16.5.14

I novant'anni di Rossana Rossanda (Luciana Castellina)

Ieri – 90 anni fa – è nata la ragazza del secolo scorso. E’ una delle buone cose prodotte dal ‘900. E siccome la sua testa è ancora quella della ragazza, è possibile ricordare un compleanno su cui di solito, quando si ha la nostra età, si preferisce sorvolare. Del resto non siamo qui a celebrare, ma semplicemente a felicitarci di poter ancora confrontarci con Rossana sul che fare in questo nostro maledetto tempo così gravido di sconfitte più grosse di quanto avessimo previsto e appesantito da problemi sempre più difficili da affrontare. Per fortuna non siamo disposti a subìre e per questo ci piace poter dire assieme a Rossana: ci siamo ancora.
Vorrei mettere il punto qui a questo scritto. Entrare nel merito della persona di Rossana Rossanda è troppo difficile. Anche per via di un rapporto che per più di mezzo secolo non è stato per me solo di “militanza”, ma anche di intimità umana, finirei nella melanconia del ricordo dei compagni con cui le nostre vite si sono intrecciate e che via via abbiamo perduto in questi anni. Chi prima, chi dopo.
Né posso spiegare Rossana ai lettori de il manifesto, sarebbe ridicolo. E tuttavia, anche per poter pensare che fra i lettori di questo giornale ci sia qualcuno più giovane che la conosce meno dei “vecchi”, qualcosa su di lei vorrei dirla. Innanzitutto che avrebbe voluto occuparsi di storia dell’arte, ma poi non l’ha potuto fare perché ci sono tempi in cui la storia ti acciuffa. Il 1943 era uno di questi tempi; e poi non c’è stata più interruzione, perché dopo il 1945 è vero che era arrivata la pace ma bisognava darle un senso e per questo costruire quel Pci che per molti decenni ha assorbito l’intelligenza e l’impegno di tanti.
Ma ho citato la storia dell’arte poi abbandonata, perché Rossana ha sempre conservato, grazie a quella prima vocazione, una giusta distanza critica – culturale – rispetto alle rozzezze di cui è macchiata anche la migliore politica. Il suo modo di scrivere, del resto, porta questo segno: sempre la mano di una straordinaria scrittrice, anche quando doveva trattare di uno sciopero di netturbini. E una residua nostalgia, nascosta, per la passione cui aveva sentito il dovere di rinunciare.
Rossana la sua vita comunista l’ha iniziata, e proseguita per molti anni, in quel partito durissimo che era la federazione di Milano. A noi di Roma, abituati al carattere variopinto dei poveri sottoproletari delle nostre borgate, alle stravaganze del popolino artigiano, quel partito milanese tutto operaio, una forza inquadrata e così classica, nel senso che sembrava uscita dalle pagine dei classici del marxismo, appariva un alieno. Credo che per i più giovani sia persino difficile oramai immaginarselo, tanto più se vanno oggi a vedere cosa è diventata la fortezza rossa di Sesto san Giovanni.
Per capire Rossana bisogna ricordare quel partito milanese, rispetto al quale, nonostante le sue rigidità, di cui era ben cosciente, lei non ha mai voluto restare ai margini. Anzi: è stata una grande, mitica, direttrice della altrettanto mitica Casa della Cultura milanese di via Borgogna proprio perché il punto focale per lei è restato la fabbrica. E’ proprio per la centralità che ha sempre conferito alla problematica operaia, alla rappresentanza del lavoro, che Rossana è stata una straordinaria organizzatrice culturale, che ha saputo gestire il rapporto con gli intellettuali, senza settarismo ma anche senza indulgenze, quando, lasciata Milano, è venuta a Roma a dirigere la commissione culturale del partito.
Questo segno originario non si è mai sbiadito: il lavoro, la fabbrica, la Fiom, sono stati, anche nel Manifesto, e più in generale nel dibattito di questi ultimi decenni, il metro su cui misurare la politica. E anche la base della sua severità.
Mi chiederete perché mai abbia voluto nello scrivere di Rossana scegliere questo tratto della sua personalità, che è stata e resta così poliedrica negli interessi, così curiosa del nuovo — il femminismo, i tanti mondi che si aprono sulla Terra, il cinema (il suo ultimo libro scritto con Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri), la letteratura, la filosofia. Perché Rossana è quanto c’è di più lontano da un’intellettuale borghese (e scusate se ricorro ad un’espressione così antiquata). Al di là delle tante cose che ha dato – e continua a dare — alla nostra storia – aver tenuto il timone per non smarrire questo asse operaio, che resta, malgrado tutte le trasformazioni intervenute, una bussola per non perdersi – questo a me pare il segno costante, più importante dell’avventura de il manifesto. Molto lo dobbiamo a Rossana. Cogliamo l’occasione dei suoi 90 anni per ringraziarla. E per dirle che la sua venuta al mondo nel secolo passato non ha “esaurito la sua spinta propulsiva”.


“il manifesto”, 23 aprile 2014

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