Perugia, Chiesa di San Pietro. Giorgio Vasari, Le nozze di Cana (particolare) |
Agli interessi politici e
ideologici che, ancora fino a qualche anno addietro, informavano lo
studio della figura di Gesù di Nazareth, si è venuta a sostituire
attualmente una pubblicistica meno impegnata di carattere
prevalentemente narrativo, tesa a ricostruire l’immagine storica, o
mitica. Fra gli anni Cinquanta e Settanta, anche nella scia dei
movimenti del ’68 e delle correnti cristiane anticonformiste, si
sviluppò una letteratura molto ricca intorno agli aspetti
rivoluzionari della predicazione evangelica, con il recupero dei
probabili rapporti di Gesù con i rivoluzionari antiromani della
Palestina, dagli Zeloti ai Sicari, mentre, in un diverso ambito, un
più sottile lavoro esegetico si apriva sulle radici giudaiche ed
esseniche della prima fioritura cristiana. Un nuovo libro di Giovanni
Gigliozzi Gesù di Nazareth. La storia più bella del mondo,
che ha il grande merito di una scrittura limpida e qui e lì commossa
e che arricchisce la narrazione con la riproduzione delle celebri
incisioni di Albrecht Durer, riflette appunto le attuali tendenze
intenzionalmente svincolate da preoccupazioni che non siano quelle
della più o meno fedele ricostruzione degli eventi narrati nella
fonte neotestamentaria.
Gigliozzi, dunque,
scavalca intenzionalmente la siepe delle controversie interpretative
che, nei secoli precedenti e fino alle soglie del nostro tempo, si
sono stratificate intorno al profeta palestinese e che propongono le
più contrastanti soluzioni, dalla negazione della stessa esistenza
storica di Gesù alla sua identificazione con una divinità solare
del mondo tardo-antico. Il libro vuole essere una partecipata e
rivissuta evocazione dei tratti «biografici» di una figura storica
della quale gli Evangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento,
impegnati prevalentemente nella predicazione missionaria o nel
dibattito contro gli avversari, ci hanno lasciato soltanto notizie
molto pallide. La scansione degli eventi fattuali che segnano l’iter
terreno di Gesù è, qui, tutta fondata sulle poche fonti, e
Gigliozzi ricorre, al massimo, alla ulteriore testimonianza della
letteratura protopatristica; indulgendo raramente alle suggestioni
della straripante letteratura apocrifa, che pure tanto peso ha avuto
nella tradizione e nell’iconografia cristiana. Suggestioni di tale
origine sono state qui e lì recepite. E’ certo, per esempio che i
Magi, dei quali si parla nel solo Evangelo di Matteo, non sono tre e
non sono re, particolare che Gigliozzi accetta come una tradizione
consolidata che si è sovrapposta a quella antica, che faceva dei
Magi dieci, dodici o quattordici personaggi. Così appare, nella
ricostruzione della nascita, quel particolare dell’asino e del bue
presenti nella grotta, un tema consueto nel presepe, nato da una
falsa interpretazione del testo greco di una profezia, nel quale, per
la simiglianza della trascrizione greca, un «fra due epoche» (eon)
diviene «fra due animali» (zoon).
Attenta è, in tutta la
lunga storia, suddivisa nelle varie fasi della vita di Gesù, la
fedeltà agli usi giudaici della cultura cui il profeta di Nazareth
apparteneva. L’autore si è coscienziosamente documentato e sa
inserire gli eventi nel preciso orizzonte storico delle consuetudini
ebraiche, delle feste, della mentalità del I secolo. Così che chi
voglia trovare una facile, suggestiva e onesta rievocazione di quel
tempo, non si imbatterà in svarioni e in anacronismi, che pure sono
circolanti in talune ricostruzioni: in un diffuso film su Gesù, il
curatore, per esempio, fa sottoporre il fanciullo tredicenne alla
cerimonia ebraica di maggiorità (bar mizwà), che viene a
definirsi ritualmente soltanto intorno al XIII secolo! E la onestà
della ricerca che Gigliozzi ha compiuto prima di scrivere è anche
dimostrata al punto che la sua posizione di fronte ai Farisei non è
irrigidita nel modello pregiudicante che discende dall’antica
lettura cristiana del mondo ebraico. L’autore sa bene che accanto
ad una scuola farisaica, rappresentata da Shammai, di tendenze
rigoriste e spesso aggredita da Gesù nel suo discorso, esisteva una
corrente tollerante guidata da Hillel (che stranamente e
romanescamente appare, nel libro, trascritto come Hillele).
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma 1987
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