26.8.16

Storie di paese. La siesta erotica (S.L.L.)

Ci fu un tempo, credo tra il quinto ginnasio e il primo liceo, che con i due amici più intimi del momento - li chiamerò coi nomi fittizi di Angelo e Donato - facevamo un gioco trasgressivo: inventavamo bestemmie fuori dall'ordinario. 
In generale si inserivano nell'uso popolare: come attributi dell'eterno, infatti, sceglievamo soprattutto animali e caratteristiche umane, fisiche, etiche o professionali. 
Tra gli animali partimmo dai domestici, ma escludendo gli abusati epiteti canini, suini e ovocaprini ed arrivando al capuni (cappone), al pipìu (tacchino), alla ciàula, che da noi è una specie di cornacchia addomesticabile, allo jencu, nome arcaico e ormai desueto del vitello. Poi ci allargammo, e dunque scursuni (serpe), tigniusieddru (geco) fino alla mammacatessa, un insetto della famiglia della mantide religiosa, caro ai nostri giochi infantili, visto che lo stecco che infilavamo nel suo didietro roteava come una girandola. 
Fra gli epiteti umani ricordo un nanu cu la minchia tanta, desunto da una sconcia barzelletta su Pierino, un cruzzutu (testardo) ed un innocuo bagninu, che in quell'estate ci divertì non poco, chissà perché.
Angelo era, ed è ancora, religioso ed attribuisce oggi, più di cinquant'anni dopo, a me l'iniziativa e la responsabilità di quel divertimento e di quel suo temporaneo traviamento. Io non ne sono convinto. In ogni caso, a quel tempo, mi definivo già epicureo (un Epicuro di cui sapevo quel poco che c'era sulla mia enciclopedia per ragazzi). Non so se mi considerassi ateo, ma avevo appreso che la  - o le - divinità, ammesso che esistano, si fanno i fatti loro e che riti e preghiere sono superstizione. 
Questo non mi impediva di frequentare l'azione cattolica, ove c'erano il bigliardino e il ping pong e dove incontravo tanti coetanei. Al parroco forestiero (veniva da un paese ad alta intensità mafiosa, come allora il mio non era) facevo ogni tanto obiezioni che dovevano fargli fischiare le orecchie, ma forse lui era più ateo di me.
Angelo in quell'estate si trovò più volte a fare la siesta pomeridiana in una campagnola casa di famiglia. Alle scampagnate partecipava una sua cugina rimasta orfana da poco; aveva due anni meno di noi, tredici. Fino a quel momento noi maschietti di primo pelo l'avevamo considerata una insignificante occhialuta, ma proprio in quell'estate – con un po' di ritardo – stava rapidamente sbocciando. Angelo ci raccontò un gioco erotico. Lui e Santina facevano il riposo postprandiale in due camere relativamente isolate, una di fronte all'altra, separate da un corridoio. Non potevano o, forse, non volevano stare insieme nella stessa stanza; ma tenendo nel modo giusto le porte aperte (la cosa era giustificata dal caldo) potevano vedersi, ciascuno nella propria branda. Non so chi avesse preso per primo l'iniziativa, ma già la prima volta si tolsero mutande e maglietta per guardarsi reciprocamente le nudità. Le volte successive si fecero più audaci: si masturbarono l'una alla vista dell'altro e viceversa. 
Una storia banale, credo, accaduta a migliaia di cugini, piena di prudenze: erano attentissimi ad ogni rumore di passi, anche lontano e subito si coprivano. Fuori da quel gioco non cercavano contatti.
Lui in quei giorni faceva la corte a un'altra, come si faceva allora la corte: alla domenica la stessa messa sperando di incrociare gli sguardi, tante passeggiate sotto la casa dell'amata in attesa che per una qualche ragione uscisse e si potesse scambiare un saluto; infine, quando si riteneva la cosa matura, si fermava la ragazza e le si faceva la dichiarazione. L'innamorata a sua volta si sarebbe preso qualche giorno per pensarci e poi, volendo, pronunziava il sì che rendeva i due ragazzi “ziti”, impegnati. 
Angelo non era ancora a questo punto, era formalmente libero, ma si sentiva impegnatissimo con la ragazza che corteggiava e che abitava vicino a una delle Croci del paese. Dei sentimenti di Santina non so nulla, ma immagino dal suo atteggiamento che quella col cugino fosse una relazione pura: solo sesso senza complicazioni sentimentali. Credo che in quel guardarsi e toccarsi ci fosse un esplorare, un conoscere e un crescere: l'incontro con la propria sessualità e con quella dell'altro sesso, che può essere a volte sconvolgente, sembrava accadere in questo caso senza traumi, con una certa serenità. 
A turbarla arrivò il prete.
Angelo soleva confessarsi e far la comunione nelle feste principali, e tra le principali c'era la Madonna dell'Aiuto, la prima domenica di settembre. Andò a confessarsi di pomeriggio, forse il venerdì, e tornò turbato da noi che lo aspettavamo nella piazzetta della vasca. Ci rivelò che il parroco forestiero non aveva voluto dargli l'assoluzione. Non era per le bestemmie: per quelle il confessore non era sceso nei particolari, si era contentato di un “sì” alla sua domanda. Ma per i pomeriggi in campagna aveva chiesto un'infinità di particolari e alla fine aveva detto al nostro amico di non potergli dare subito l'assoluzione: non si sa bene quali libri dovesse consultare, ma poteva trattarsi del gravissimo peccato di incesto. 
Credo che fosse una finzione per mettere paura ad Angelo e la cosa gli riuscì; ma l'indomani il mio amico ebbe la sua assoluzione e alla gravità del suo peccato probabilmente non pensò più, anche perché la cugina era ormai in continente, con la matrigna continentale che l'amava come una mamma naturale. Al mio amico che incontro di rado, ogni due o tre anni, chiederò di lei la prima volta che capita: più che sapere di Santina voglio vedere come reagisce e se, anche stavolta, darà a me la colpa di tutto quel che accadde.
Di quel prete, invece, ho ricevuto notizie non commendevoli. Tornato nel suo popoloso paesone di mafia, ha fatto carriera diventando arciprete e in questo ruolo ha infarcito il comitato della festa patronale di rappresentanti di certe, speciali “famiglie”. È entrato, di sguincio, anche in un caso di pedofilia, nel quale era invischiato un altro prete del paese. Costui, parroco nel quartiere ove più forte era la povertà e il degrado, avrebbe approfittato della situazione facendo violenza ad alcune bambine e bambini. Il Vescovo si era limitato a trasferirlo in un'altra, lontana diocesi, dove qualche tempo dopo il delinquente riprese le sue pratiche. L'accusa all'arciprete è di aver fatto da tramite con le due o tre vittime disponibili a denunciare e testimoniare: offriva a quella povera gente un sostanzioso risarcimento per conto del Vescovo, senza i rischi e i traumi di un processo. 
Forse il fatto di cui lo si accusa non è vero, ma è credibile. Non ho alcun dubbio invece sul fatto che in quell'arciprete diplomatico e accomodante, fin troppo accogliente e remissivo con i mafiosi, si conservi l'arcigna sessuofobia che lo condusse tanti anni fa a minacciare l'Inferno e la scomunica per un innocente gioco di ragazzini. 

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