7.5.17

Mircea Eliade e il suo mosaico (Giancarlo Marmori)

Di tutte le opere di Mircea Eliade, centrale sul tema delle costanti nel comportamento dell’« homo religiosus », questa Storia delle credenze e delle idee religiose che ora arriva in Italia (Rusconi) è forse la più ambiziosa, nel senso che ci viene offerta come una sintesi delle sue precedenti ricerche.
L’opera si presenta infatti come un «puzzle» costituito dalla miriade di studi sullo stesso argomento che lo storiografo, fenomenologo ed ermeneuta dei miti, simboli, cosmogonie e quant’altro si riferisce all’«antropologia profonda» ha pubblicato negli anni. E ciò, appunto, collocando un elemento dopo l’altro nelle caselle vuote del suo gioco di pazienza, al fine di comporre un insieme prefigurato e concludere, implicitamente, che il sacro è un fattore della struttura della coscienza e non, come pretende il pensiero evoluzionista, uno stadio della storia della medesima.
Prima di realizzare questo compendio del suo insegnamento e delle sue analisi, Eliade aveva dunque creato, pezzo a pezzo, le tessere necessarie al suo mosaico finale. Aveva interpretato il significato dello yoga in Yoga, saggio sulle origini della mistica indiana, quello del mito dell’eterno ritorno nell’opera omonima; si era pronunciato su Lo sciamanismo e le tecniche arcaiche dell’estasi; aveva decifrato i crittogrammi sacri in Immagini e simboli, saggio sul simbolismo magico religioso; aveva esplorato i Miti, sogni e misteri di epoche remote e così via, arrivando alla conclusione che l’uomo moderno, storicizzato e confitto nel profano come mai prima, nei secoli, era ed è una creatura passabilmente infelice.

Attenzione infastidita
Da questa riflessione, o memoria di un antico esistere rituale, nacque il magistrale Nostalgia delle origini, una «bouteille à la mer» contenente il messaggio, peraltro pacato, d’una esigenza di soprassalto spirituale. Ignoriamo se questo primo volume della Storia delle credenze e delle idee religiose, in cui si rintracciano le principali manifestazioni dela religiosità, dalle mitologie preistoriche al culto di Dioniso, susciterà interesse al di fuori della cerchia accademica e nei lettori appassionati di esotismo, mistica e fenomeni arcani. Dati i precedenti, siamo tentati di dubitarne.
Eliade resta un semi «refusé», una indubbia ma abbastanza negletta autorità culturale, una presenza prestigiosa e, nondimeno, contenuta entro i limiti d’una relativa ed un poco infastidita attenzione. Molte ragioni concorrono al fatto che i suoi contemporanei non l’abbiano incluso nella pleiade dei pensatori del nostro tempo, oltre ai malumori di alcuni per certe sue trascorse debolezze nei confronti delle ideologie reazionarie tra le due guerre Innanzi tutto e, a prima vista, il suo stile è quello ostico e asciutto di chi stende un rapporto scientifico; trasmette dati a profusione e in nessun caso indulge all’oratoria, arte in cui, ad esempio, il fortunatissimo Lévi-Strauss è maestro consumato. Eliade non è teatrale, è anzi schivo e straordinariamente sobrio. In secondo luogo, appare difficilmente classificabile nei generi della speculazione odierna, e perciò disturba, si preferisce lasciarlo invecchiare nel limbo dell’indeterminato. Lo si direbbe infatti uno storiografo ultraerudito delle religioni e niente più; eppure il pathos sotterraneo che scorre sotto ogni suo testo, facendolo impercettibilmente vibrare — specie quando gl capita di scandire, salmodiando, «in illo tempore» — suggerisce il sospetto, se non la certezza, ch’egli sia anche un moralista; anzi, un apostata della profana razionalità e positività e, viceversa, un nostalgico dell’antichità ieratica. Ma quanti vorrebbero adottarlo come un vate della contestazione irrazionale ed un profeta di un mondo nuovamente in armonia col divino, rimangono delusi da quella sua costante ritrosia di professore universitario, se non di misurato gentiluomo.
Eliade non è dunque uno storico come gli altri e, tanto meno, un esagitato censore o sacerdote. Come non bastasse, si occupa e si è occupato di svariate materie, trasgredendo a una delle condizioni basilari del successo, cioè la specializzazione. Lo entusiasmarono gli insetti e gli alchimisti, scrisse un diario di notevole pregio umano e letterario, tradusse pagine di T.E. Lawrence, si tuffò nella psicoanalisi di Jung ed anche nell’ingenuo folclore ebraico di Marc Chagall. Ma non è tutto. Eliade è l’autore d’una decina di romanzi eccellenti, imperniati sul tema del confine ambiguo tra le apparenze concrete e l’apparente illusorietà delle visioni e miraggi.
Libri a dir poco solforosi, da elencare nei repertorio della narrativa romantico-fantastica mitteleuropea. Va anzi detto che Eliade tiene più a questi suoi romanzi, tutti scritti in romeno (lingua materna e veicolo privilegiato di esigenze interiori) che aèla sua saggistica. I romanzi gli sono costati una fatica tremenda, sovente compensata da esiti stupendi. Alludiamo, ad esempio, a Signorina Christina, uno spettro vampiro idi sesso femminile, ad Androcles e il serpente, oppure a La foresta proibita, testo iniziatico che sembra riferirsi alla esoterica «selva oscura» di Dante Alighieri. I saggi, a sentir lui, li tira quasi giù in francese o in inglese, torturato dalle scadenze editoriali e, comunque, approfittando d’una rarissima facilità di stesura.
E qui vale la pena di accennare al fascino discreto di questo cattedratico settantaduenne, uomo segaligno, leggero e sulle prime guardingo. Si rivela subito un sorprendente concentrato di cultura universale, perennemente e simultaneamente animato da forza centrifuga e centripeta. E, difatti, da un lato sparge attorno, a manciate, nozioni e ricordi, congetture e concetti, senza la minima enfasi o accidia ideologiche. Parla di Zaratustra o di un remoto Dio babilonese come di incantevoli farfalle intraviste « in illo tempore », durante un suo interminabile sogno ad occhi aperti. Dall’altro lato, appena coglie un messaggio dall’esterno, tende l’orecchio, fissa l’interlocutore con pupille di mantide religiosa e drizza itutte le antenne. Ci accadde, una sera, di sollecitarlo, con rispettosa malizia, su ipotesi etimologiche alquanto azzardate. E allora Eliade volse le spalle agli altri ospiti, per concentrarsi nell'ascolto. Alla moglie, che lo invitava ad un comportamento più conviviale, egli espresse, con grazia, il desiderio di venir lasciato in pace: «Stiamo dando la caccia a un etimo», disse, mentre il bicchiere gli tremava in mano. E cominciò ad elucubrare, preoccupato solo di accostarsi il più possibile ad una verità probabile, di marcare un punto sulla tabella del sapere sfuggente.

Da un continente all’altro
Eliade non è e non sarà mai urna «vedette» dello spasmodico dibattito intellettuale odierno né un erudito arido, perché il pudore gli impedisce il primo atteggiamento, mentre una specie di tenerezza cauta vivifica sempre le sue reminiscenze culturali. Non è e non sarà mai un augure di future restaurazioni, di Atlantidi sommerse, coltivando il gusto del riserbo, situato alla frontiera della passione e dello scetticismo, e oscilando di continuo tra l’analisi del repertorio antropologico primitivo e la sua sintesi. Plana a mezz’aria anche nello spazio dele onorificenze e dei consensi mondani. Non è un Premio Nobel, né un bestseller sostenuto dai mass-media. Piace e non piace, interessa o meno, annoia o meraviglia, a seconda delle indoli initelettuali. Il suo «medagliere» è fornito, ma non tanto da permettergli di credersi un’applaudita celebrità.
Insegnante di storia delle religioni all’università di Chicago, dopo aver vagabondato in India, da giovane, stentato la vita a Bucarest, inaugurato una carriera diplomatica a Londra e a Lisbona attraversato un periodo di «boheme» a Parigi in età matura, Eliadee si è visto infine elevare alla dignità di dottore «honoris causa» all’università di Yale, alla Loyola University, al Boston College ed alla Sorbona, oltre che a quella di membro dell’Accademia Reale del Belgio e di corrispondente onorario della British Academy. Da simili riconoscimenti non sembra ricavare vanto eccessivo, né viceversa mostra dispetto per la lesina di più prestigiosi omaggi. Conscio peraltro del proprio non precisabile valore, ed avvertendo che il tempo stringe, Eliade si adopera a diffondere le proprie opere nel mondo, assilla i suoi editori, corregge bozze a tutto spiano, in svariate lingue, salta in aereo da un continente all'altro e si incontra spesso con innumeri colleghi irreparabilmente irreligiosi.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1980

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