Alfonso Berardinelli |
Nascita e sviluppo delle
scienze naturali, del romanzo e del giornalismo: la cultura moderna
dell’Occidente sarebbe impensabile senza queste fondamentali
novità. Per divulgare le scienze nacquero a Parigi il «Joumal des
Savants» nel 1665 e a Londra nello stesso anno la rivista
«Philosophical transactions»: il rapporto fra cultura e pubblico
doveva dunque cambiare, diventare più stretto e continuo. Il
romanzo, a sua volta, con uno dei suoi maggiori inventori, Daniel
Defoe, si allea presto con il giomalismo: quindici anni prima di
scrivere Robinson Crusoe (1719), Defoe aveva fondato «The
Review», che a sua voltalo aveva reso famoso.
Il primo giornalismo, nel
corso del secolo dei Lumi, fu soprattutto giornalismo culturale.
Oltre che uno strumento editoriale, diventò un genere letterario
polimorfo, versatile e vorace, che inglobava e usava forme
saggistiche precedenti e tradizionali, dal racconto di viaggio al
dialogo e alla satira, rendendole più duttili e comunicativamente
efficaci. «Il Caffè» di Pietro e Alessandro Verri, che uscì a
Milano per due anni a partire dal 1764, propose un modello al
giornalismo ottocentesco, dal «Politecnico» di Cattaneo alla
«Civiltà Cattolica». Quello che proponeva «Il Caffè» era
anzitutto una riforma illuministica e antiaccademica della prosa
italiana, una socializzazione riformatrice della nostra cultura.
Mescolando e fondendo informazione, divulgazione e riflessione, il
giornalismo è diventato da allora una istituzione pubblica e una
pratica critica, uno strumento ideologico-propagandistico e un
veicolo di discussione antiautoritaria.
Senza una primaria
attitudine critica, le promesse del giornalismo sarebbero vanificate.
È anche per questo che i giomalisti furono spietatamente criticati
da scrittori, pamphlettisti, narratori, filosofi e critici sociali
come Balzac. Kierkegaard, Karl Kraus. Fu proprio George Orwell, il
maggiore e più famoso scrittore-giornalista del Novecento, a
prendere spesso di mira il giornalismo come menzogna e manipolazione
delle coscienze. Sarebbe stato d’altra parte improbabile che uno
strumento di comunicazione di massa potesse restare immune dal
conformismo e dai più inerti luoghi comuni.
Culturalmente, ma anche
letterariamente, il giornalismo continua fino a oggi a mostrare una
speciale capacità di adattamento “darwinistico” ai mutamenti
dell’ambiente sociale e comunicativo. Forse non ne siamo sempre
consapevoli, ma la forma di scrittura pubblicamente più praticata e
diffusa è quella giornalistica.
Nel giornalismo c’è di
tutto: cronaca, idee, politica, eventi in corso, letteratura.
spettacolo, arti, mode e stili di vita personaggi famosi, sport,
problemi sociali, viaggi in paesi remoti... Sebbene nel giornalismo
sia esclusa o non sia prevista l’invenzione e la fiction,
èinnegabileche a chi scrive perigiomalinon dovrebbero mancare
attitudiniequalitàletterarie:efficaciaebri]lantezza comunicativa
capacità descrittiva e ritrattistica prontezza e precisione
nell’osservare ciò che in ogni situazione è essenziale e
caratteristico.
Nell’ultimo secolo sono
stati innumerevoli gli intellettuali e gli scrittori, soprattutto
romanzieri, ma anche poeti, che si sono dedicati al giornalismo:
Emilio Cecchi e Antonio Gramsci, Piero Gobetti e Alberto Moravia,
Ernest Hemingway e Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Roland Barthes,
Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Hans Magnus Enzesberger, Tom
Wolfe, Garcìa Marquez, Vargas Llosa... Fare giornalismo è
affrontare il presente, rappresentarlo, definirlo, interpretarlo. Nel
presente ci sono le tracce del passato e i sintomi, le premonizioni
del futuro. Per intuire e percepire questo c’è bisogno di cultura
e immaginazione storica, psicologica, morale, sociale. È necessario
saper vedere l’insieme a partire dai dettagli, prevedere la
tendenza generale nell’episodio singolo, nel fatto di cronaca, nei
connotati delle star mediatiche, nelle mutazioni dei comportamenti di
massa. In un certo senso, che può essere sia appassionante che
stressante, il giornalismo è un’enciclopedia del presente scritta
giorno per giorno, settimana per settimana.
Ma nel giornaalismo ci
sono anche due tempi. Il tempo simultaneo dell’up-to-date, di ciò
che accade, si fa e si dice oggi. E il tempo dell’analisi, della
riflessione, dell’approfondimento. A distinguere questi due tempi o
livelli, una volta c’erano i settimanali, contrapposti ai
quotidiani (nonché molti periodici di cui oggi si sente la
mancanza). Negli ultimi decenni i quotidiani contengono in sé dei
settimanali, pagine e pagine di inserti e supplementi culturali più
o meno specializzati (su libri, economia, industria, moda, salute,
ecc.). La dimensione culturale si è andata progressivamente
espandendo. Sia nel senso che “tutto è cultura”, dal modo di
vestirsi, di parlare, di mangiare, al consumo di libri, musica,
mostre, fiere e festival. Sia perché la produttività culturale è
straordinariamente cresciuta. Gli autori di ogni genere si sono
moltiplicati e l’arte è dovunque.
Il consumo culturale in
espansione impone al giornalismo un’attenta capacità di
intervento, che richiede la collaborazione di intellettuali di vario
tipo, filosofi, sociologi, storici, giuristi, psicoterapeuti. Il
mondo globalizzato da un lato si unifica, dall'altro si complica. È
quindi inevitabile che lo stesso avvenga per i linguaggi necessari ad
afferrarlo e comprenderlo. Ma certo, se smetteremo di leggere su
carta, se perderemo la capacita di fissare l'attenzione su un
articolo scritto per almeno cinque o dieci minuti, allora non saranno
in pericolo solo il giornalismo e la cultura, ma anche i nostri
poveri cervelli.
Il Sole 24 Ore Domenica,
25 febbraio 2018
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