2.8.16

Polonia. Il papa cerca un patto con la Chiesa della reazione (Matteo Tacconi)

Si è concluso nei giorni scorsi, con la Giornata mondiale della gioventù, alias Giubileo dei giovani, il viaggio del papa cattolico in Polonia. L'attenzione prevalente dei media è stata diretta alle parole di Bergoglio sui timori di “guerra di religione” collegate al diffondersi di un terrorismo che si proclama islamico, ma le stesse coreografie “ibride” delle grandi manifestazioni segnalavano un qualche attrito tra il riformismo di Bergoglio e la Chiesa cattolica polacca, assai conservatrice, come lo sono in genere quelle dell'Est europeo. L'articolo che segue è uscito prima dell'evento, ma le informazioni che diffonde servono a comprendere anche il dopo. (S.L.L.)

La comunione per i divorziati risposati, il respiro ecologista dell’enciclica Laudato si’ e la critica ai privilegi materiali degli ecclesiastici. L’agenda di rottura propugnata da papa Francesco non entusiasma la chiesa polacca, che sull’eucarestia, per esempio, ha espresso una posizione conservatrice. E rispetto all’impegno per l’ambiente sembra piuttosto scettica. Addirittura «per molti preti le questioni ecologiche sono sinonimo di comportamenti anti-cristiani, guidati dai cosiddetti “eco-terroristi”, persone che sostengono l’aborto e l’eutanasia», ha scritto lo scorso dicembre il giornalista Michał Olszewski sul sito dell’ufficio polacco della Heinrich-Böll-Stiftung, rispettata fondazione tedesca. Quanto al terzo punto, quello dei privilegi materiali, uno dei rimproveri mossi più di frequente all’episcopato polacco è l’essersi dedicato in modo compulsivo, dopo il 1989, a pretendere dallo Stato trasferimenti finanziari, spostando in secondo piano quell’attenzione per il sociale che fu centrale durante l’epoca travagliata del comunismo.
L’appello di Francesco per una chiesa meno complessata dal denaro e più vicina agli ultimi genera dunque tra i vertici religiosi della Polonia un po’ di imbarazzo. Così scrive la stampa liberale di Varsavia.
Ecco perché la presenza del papa a Cracovia per la Giornata mondiale della gioventù (26-30 luglio) non potrà tradursi in un semplice momento di fede. Ma attenzione. A Cracovia non si consumerà lo strappo tra Bergoglio e la chiesa polacca. Tutt’altro. È nell’interesse di entrambi stabilire una meno traballante superficie di contatto.
Il pontefice ha bisogno della Polonia. Benché con il passare degli anni sia sceso sensibilmente il numero dei seminaristi (dagli 8.122 del 1990 si è passati ai 3.571 del 2015) e di conseguenza anche quello delle ordinazioni sacerdotali (dalle 768 del 1992 alle 481 del 2011), la Polonia rimane il Paese più cattolico d’Europa, con il più alto numero di sacerdoti. Molti dei quali servono all’estero. Da loro, spesso, dipende la sopravvivenza di tante, piccole parrocchie nel vecchio continente. Nemmeno la chiesa polacca, da parte sua, può permettersi lo scontro frontale con Francesco. E anzi, l’arrivo del pontefice e di centinaia di migliaia di giovani a Cracovia sono sulla carta un’occasione unica per avviare un’operazione di cosmesi, ha spiegato in una recente riflessione John L. Allen Jr., direttore di The Crux, periodico cattolico legato fino a poco tempo fa al “Boston Globe”. Bergoglio non è di certo il papa che la chiesa polacca vorrebbe, ha ragionato il giornalista, ma è quello che può esserle più d’aiuto per riqualificare un’immagine screditata da un atteggiamento intransigente verso la modernità e dalla fame di potere, economico e politico. Ma per scrollarsi di dosso questa brutta etichetta è necessario che si apra a Francesco e al suo messaggio di novità. In fondo, secondo John L. Allen Jr, questo papa ha molto del primo Wojtyla. È un «cane sciolto» e «un pontefice venuto da lontano». La differenza è che la chiesa polacca, rispetto a quei tempi, ha una natura molto diversa.
La Polonia è semper fidelis, ma soffre la secolarizzazione. Nel 1980 si recava a messa, la domenica, il 51% dei cattolici (che rappresentano oltre il 90% della popolazione). Nel 1995 la percentuale era pari al 46,8%. Nel 2014 è calata ulteriormente, fino al 39,1%, si apprende dal sito pope2016.com, creato per la Giornata mondiale della gioventù. Televisione, consumi, frenesia dei ritmi e degli stili di vita moderni. Anche in Polonia questi cambiamenti, benché giunti in ritardo, solo dopo il crollo del muro di Berlino, sono all’origine del processo di distacco dalla religione. Per diversi osservatori, tuttavia, incide anche la mutazione dell’agire della chiesa. E anche in questo caso il 1989 fa da spartiacque. Prima di quella data la chiesa aveva contribuito a tenere in vita l’orgoglio e lo spirito di una nazione oppressa dal comunismo. E s’era schierata a fianco degli operai, ancor prima della nascita di Solidarnosc, tutte le volte che s’erano sollevati per denunciare lo sfruttamento imposto dal regime.
L’89 ha ribaltato il piano. La chiesa polacca è passata dall’antagonismo alla collaborazione con il potere statale. Ma così facendo «si è avvicinata troppo allo Stato, vi si è unita, ne è diventata dipendente», ha detto all’Huffington Post il sociologo Michal Luczewski, ex direttore del Centro per il pensiero di Giovanni Paolo II di Varsavia. Parallelamente, lo Stato e l’intero sistema partitico si sono vincolati alla chiesa. In Polonia vincere un’elezione senza l’appoggio degli apparati cattolici è impensabile. Da qui si è strutturato un rapporto specifico, fondato su uno scambio: la chiesa ha fornito consenso alla politica, la politica ha girato denaro nelle casse della chiesa. E questo ha indispettito molti fedeli. Tra loro s’è fatta strada l’idea che la chiesa abbia dimenticato gli ultimi per concentrarsi quasi esclusivamente sulla propria sussistenza materiale, negoziata con accordi di palazzo.
Tra i simboli di questa mutua dipendenza c’è il Fundusz Koscielny, il Fondo per la chiesa. È lo strumento con cui lo Stato copre ogni anno una larga fetta del costo del sostentamento del clero, più qualche altra attività ecclesiastica. Fu istituito dal regime comunista nel 1950 per compensare la chiesa dalla requisizione di beni e terreni. Dopo il 1989 è stato confermato, e i vescovi hanno lavorato con successo affinché la dotazione del Fondo crescesse ogni anno. Nel 2008-2009 ha lambito la quota di cento milioni di zloty, circa 25 milioni di euro. Il flusso si è leggermente ridotto negli anni successivi, anche per via del rallentamento economico dovuto alla crisi, per poi risalire e raggiungere il record di 118 milioni nel 2015. Dal 2014 il Fondo avrebbe dovuto essere sostituito da uno schema fondato sulle donazioni volontarie dei contribuenti, nella misura dello 0,5% del reddito dichiarato. La riforma, messa in cantiere dal precedente governo liberale, cercava di intercettare il consenso dell’elettorato progressista, ma anche di non penalizzare la chiesa, che secondo le stime avrebbe ricevuto in questo modo persino più soldi.
Ma tutto si è arenato. Il governo non se l’è sentita di approvare una svolta del genere, vista la contrarietà manifestata dalla chiesa e il possibile prezzo da pagare alle urne, apertesi nell’ottobre 2015. Il voto ha comunque determinato un cambio della guardia. Al potere è tornato Diritto e Giustizia, il partito populista di Jaroslaw Kaczynski. Il più vicino alle posizioni e alle esigenze della chiesa. E sono fioccati subito bei favori. Tra cui l’aumento dei trasferimenti statali alla chiesa. Il governo ha inoltre annunciato la revoca della legge sulla fecondazione in vitro, e potrebbe appoggiare il divieto totale di aborto. E, per tornare alle questioni di soldi, ha previsto un ricco finanziamento per l’ateneo privato di padre Tadeusz Rydzyk, a capo di un cartello di media cattolici capaci di spostare molti voti. L’ammiraglia è Radio Maryja, che con il suo linguaggio ultra-conservatore, euroscettico e a tratti tacciato persino di antisemitismo, è un ingrediente importante del consenso di Kaczynski.
Padre Rydzyk è ritenuto da molti osservatori la voce e il volto di una chiesa conservatrice, ricca, politicizzata. E maggioritaria. Più volte sono uscite indiscrezioni su strani giri di denaro da lui gestiti, e qualcuno – intellettuali come il filosofo Jan Hartma, ma anche qualche religioso come il redentorista Jerzy Galinski – ha chiesto al Vaticano di fare luce. Anche di recente, nell’era del pontificato di Francesco. Come nelle precedenti occasioni, gli appelli sono caduti nel vuoto. Bergoglio ha bisogno della Polonia, e di questa chiesa. Vale anche il discordo opposto. Resta da capire in che misura il Papa e i vescovi di Varsavia sapranno trovare una chimica, anche se minima. C’è come l’impressione che il primo, per i secondi, venga davvero troppo da lontano.


Pagina 99, 16 luglio 2016

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