Perugia, Via Volte della Pace |
Il testo, pubblicato su
“micropolis” nel maggio 2001, è collegato alla polemica sulla
prostituzione di strada e alla campagna per la punizione del cliente, condotta
soprattutto dal prete Oreste Benzi. (S.L.L.)
Ariodante Fabretti |
Nel 1890 l’erudito
perugino Ariodante Fabretti, a proprie spese, pubblicò a Torino, con
il titolo La prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI, una
serie di documenti che aveva reperito nell’Archivio Comunale di
Perugia a partire dal 1848. Il volumetto è dedicato all’amico
Luigi Pagliani, “direttore dell’Officio di Sanità del Regno
d’Italia” e la breve introduzione esplicitamente collega la
scelta del tema ai “nuovi ordinamenti sulla prostituzione, che
conciliano la libertà con la salute pubblica e col civile decoro”.
I testi, che coprono il
periodo dal 1342 al 1557, sono statuti, interdizioni, contratti, atti
di vendita, petizioni, ordinanze di sfratto. Quelli in latino non
sono tradotti e mancano quasi del tutto di annotazioni; l’unico
corredo è la piantina di un settore della città. Tutto ciò in
coerenza con la storiografia positivistica, che nutriva un vero e
proprio culto per il documento e pretendeva che fosse, nella sua nuda
evidenza, più eloquente di qualsiasi interpretazione.
Il primo testo è tratto
dallo Statuto del Comune, nella volgarizzazione del 1342. In esso si
ordina che “niuna meretrice overo putana overo lavatrice de capeta”
alloggi a meno di dieci case di distanza dalla chiesa di
Sant’Ercolano di Porta San Pietro o da altre chiese cittadine. Una
pesante multa punirà tanto le prostitute quanto chi le ospiti,
gratis o in affitto, nello spazio interdetto. Lo stesso statuto
proibisce alla “femmena” di congiungersi carnalmente “collo
leproso”, a meno che non sia suo marito. Le pene sono terribili:
sarà frustata “per tucta la cità e per gli borghe”, le sarà
“troncato il naso” e infine sarà bandita dalla territorio
comunale. Si aggiunge che “en quilla medesima pena sia punita la
femmina cristiana sé congiongente carnalmente ad alcuno giudeo”.
Sorprende qui la doppia parificazione della prostituta con la
lavatrice di capo (forse origine della immeritata fama che circonda
le “sciampiste”) e del lebbroso con l’ebreo (fonte di
pregiudizi assai più cruenti).
Nel 1359 si registra un
giro di vite, probabilmente legato ad esigenze finanziarie. Le
meretrici furono obbligate a concentrarsi nel luogo “dicto
Malacucina”, un budello che, grosso modo, si dipartiva dall’odierna
via Mazzini, all’altezza del Caffè di Perugia: dovevano abitare lì
e restarci giorno e notte; ne potevano sortire, per poche ore,
soltanto il sabato. Le controllava il “comparatore”, una sorta di
appaltatore monopolista del commercio sessuale, esattore della "gabella postribuli" e tenutario delle case di Malacucina. Ad ogni
violazione degli obblighi da parte delle prostitute corrispondevano
multe salate, i cui introiti erano divisi fifty fifty tra le casse
comunali e il “comparatore”.
I documenti che seguono,
di fine Trecento e del primo Quattrocento, sono tutti legati alla
gestione del monopolio sulle case di tolleranza. Le condizioni delle
donne sembrano ulteriormente peggiorare. Se non riescono a pagare la
gabella e i fitti esosi, sono praticamente ridotte in schiavitù,
obbligate a prestare al “comparatore” ogni sorta di servizio. In
base al contratto, il titolare dell’appalto poteva anche
percuoterle a suo arbitrio, purché “senza ferro e senza
libitazione de membro” e purché le batoste non producessero morte.
Un abbigliamento particolare (un velo rosso) deve inoltre distinguere
le prostitute anche nelle poche ore di libera uscita.
Di contratto in contratto
si arriva al 1424. Perugia è sotto il governo pontificio e il legato
del Papa, il vescovo Coraro, il cosiddetto Cardinale di Bologna,
decreta di esentare le meretrici e le serventi del bordello dal
pagamento della gabella. Il decreto è rinnovato l’anno dopo dal
suo successore, il vescovo di Venezia Pier Donato, il quale in ottimo
latino dichiara di emanarlo “per il comodo, l’utilità ed il bene
della Comunità perugina”, previa una lettera dalla Curia Romana
che lo ha rassicurato sulla volontà del Papa.
Un vero e proprio
movimento delle prostitute e dei loro protettori per la riduzione dei
fitti si manifesta negli anni seguenti. Di fatto nel 1452 i Priori
delle Arti decretano che sia ridotta da tre a due bolognini il prezzo
giornaliero della pensione in Malacucina. Intanto il bordello
perugino si è internazionalizzato: impresari Tedeschi e Francesi
(“Teotonici et Frangigenenses”) arrivano con vere e proprie
compagnie di conterranee. Sono loro a condurre, con petizioni e
proteste, la lotta per l’equo canone. Malacucina è carissima e la
tendenza alla clandestinità assai forte. Priori e Vescovi devono,
dunque, intervenire più volte a proibire l’esercizio dell’arte
fuori dal luogo deputato, a far redigere una lista ufficiale dei
ruffiani e perfino a sfrattare, nel luglio del 1487, tutte le
meretrici ed i ruffiani giunti nell’ultimo mese, per evitare il
sovraffollamento. Alla fine, nel 1492, sono costretti ad individuare
un'altra zona a luci rosse, nel luogo chiamato “Le Volte de Pace”,
un portico o loggiato in vicinanza delle mura etrusche,
approssimativamente coincidente con la traversina di via Bontempi che
conserva quel nome, ma che a quel tempo aveva una diversa
configurazione.
Segue, nel volumetto del
Fabbretti, un documento del 1551. In assenza di documentazione si può
congetturare che nei primi decenni del secolo, c’era stata una
grande tolleranza, una liberalizzazione di fatto, ma, ora, per
effetto della Controriforma e della più pressante presenza clericale
nel governo della città, il clima politico-culturale è mutato. Il
governatore della città, Fabio Mirto, vescovo di Gaiazzo, di Perugia
e dell’Umbria emette un’ordinanza rivolta agli “officiali della
onestà”, i monsignori Graziani e Paolucci, che contiene una
premessa ideologica assai interessante:
Intendendo per querela di molti gentil’huomini et cittadini di questa città, che in diverse parti di essa, etiamdio più frequentate dalla nobiltà, et presso alle chiese et monasteri prencipali sono concorse ad habitare assai cortegiane et meretrici le quali, oltre che colli postribuli et dishonesta vita loro disonorano il s.mo Dio, danno ancora scandolo et malo esempio alle honeste Donne; et volendo pertanto provedere, che le cattive siano riconosciute per tali, et torre l’occasioni alle buone di voltarsi ad altra vita.
Sulla base di questi
presupposti il Mirto ordina di delimitare rigidamente le zone
d’esercizio della prostituzione, di spostare in esse d’autorità
le prostitute, requisendo le case necessarie alla bisogna e
risarcendo i proprietari e sistemando i locatari in altri quartieri
cittadini, a spese del Comune. E’ una misura d’emergenza, tipica
dei casi di calamità, ma in questa circostanza viene assunta
all’unico modestissimo scopo di evitare il contatto delle
prostitute con le persone perbene e specialmente con “la nobiltà”.
L’ipocrisia del provvedimento è confermata da una testimonianza
coeva del diarista perugino Vincenzo Fedeli, riportata dallo stesso
Fabretti nelle sue Cronache di Perugia:
Adì di novembre del 1557 passò per la città di Perugia el cardinale Carafa, chiamato don Carlo, nepote carnale del papa Pavolo quarto; et alogiò una sera con monsignore de Gaiaze governatore; et era com seco el cardinale Vitello, el quale non fece bene nissuno a la nostra città; e dopo cena pubblicamente fece andare in palazzo tutte le putane, che se trovavano a Perugia, quale furono in tutte 14, e presene per sé una, et una per el cardinale Vitello; el resto accomodolle a la sua famiglia.
Chissà che non fosse
questa la ragione vera ed irriferibile per cui il governatore aveva
decretato il concentramento delle prostitute. Ma forse c’era anche
un altro scopo, che possiamo arguire da un documento secentesco
inserito dal Fabretti in appendice, una petizione alla Sacra
Consulta romana contro la Curia vescovile, firmata “da cento e più
persone di ogni honorata condizione”. Il vescovo, Napoleone
Comitoli, pur avendo fatto “pagare pene sino per accompagnare le
processioni” impedisce alle meretrici di entrare in chiesa a
“sentire li divini ufficii”. La petizione chiede inoltre
che le medesme meretrici non siano sforzate a farsi scrivere in Vescovato, non essendosi mai usata tale descriptione… et ad altro non servendo che per fargli pagare cinque bollini per ciascuna alli notari.
Da allora molto è
cambiato, ma non l’ipocrisia di preti e benpensanti. Essi possono,
ora come allora, ingaggiare le venditrici di sesso per le loro
orgette, farsi pagare carissimo l’affitto delle case o pretendere
tasse e gabelle d’ogni tipo, ma non amano vederle per strada.
In
campagna elettorale abbiamo sentito, ad esempio, le promesse degli
esponenti di AN, che peraltro nell’ideologia e nella realtà sono
tra i più affezionati al “casino”. Dichiaravano che, una volta
al governo, anche gli angoli più riposti delle città e dei villaggi
pulluleranno di carabinieri e poliziotti di quartiere, di strada, di
caseggiato i quali ci libereranno, non solo di scippi e spacci, ma
anche delle provocanti e multicolori presenze che animano i
marciapiedi e i cigli stradali nelle ore notturne. Ai “clienti”
lasciavano però intendere che per loro nulla sarebbe cambiato, in
buona sostanza: avrebbero avuto le zone a luci rosse, le case chiuse
riaperte, le puttane registrate e periodicamente sottoposte a visita.
Non si sa se riusciranno ad accordarsi con don Benzi, il
proibizionista, animatore, l’anno
scorso, della campagna di criminalizzazione dei clienti
stradali e sponsor del sequestro delle loro automobili. Nelle sue
denunce c’è molto di vero: esagera nei numeri e generalizza
arbitrariamente, ma fenomeni di “riduzione in schiavitù”, di
organizzazioni criminali internazionali dedite alla “tratta” ed
allo sfruttamento sono ampiamente documentati. Ma, una volta
eliminato lo sconcio dalle strade, anche lui forse potrebbe godere di
qualche vantaggio. Potrebbe fare il giro dei bordelli per minacciare
i clienti d’inferno, e perfino convocare le schiave del sesso, in caso di
visita dei superiori, senza essere costretto a cercarle per strada.
La loro segregazione e concentrazione nelle nuove Malacucine potrebbe
perfino renderne più agevole il recupero: una volta invecchiate
potrebbero passare direttamente nelle sue Case della Redenzione
finanziate dallo Stato o, dopo la riforma federalista, dalle Regioni,
dalle Province e dai Comuni.
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