Luise
Kautsky nacque Ronsperger a Vienna nel 1864 da una famiglia ebraica.
Fu traduttrice e curatrice delle opere di Karl Marx, esponente del
movimento operaio tedesco e del partito socialista, moglie e stretta
collaboratrice di Karl Kautsky. Costui, il “rinnegato” di un
famoso opuscolo di Lenin, prima della Grande Guerra, era stato a
lungo dirigente di primissimo piano nel Partito socialista tedesco e
prestigioso teorico dell'Internazionale socialista, “faro” di
riferimento dello stesso Lenin e di tutta l'ala marxista
dell'Internazionale nella polemica contro il “revisionismo di
Bernstein.
Il
brano che segue, rievocazione della figura eccezionale di Rosa e
della grande amicizia con la famiglia è tratto dalla prefazione
delle Lettere ai Kautsky pubblicate
per la prima volta nel 1921. Rosa Luxemburg, di cui qui si rievoca la
forte personalità, era morta da due anni: ai Kautsky era stata a
lungo legata da amicizia e familiarità, mai poi – già prima dello
scoppio della Prima Guerra mondiale – si era scontrata con Karl in
dure polemiche, teoriche e politiche, che la guerra e la Rivoluzione
russa ulteriormente inasprirono. (S.L.L.)
Rosa Luxemburg e Luise Kautsky |
Ella
era un temperamento di poeta, che attingeva ad una sorgente
inestinguibile. Secondo la sua espressione, era sempre «come se
avessimo bevuto dello champagne e la vita frizzava in noi fino alla
punta delle dita».
Così
i nostri rapporti di amicizia si strinsero sempre di più e per noi
tutti, non ultimi i ragazzi, Rosa divenne ben presto l'amica
indispensabile, che doveva prender parte a tutto ciò che riguardava
la nostra casa, nel bene e nel male. Le sere domenicali, quando si
radunava intorno a noi un circolo di amici fidati, ella non mancava
mai, e scherzosamente si era definita da sé «il supplemento
domenicale della "Neue Zeit"».
Si
univa a noi volentieri e senza farsi pregare, quando ci recavamo a
cena da Bebel, il che avveniva abbastanza spesso; non si sentiva
impacciata a comparire talvolta in abito da casa, anche quando
supponeva di trovarvi raccolta una più grande compagnia. Così ella
portò con predilezione per anni un vestito da mattina in velluto
verde oliva, che le avevo regalato per il suo compleanno, e dal quale
non voleva separarsi, cosicché in seguito ad ogni occasione festiva
dovetti continuare a regalarle sempre della medesima stoffa.
Con
Bebel ebbe sempre rapporti amichevoli, e le piaceva molto
stuzzicarlo. Al congresso di Lubecca per esempio, nel quale fu
particolarmente esuberante e piena di temperamento, un mattino
nell'albergo gli pose in uno stivale dinanzi alla sua porta un
biglietto anonimo con le parole «Augusto, ti amo!». Egli
contraccambiava la sua simpatia, e si divertiva della sua fresca vena
scherzosa e della sua prontezza alla risposta. Quando talvolta ella
aveva esagerato ed era stata troppo aspra ed aggressiva contro
qualche autorità riconosciuta del partito, cosicché i vecchi
compagni si scandalizzavano della sua impertinenza, Bebel osservava
sorridendo con indulgenza: «Lasciatemi in pace Rosa: abbiamo bisogno
di un simile luccio nello stagno delle carpe!».
Quando
mio marito ed io nella primavera del 1900 ci recammo a Parigi, dove
Kautsky prese visione in casa di Lafargue delle carte lasciate da
Marx, Rosa fece da mamma ai nostri ragazzi e sorvegliò i loro
compiti scolastici. In questa occasione però, secondo i resoconti di
ambe le parti, le cose si devono essere svolte in modo alquanto
burrascoso, le due matricole Felix e Karl devono essere riusciti a
mettere in fuga l'intemerata combattente: un raro trionfo!
Ricorderò
qui un simpatico episodio, che mi rivelò un tratto gentile ed umano
della sua natura: Rosa in quel tempo era legata molto strettamente
col benemerito scrittore del partito ed allora redattore della
«Leipziger Volkszeitung», l'intelligente Bruno Schonlank, padre del
nostro poeta. Un giorno ella ci sorprese invitandoci ad una cena con
lui nel suo appartamento, che aveva allora presso una certa signora
Klara Neufeld, una signora molto rispettabile, e da noi tutti molto
stimata, in via Wieland, a Friedenau. L'invito era così solenne, che
io mi vestii a festa, in onore di Rosa, nonostante che la madre di
Karl dichiarasse: «Che mai, devi proprio fare tante storie per
Rosa?». Ma il mio intuito era giusto. Quando ci aperse la porta, e
mi esaminò con una rapida occhiata critica, vedendo la mia toeletta,
mi gettò le braccia al collo, esclamando con profonda gratitudine e
commozione: « La ringrazio di avermi preso sul serio! ».
La
serata trascorse animata ed armoniosa: Rosa era una graziosissima
padroncina di casa, che prendeva i suoi doveri di ospite con molta
serietà, ma nello stesso tempo dominava la conversazione con scherzi
e battute.
Un
po' alla volta portò nella nostra cerchia tutti i suoi amici, che
vivevano allora a Berlino: Adolf Warszawski, Julian Marchlewski erano
tra i nostri ospiti abituali, e quando a volte compariva come una
meteora Leo Tyszko (Jogiches), potevamo salutare in casa nostra anche
quel riservato cospiratore.
Con
lui ella aveva dei rapporti del tutto speciali; tuttavia non ho mai
osato parlarne con lei. Forse nulla ha cementato tanto la nostra
amicizia, quanto il fatto che io non facevo mai domande, ma la
lasciavo fare senza indagare sul suo andare e venire o sui suoi
sentimenti. Perché, nonostante tutta la sua vivacità, comunicativa
ed apparente candore, ella era in realtà un temperamento chiuso,
preferendo vivere interamente la sua vita per sé e non amando essere
molestata da curiosità importune. Si circondava volentieri di un
fitto velo di segretezza, che doveva proteggerla dagli sguardi
indiscreti, e un tantino di romanticismo di cospiratrice le era
indispensabile e serviva a rendere la sua vita non del tutto piatta e
«piccolo-borghese». Quanto più desiderava, e addirittura
pretendeva, di conoscere tutti i sentimenti e le avventure dei suoi
amici, sui quali del resto sapeva tacere con discrezione assoluta e
scrupolosa, tanto meno le era dato di aprirsi senza riserve. Posso
ricordare soltanto singoli momenti, nei quali la vidi in preda a
gravi conflitti psichici o sentimentali. Allora ella poteva sedere a
lungo con me, mano nella mano, cercando visibilmente le parole per
comunicarmi la sua pena. Ma per lo più non andava al di là di
qualche parola dolorosa, di qualche frase spezzata. Quindi, alzando
le spalle sconsolatamente, diceva: «Non posso...», appoggiava il
capo sulla mia spalla e taceva. In quei casi ella aveva bisogno
soltanto di una tacita comprensione e di una tenera compartecipazione
al suo dolore. Una stretta di mano, una lieve carezza bastavano a
farla ridiventare serena, a riportarla al normale equilibrio.
Più
di dieci anni durarono in questo modo i nostri rapporti e la nostra
amicizia si consolidò sempre di più.
Già fin dal 1906 si era
manifestata di tanto in tanto una certa tensione tra Kautsky e lei,
perché la prima rivoluzione russa aveva lasciato in Rosa
un'impressione così profonda, che ella voleva trasferirne i metodi
in Germania, e in ciò si trovava in contrasto con Kautsky; ma questo
veniva sempre superato dalla grande amicizia personale. Nel 1910 però
si venne a un'aperta scissione tra i due, quando Rosa tentò di dare
alla lotta per il diritto di voto in Prussia una direttiva che a suo
modo di vedere doveva portare alla rivoluzione, e secondo Kautsky
alla sconfìtta definitiva. Rosa ed i suoi amici si aspettavano che
allo scoppio di una guerra il proletariato rispondesse con la
rivoluzione. Kautsky invece aveva richiamato l'attenzione sul fatto
che il proletariato, troppo debole per evitare lo scoppio della
guerra, non sarebbe stato nemmeno abbastanza forte da rispondere al
governo con un'insurrezione. È noto il terribile effetto che ebbe su
Rosa il fallimento delle sue aspettative, ed è pure noto come lei ed
i suoi amici ne dessero la colpa principale a Kautsky, perché aveva
avuto ragione nelle sue previsioni. [...]
In
Per conoscere Rosa Luxemburg (a
cura di Lelio Basso), Oscar
Mondadori, 1976
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