18.11.10

Sui Fasci siciliani (di Antonio Labriola)

Fino ad ora la parola di un italiano non poteva essere che modesta, anzi modestissima, nei rapporti del socialismo internazionale. Tutto al più avea valore di convincimento personale, o di promessa e di speranza da parte di pochi precursori liberamente o spontaneamente associati. Mancava il fermento della massa proletaria, che risultasse dal sentimento si una determinata situazione economica.
Ora ciò e cambiato. Coi tristi casi di Sicilia il proletariato è venuto su la scena. Questa è la prima volta che in Italia che il proletariato, con la sua coscienza di classe oppressa e la sua tendenza al socialismo, s’è trovato di fronte alla borghesia.
Alla prima mossa è succeduta rapida la repressione. Ma ciò non rimarrà senza effetto. Gli stessi errori commessi serviranno di ammaestramento. La stessa borghesia, che per difendersi ha bisogno di reprimere, fa da maestra.
D’ora innanzi non ci sarà che progresso. Il socialismo, come forza impulsiva, investirà la massa proletaria.
Cinquant’anni fa C. Marx ha detto (- ripeto il senso non le parole -) che non importa guardare a quello che il singolo proletario pensa o dice, né a quello che tutti i proletari pensano o dicono, ma a quello a cui sono necessariamente portati dalla loro stessa situazione. L’Italia di ora lo conferma.
Roma, 10 aprile 1894.
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Postilla
Il testo qui proposto, di Antonio Labriola, l’insigne intellettuale e teorico del primo socialismo italiano, è tratto dall’antologia laterziana curata da Valentino Gerratana nel 1970. Si tratta di una breve corrispondenza pubblicata nella “Arbeiterzeitung” di Vienna del 24 aprile 1894 con il titolo Lettera di un compagno italiano. La tesi di Labriola è che le avanzate lotte dei Fasci siciliani dei lavoratori, anche se sfociate provvisoriamente nella repressione e nella sconfitta, rappresentino un esempio per tutto il proletariato italiano e consentano finalmente ai socialisti italiani di guardare al movimento operaio degli altri paesi europei senza alcun senso di inferiorità. Una testimonianza tanto prestigiosa sfata la leggenda di una Sicilia ininterrottamente e uniformemente sottosviluppata e mafiosa. Nonostante la politica antimeridionalista dei governi postunitari l’isola disponeva ancora negli anni 90 dell’Ottocento di attività produttive importanti, di buone scuole ed università, e riusciva ad esprimere un’ottima leva di giovani dirigenti socialisti e sindacalisti che durò fino all’avvento del fascismo. (S.L.L.)

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