Gustav Landauer |
Che la storia del
pensiero anarchico, con le sue alterne vicende, le rivoluzioni
soffocate sul nascere, i protagonisti condannati il più delle volte
a destini tragici, si svolga nel segno del dramma? Proprio questo
suggerisce Gianfranco Ragona nel suo libro Anarchismo Le idee e il
movimento (Laterza, 2013). Da Emma Goldman a Buenaventura
Durruti, da Nestor Machno a Murray Bookchin, da Johann Most a Rudi
Dutschke, i personaggi che animano le pagine del volume sono molto
diversi tra loro, come divergenti appaiono spesso anche le teorie e i
progetti politici. Eppure Ragona riesce a disegnare un percorso
storico che dalla modernità, a cui assegna l'esordio
dell'anarchismo, si snoda fino alla fase ultima, quella inaugurata
dai movimenti no global. Se è vero che l'anarchia non ha finora
trionfato sul palcoscenico della storia, è altrettanto vero che
proprio quei motivi, responsabili - nel corso dell'Ottocento - di
averne determinato la separazione dalle correnti politiche del
socialismo internazionale, rappresentano la sua attualità. E sarebbe
dunque un grave errore volgere alla retrospettiva storica uno sguardo
nostalgico.
Non è tanto il cammino
dell'individualismo, indicato da Stirner, quanto quello del
comunitarismo a suggerire idee e posizioni che funzionano da risposte
alle domande del presente. Anzitutto l'anarchismo storico ha sempre
inteso la politica in chiave etica. In questo contesto assumono
rilievo la critica allo stato, denunciato come strumento coercitivo
nelle mani della nazione, la riflessione sul potere, che non si
limita alla denuncia della ineguaglianza economica ma si fa carico
anche dell'esigenza di realizzare una «buona vita», garantita per
tutti, e infine l'idea di una comunità costruita dal basso
nell'aiuto reciproco, nel mutuo soccorso.
Da Proudhon a Bakunin
appare chiaro come l'avversione allo stato si accompagni alla
contestazione vigorosa del capitalismo e alla difesa di un
autogoverno economico. Ma quel che costituisce la peculiarità
dell'anarchismo è la convinzione che il cambiamento sociale non
possa essere dettato con l'autorità e la forza. Conquistare lo
stato, per trasformare le basi economiche del capitalismo, vorrebbe
dire non solo rimpiazzare una classe con un'altra, ma anche
perpetuare il dispositivo del potere soggiacendo a quegli stessi
mezzi che si dovrebbero abolire.
La questione va ben oltre
la storica disputa tra Marx e Baxunin. D'altronde, fu durante la
Comune di Parigi nel 1871 che, con sorpresa di molti, lo stesso Marx
parlò più da anarchico che da marxista: sostenne che la
costituzione comunarda aveva reso superflua l'escrescenza
parassitaria dello stato e riconobbe nella produzione cooperativa un
modello di comunismo. Nel definire la Comune un «autogoverno dei
produttori», scrisse: «ma questo è comunismo, ‘impossibile’
comunismo!».
Dalla Comune di Parigi a
quella di Kronstadt del 1921, le rivoluzioni anarchiche restano
coerentemente lontano da ogni forma di potere che possa somigliare
allo stato. È forse Emma Goldman, figura di spicco dell’anarchismo
ebraico trapiantato in America, a sintetizzare meglio la lezione che
derivava dalle vicende russe: i fini rivoluzionari della libertà
sono incompatibili con la coercizione.
Sebbene sia durata solo
sette giorni, la Rivoluzione dei Consigli della Baviera, proclamata
il 6 aprile 1919 mantiene un valore emblematico. Ne fu protagonista
fu Gustav Landauer, fine intellettuale, amico di Martin Buber e
ispiratore di Walter Benjamin. Alla sua figura e al suo pensiero
Ragona ha dedicato la monografla Gustav Landauer. Anarchico,
ebreo, tedesco, uscita per gli Editori riuniti nel 2010. Ancora
poco tradotto in Italia (ma si deve ricordare il volume: La comunità
anarchica. Scritti politici, Elèuthera, 2012), Landauer è diventato
l’autore più discusso negli ultimi anni, sia per la sua idea di
«rivoluzione permanente», sia per la sua riflessione sulla
organizzazione del mondo in «comunità di comunità», capaci di
opporsi al pericolo di uno stato planetario.
Landauer ha
rappresentato, insieme al poeta e drammaturgo Erich Mühsam,
l’impegno per la cultura – già il secondo giorno della
rivoluzione avevano ridisegnato la scuola e l’università. Lo
stesso impegno si ritrova negli Ateneos Libertarios istituiti nel
1936 durante la guerra di Spagna. Ma la storia del pensiero anarchico
non si conclude con quella Breve estate dell'anarchia che dà
il titolo allo splendido romanzo di Enzensberger. Ragona ne
ricostruisce le teorie tra Paul Goodman e Noam Chomsky in America e
ne ripercorre le vicende soprattutto a partire dal sessantotto.
D’altronde, si parla di una «svolta anarchica», negli ultimi
anni, anche in filosofia. Un centro di questo intreccio di pensieri è
alla New School di New York dove insegna Simon Critchley; ma al suo
si devono aggiungere i nomi di Judith Butler, Uri Gordon, Miguel
Abensour e David Graeber, tutti impegnati nella stesura di un nuovo
capitolo della filosofia, che attende di essere scritto.
“alias il manifesto
domenica”, 20 ottobre 2013
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