ma questo passato non lo potrà negare o
distruggere. Lui che tra l’altro proviene dal più strutturato e
istituzionale (e intelligente) dei segmenti della Chiesa, la
Compagnia di Gesù.
Alias domenica – il
manifesto 20 ottobre 2013
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