L'inglese Christopher
Serpell (1919-1991) fu giornalista (tra l'altro corrispondente BBC a
Roma e Washington), diplomatico e – durante la Seconda Guerra
Mondiale – perfino agente dell'Intelligence service, sotto la
direzione di Ian Fleming, il futuro inventore di James Bond. Mi è
parso molto attuale questo pezzetto sul profugo, incipit di un più
lungo articolo sull'accoglienza e la sistemazione dei profughi dopo
la seconda mondiale. (S.L.L.)
Il profugo può essere
stato un polacco, un russo, un baltico, un ebreo o uno zingaro; ma
questi vocaboli hanno un significato solo per definire il suo
passato. Servono a riempire la casella che nei censimenti ufficiali
richiede “l’ultimo domicilio e gruppo etnico”, ma non hanno
nessun contatto con la realtà attuale. Egli può essere stato
strappato dal suo ambiente sia dalle richieste di schiavi fatte tanto
insistentemente da Hitler, sia dalla politica nazista di persecuzione
e sterminio. Può darsi che egli sia semplicemente fuggito davanti
alle distruzioni della guerra totale, o ai mutamenti politici che
l’hanno accompagnata. Ma qualunque sia stata la causa originaria,
l’effetto finale è lo stesso: uno stato di vitalità in sospeso,
di esistenza menomata. Le funzioni per la sopravvivenza fisica sono
ancor li: mangiare, bere, dormire; ma quelle che formano la
personalità umana, le funzioni elevate che fanno d’un uomo un
cittadino responsabile e produttivo nella società, quelle sono
paralizzate e tutto l’organismo soffre nell’ansia del poterle
rivivificare.
da “The Listener”, Londra, in "Eco del mondo" n.31, marzo 1949, Mondadori, Milano
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