I viaggi, le donne e
le disavventure raccontate in un capolavoro letterario poco letto e
studiato in Italia
Lo
scorso settembre nella stampa parigina e inglese si è letto che il
visconte François-René de Chateaubriand è stato coinvolto in un
processo giudiziario per faccende di eredità e diritti d’autore
concernenti il suo estremo e supremo capolavoro, le Memorie
d’oltretomba. Una
complicatissima vicenda di copie e pubblicazioni, che si snoda fra
catene di eredi e di notai fin dagli ultimi giorni della sua vita,
quando nel 1847 verga con grafia involuta il congedo sulla prima
pagina del manoscritto visto e rivisto, e lo deposita nella cassetta
di abete con la serratura rotta che giace ai piedi del letto.
Lo
scrittore muore poco dopo, il 4 luglio del ’48, e già in ottobre
le Memorie cominciano
a circolare a fascicoli su «La Presse», e dal gennaio del ’49 in
volumi – dodici fino all’ottobre del 1850. Sarà un cammino irto
ma anche trionfale, per quello che Jean d’Ormesson nella sua
“biografia sentimentale” Il mio ultimo pensiero sarà
per voi definisce «uno dei
cinque o sei monumenti più importanti della letteratura»,
straripante delle vicende ed esperienze di quel randagio; un oceano
di piccola e povera gente commovente, o viceversa di personaggi
grandi e potenti, incontrati, ammirati o abominati prima o poi da
chi, oltreché scrittore eccelso e ammaliatore di lettori e di donne,
fu politico, ministro, esule randagio sulle due sponde
dell’Atlantico.
In
apertura di libro si presentano sùbito alcune delle pagine più
belle e schiette, nella descrizione dell’infanzia a Saint-Malo e a
Combourg e dell’adolescenza in collegio in Normandia e Bretagna.
Colui che ora è celebre scrittore e ambasciatore del re di Francia
riprende con nostalgia «in mezzo alle mie insipide pompe» i primi
passi penosi di una vita veramente o comunque resa sempre
appassionante. Si allontanò di là sùbito dopo la morte del padre,
come si allontanò dalla giovinezza: un congedo come le partenze
della flotta ateniese quando salpava dal porto del Pireo incoronata
di fiori per muovere alle sue conquiste. Non avrebbe rivisto quei
luoghi che poche volte dopo di allora. Ma è nei boschi di Combourg,
racconta, che «divenni ciò che sono». Là attinse e subì i primi
attacchi della cifra della sua vita: la tristezza come tormento e
felicità.
I
prossimi quindici anni lo vedono dapprima in America alla ricerca
«poetica» del Passaggio di Nord-Ovest, in realtà contemplando
tramonti e giovani selvagge, entrando nelle loro capanne vestito
anch’egli di pelli d’orso, la barba lunga come un cacciatore e un
missionario. Poi negli eventi torbidi e strepitosi dell’emigrazione
e successivamente dell’èra napoleonica, ascesa e catastrofe di un
grande uomo, e avvento dei propri successi letterari: Atala,
Il genio del cristianesimo,
René, i Martiri,
il viaggio da Parigi a Gerusalemme.
Lo
scenario è completamente mutato e ora il lettore viene sospinto su
quello dell’Europa. La solitudine dei primi anni è travolta
irresistibilmente dalla società, dalla politica e dalle guerre
dominate da lui, il Primo Console e poi Imperatore. I libri su
Bonaparte, XIX-XXIV, sono una monografia quasi autonoma, impietosa e
abbagliata su questa parabola splendida e alla fine miserabile come
il corteo funebre e la sepoltura agli Invalidi, «fra le immondizie
di Parigi».
E
l’altra “marcia”, quella delle donne, la teoria delle dame e
degli amori che in carrozze, saloni e salotti passarono accanto a
questo «epicureo dotato di fantasia cattolica» secondo la
definizione di Sainte-Beuve. È aperta a inizio secolo da Pauline de
Beaumont e da Delphine de Custine, bruttina la prima ma con occhi a
mandorla e un languore irresistibili, splendida la seconda col suo
colorito e i capelli rosei; ed è chiusa infine da Madame Recamier,
Juliette, la più devota e fedele, compagna sino all’ultimo di
pellegrinaggi e passeggiate e delle sue ore estreme, ritratta a suo
tempo da David e ora semicieca nella casa di rue du Bac. Altre più
fuggevoli comparse sono ritratte in capitoletti nel XLIII e penultimo
libro di tutta l’opera. E tutto e sempre con la discrezione che
contraddistingue il gentiluomo e l’accorto.
Due
tomi dei Millenni Einaudi ci permettono di seguire adeguatamente
queste Memorie con
annotazioni, documenti, cronologie, indici e bibliografia aggiornata,
e con una galleria di illustrazioni coeve collegate al testo stesso
mediante citazioni interne: René sfinito e sognante durante le
battute di caccia giovanili, appoggiato a un masso «solo e padrone
di se stesso». Il conte di Mirabeau «tribuno dell’aristocrazia,
deputato della democrazia». George Washington «di aspetto calmo e
freddo più che nobile». Con Pauline de Beaumont tra le rovine del
Colosseo. Le rive del Lago Maggiore viste dalla locanda di Arona
«dipinte dall’oro del tramonto». La Delfina Maria Teresa «modello
perfetto delle sofferenze umane, Antigone della Cristianità».
George Sand, corrotta, «ma se diventasse timorata, diventerebbe
banale».
La
traduzione, a più mani, riprende, anch’essa rinnovata, quella
della Pléiade Einaudi-Gallimard del ’95, come ne è ripresa
l’Introduzione in cui Cesare Garboli conduce per settanta pagine un
corpo a corpo acuminato col testo e con l’autore: p. LXV:
«Meticoloso e pignolo com’era di natura, a dispetto dei sogni e di
una distrazione tutta superficiale…»; «Il solo uomo di lettere
italiano che abbia mostrato un sincero interesse per la sua opera è
stato Mario Luzi»…
Il
Sole 24 ore Domenica, 15 novembre 2015
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