Di tutte le opere di
Mircea Eliade, centrale sul tema delle costanti nel comportamento
dell’« homo religiosus », questa Storia delle credenze e delle
idee religiose che ora arriva in Italia (Rusconi) è forse la più
ambiziosa, nel senso che ci viene offerta come una sintesi delle sue
precedenti ricerche.
L’opera si presenta
infatti come un «puzzle» costituito dalla miriade di studi sullo
stesso argomento che lo storiografo, fenomenologo ed ermeneuta dei
miti, simboli, cosmogonie e quant’altro si riferisce
all’«antropologia profonda» ha pubblicato negli anni. E ciò,
appunto, collocando un elemento dopo l’altro nelle caselle vuote
del suo gioco di pazienza, al fine di comporre un insieme prefigurato
e concludere, implicitamente, che il sacro è un fattore della
struttura della coscienza e non, come pretende il pensiero
evoluzionista, uno stadio della storia della medesima.
Prima di realizzare
questo compendio del suo insegnamento e delle sue analisi, Eliade
aveva dunque creato, pezzo a pezzo, le tessere necessarie al suo
mosaico finale. Aveva interpretato il significato dello yoga in Yoga,
saggio sulle origini della mistica indiana, quello del mito
dell’eterno ritorno nell’opera omonima; si era pronunciato su Lo
sciamanismo e le tecniche arcaiche dell’estasi; aveva decifrato
i crittogrammi sacri in Immagini e simboli, saggio sul simbolismo
magico religioso; aveva esplorato i Miti, sogni e misteri
di epoche remote e così via, arrivando alla conclusione che l’uomo
moderno, storicizzato e confitto nel profano come mai prima, nei
secoli, era ed è una creatura passabilmente infelice.
Attenzione
infastidita
Da questa riflessione, o
memoria di un antico esistere rituale, nacque il magistrale Nostalgia
delle origini, una «bouteille à la mer» contenente il
messaggio, peraltro pacato, d’una esigenza di soprassalto
spirituale. Ignoriamo se questo primo volume della Storia delle
credenze e delle idee religiose, in cui si rintracciano le
principali manifestazioni dela religiosità, dalle mitologie
preistoriche al culto di Dioniso, susciterà interesse al di fuori
della cerchia accademica e nei lettori appassionati di esotismo,
mistica e fenomeni arcani. Dati i precedenti, siamo tentati di
dubitarne.
Eliade resta un semi
«refusé», una indubbia ma abbastanza negletta autorità culturale,
una presenza prestigiosa e, nondimeno, contenuta entro i limiti d’una
relativa ed un poco infastidita attenzione. Molte ragioni concorrono
al fatto che i suoi contemporanei non l’abbiano incluso nella
pleiade dei pensatori del nostro tempo, oltre ai malumori di alcuni
per certe sue trascorse debolezze nei confronti delle ideologie
reazionarie tra le due guerre Innanzi tutto e, a prima vista, il suo
stile è quello ostico e asciutto di chi stende un rapporto
scientifico; trasmette dati a profusione e in nessun caso indulge
all’oratoria, arte in cui, ad esempio, il fortunatissimo
Lévi-Strauss è maestro consumato. Eliade non è teatrale, è anzi
schivo e straordinariamente sobrio. In secondo luogo, appare
difficilmente classificabile nei generi della speculazione odierna, e
perciò disturba, si preferisce lasciarlo invecchiare nel limbo
dell’indeterminato. Lo si direbbe infatti uno storiografo
ultraerudito delle religioni e niente più; eppure il pathos
sotterraneo che scorre sotto ogni suo testo, facendolo
impercettibilmente vibrare — specie quando gl capita di scandire,
salmodiando, «in illo tempore» — suggerisce il sospetto, se non
la certezza, ch’egli sia anche un moralista; anzi, un apostata
della profana razionalità e positività e, viceversa, un nostalgico
dell’antichità ieratica. Ma quanti vorrebbero adottarlo come un
vate della contestazione irrazionale ed un profeta di un mondo
nuovamente in armonia col divino, rimangono delusi da quella sua
costante ritrosia di professore universitario, se non di misurato
gentiluomo.
Eliade non è dunque uno
storico come gli altri e, tanto meno, un esagitato censore o
sacerdote. Come non bastasse, si occupa e si è occupato di svariate
materie, trasgredendo a una delle condizioni basilari del successo,
cioè la specializzazione. Lo entusiasmarono gli insetti e gli
alchimisti, scrisse un diario di notevole pregio umano e letterario,
tradusse pagine di T.E. Lawrence, si tuffò nella psicoanalisi di
Jung ed anche nell’ingenuo folclore ebraico di Marc Chagall. Ma non
è tutto. Eliade è l’autore d’una decina di romanzi eccellenti,
imperniati sul tema del confine ambiguo tra le apparenze concrete e
l’apparente illusorietà delle visioni e miraggi.
Libri a dir poco
solforosi, da elencare nei repertorio della narrativa
romantico-fantastica mitteleuropea. Va anzi detto che Eliade tiene
più a questi suoi romanzi, tutti scritti in romeno (lingua materna e
veicolo privilegiato di esigenze interiori) che aèla sua saggistica.
I romanzi gli sono costati una fatica tremenda, sovente compensata da
esiti stupendi. Alludiamo, ad esempio, a Signorina Christina,
uno spettro vampiro idi sesso femminile, ad Androcles e il
serpente, oppure a La foresta proibita, testo iniziatico
che sembra riferirsi alla esoterica «selva oscura» di Dante
Alighieri. I saggi, a sentir lui, li tira quasi giù in francese o in
inglese, torturato dalle scadenze editoriali e, comunque,
approfittando d’una rarissima facilità di stesura.
E qui vale la pena di
accennare al fascino discreto di questo cattedratico settantaduenne,
uomo segaligno, leggero e sulle prime guardingo. Si rivela subito un
sorprendente concentrato di cultura universale, perennemente e
simultaneamente animato da forza centrifuga e centripeta. E, difatti,
da un lato sparge attorno, a manciate, nozioni e ricordi, congetture
e concetti, senza la minima enfasi o accidia ideologiche. Parla di
Zaratustra o di un remoto Dio babilonese come di incantevoli farfalle
intraviste « in illo tempore », durante un suo interminabile sogno
ad occhi aperti. Dall’altro lato, appena coglie un messaggio
dall’esterno, tende l’orecchio, fissa l’interlocutore con
pupille di mantide religiosa e drizza itutte le antenne. Ci accadde,
una sera, di sollecitarlo, con rispettosa malizia, su ipotesi
etimologiche alquanto azzardate. E allora Eliade volse le spalle agli
altri ospiti, per concentrarsi nell'ascolto. Alla moglie, che lo
invitava ad un comportamento più conviviale, egli espresse, con
grazia, il desiderio di venir lasciato in pace: «Stiamo dando la
caccia a un etimo», disse, mentre il bicchiere gli tremava in mano.
E cominciò ad elucubrare, preoccupato solo di accostarsi il più
possibile ad una verità probabile, di marcare un punto sulla tabella
del sapere sfuggente.
Da
un continente all’altro
Eliade non è e non sarà
mai urna «vedette» dello spasmodico dibattito intellettuale odierno
né un erudito arido, perché il pudore gli impedisce il primo
atteggiamento, mentre una specie di tenerezza cauta vivifica sempre
le sue reminiscenze culturali. Non è e non sarà mai un augure di
future restaurazioni, di Atlantidi sommerse, coltivando il gusto del
riserbo, situato alla frontiera della passione e dello scetticismo, e
oscilando di continuo tra l’analisi del repertorio antropologico
primitivo e la sua sintesi. Plana a mezz’aria anche nello spazio
dele onorificenze e dei consensi mondani. Non è un Premio Nobel, né
un bestseller sostenuto dai mass-media. Piace e non piace, interessa
o meno, annoia o meraviglia, a seconda delle indoli initelettuali. Il
suo «medagliere» è fornito, ma non tanto da permettergli di
credersi un’applaudita celebrità.
Insegnante di storia
delle religioni all’università di Chicago, dopo aver vagabondato
in India, da giovane, stentato la vita a Bucarest, inaugurato una
carriera diplomatica a Londra e a Lisbona attraversato un periodo di
«boheme» a Parigi in età matura, Eliadee si è visto infine
elevare alla dignità di dottore «honoris causa» all’università
di Yale, alla Loyola University, al Boston College ed alla Sorbona,
oltre che a quella di membro dell’Accademia Reale del Belgio e di
corrispondente onorario della British Academy. Da simili
riconoscimenti non sembra ricavare vanto eccessivo, né viceversa
mostra dispetto per la lesina di più prestigiosi omaggi. Conscio
peraltro del proprio non precisabile valore, ed avvertendo che il
tempo stringe, Eliade si adopera a diffondere le proprie opere nel
mondo, assilla i suoi editori, corregge bozze a tutto spiano, in
svariate lingue, salta in aereo da un continente all'altro e si
incontra spesso con innumeri colleghi irreparabilmente irreligiosi.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1980
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