Il nome di Orson Welles
è, giustamente, legato ad una serie di film, a partire
dall’eccezionale debutto di Citizen Rane (1940). È forse
meno noto che abbia saputo mettere in luce una non comune personalità
alle prese con altri mezzi espressivi. In teatro, ad esempio, egli
fece risaltare le proprie doti fin da giovanissimo ed esprimendosi al
meglio dal ‘36, ai tempi del Federal Theatre. Quanto alla radio, è
considerata (per dirla con Hadley Cantril) «la prima manifestazione
moderna di panico osservata su materiali di ricerca adeguata ai
sociologi» il fenomeno d’isteria collettiva che s’impossessò di
parte della popolazione degli Stati Uniti dopo la messa in onda - era
il 30 ottobre del 1938 - d’un adattamento radiofonico de La
guerra dei mondi di H.G. Wells, ove si narrava con minuzioso
realismo d’un atterraggio dei marziani nel New Jersey. Altri esempi
potrebbero essere portati, tutti utili a dimostrare come Welles
sapesse, in enorme anticipo sui tempi, fare un uso moderno di ogni
strumento con il quale egli si sia trovato ad agire.
Sono perciò assai validi
ed interessanti i saggi raccolti a cura di G. Placereani e L.
Giuliani in My Name Is Orson Welles (Il Castoro, pp. 343, €
24,50), atti di un convegno svoltosi ad Udine nel 2006. Ciascun
intervento focalizza un aspetto specifico della personalità di
Welles. Nell’introduzione, ad esempio, Giuliani e Placereani si
soffermano su quanto il suo atteggiamento sia assai spesso quello del
dilettante, del bricoleur, che, ridisegnandoli, si perde ai
confini delle varie forme artistiche, espressive, tecniche,
produttive, lasciando alle proprie spalle ore ed ore di immagini e
progetti conclusi o solo abbozzati; l’alternarsi di «alto» e
«basso», dall'attività registica a quella d’attore in film
altrui sovente discutibili, dalla scrittura alle apparizioni nella
pubblicità («La forma di prostituzione più innocua che conosca»,
Welles dixit) è affrontato da Peter von Bagh; Nuccio Lodato traccia
un esatto ritratto dell’ambiente radical americano, fondamentale
per la comprensione delle opinioni politiche wellesiane; Carlos
Aguilar esamina la presenza di Welles nel cinema europeo di serie B
quale interprete o mero punto di riferimento, ricordo, fantasma.
Il quadro complessivo è
quello di un gigante della cultura del ventesimo secolo, mai a
sufficienza studiato od analizzato.
"Tuttolibri - La Stampa", 25 agosto
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