Non sei più mio padre
è il titolo di un libro di Eva Cantarella pubblicato da Feltrinelli
nel 2015 ed avente come sottotitolo Il conflitto tra
genitori e figli nel mondo antico.
La Cantarella, già prestigiosa docente a Milano di Diritto greco e romano, non è nuova a sondaggi nella storia
delle mentalità e del costume nell'antichità ed è autrice di libri importanti su temi come la sessualità, il
ruolo della donna, i supplizi capitali.
Tra le fonti che con più sistematicità ed acume utilizza c'è la poesia. Il brano che segue, brevissimo,
efficacemente sintetizza il carattere educativo della poesia epica
in Grecia prima della nascita della “polis”. Del libro, la cui lettura vivamente consiglio, metterò in
circolazione anche altri brani, dedicati a temi più specifici. (S.L.L.)
Eva Cantarella |
Era
la poesia, nella Grecia precittadina, che insegnava e ribadiva
incessantemente le qualità che facevano di un uomo un “uomo forte
e nobile” (agathos),
e insegnava a disprezzare chi tale non era. Era la poesia che
incitava a “essere sempre il primo e distinto fra gli altri”,
secondo l’insegnamento dato da Peleo al figlio Achille, prima della
partenza per Troia (Iliade,
XI, v. 784), e dal re dei Lici Ippoloco al figlio Glauco (Il.,
XI, w. 207-208). E in quel mondo, in quel contesto culturale, essere
“il migliore e il più bravo” significava essere, in primo luogo,
il più forte.
Nel
mondo omerico, valori come collaborazione e giustizia non avevano
ancora fatto la loro comparsa. Le virtù necessarie per godere della
considerazione sociale erano dunque quelle che consentivano di
vincere - per non dire di sopraffare con la forza fisica e il
coraggio - in guerra. Ma non solo. Per affermarsi nella vita
comunitaria, l'agathos
doveva convincere i concittadini ad accettare le sue proposte,
imporre le sue opinioni nelle assemblee: doveva essere anche “buon
parlatore”. Erano queste le qualità culturalmente valutate e
socialmente premiate nel mondo omerico: la capacità di imporsi con
la forza fisica, con il coraggio, con la parola. Solo chi le
possedeva poteva comportarsi secondo i canoni eroici, che in primo
luogo imponevano di non tollerare le offese. In quel mondo, a ogni
atto offensivo si doveva rispondere con la vendetta, una necessità a
cui non si sfuggiva, fondamento dell’equilibrio sociale tra i
gruppi familiari. L’ottica nella quale la società eroica percepiva
la necessità della vendetta era quella dell’onore.
Questo
era il compito dei poeti, oltre alla funzione non meno importante di
trasmettere la memoria dei modi in cui si svolgevano gli atti e i
riti della vita sociale come le assemblee, i sacrifici agli dèi e i
matrimoni. Ed era per questo che, nel raccontare le storie,
proponevano all’uditorio modelli di comportamento sia positivi sia
negativi: tra i personaggi da ammirare - e nei limiti del possibile
imitare - in primo luogo Achille, il migliore degli achei, e poi
Agamennone, Menelao, Aiace, Ulisse e via dicendo. In campo femminile,
inutile a dirsi, mogli come Penelope e fanciulle come Nausicaa, la
perfetta ragazza da marito. Sull’altro versante, quello dei
personaggi da disprezzare e deridere: gli uomini del popolo che, come
Tersite, invece di obbedire a chi occupava una posizione sociale più
alta - come sarebbe stato loro dovere - si permettevano di
contraddire i nobili, urlando con voce ineducata e sgradevole. E
anche Paride, nobile di nascita, bello, bellissimo: ma gli mancava il
coraggio. A nulla serviva la bellezza a chi, come lui, era vile in
guerra e vanesio (“bellimbusto,” lo apostrofa un giorno il
fratello Ettore, il modello dell’eroe in campo troiano). Quanto
alle donne da disprezzare, il posto d’onore spettava a
Clitennestra, sul cui poco encomiabile comportamento ci soffermeremo
tra breve: attenzione, ammoniva la storia di Clitennestra, una donna
adultera può facilmente essere anche un’assassina.
Questa,
la fondamentale funzione sociale della poesia, in quei secoli, dalla
quale discende (al di là dell’insuperabile valore letterario)
quella di insostituibile documento storico.
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