È uscito lo scorso anno
e in questa maledetta primavera è stato tema di due presentazioni
umbre (una a Bastia, organizzata dal Circolo Primomaggio, una a
Perugia sotto l'egida dell'ANPI provinciale) un libretto di un
centinaio di pagine intitolato Il partigiano bambino –
sottotitolo La storia di Gildo Moncada - edito
dalla casa editrice Ad est che
stampa tra l'Emilia e le Marche, ma che ha radici agrigentine.
L'autore è Raimondo Moncada, che è nato ad Agrigento ma risiede a
Sciacca, ha praticato da cronista il giornalismo sulla carta stampata
e in tv ed è noto soprattutto come autore di testi umoristici e
satirici destinati alla lettura e alla rappresentazione teatrale e
come attore brillante.
Gildo
Moncada, cui il libro è dedicato, nato nel 1928 e morto nel 1997,
era il padre dell'autore. Era stato giovanissimo partigiano
combattente nella Brigata Leoni tra Umbria, Lazio e Toscana: aveva
perso una gamba a San Sepolcro, combattendo contro i tedeschi.
Pittore e grafico, Gildo lavorò a Roma per gli Editori Riuniti e poi
fu militante e dirigente del Pci nella sua Agrigento, da tutti
stimato per la passione, l'impegno, il rigore e la rettitudine. Al
Pds nel 1991 aveva aderito, ma a malincuore come tanti vecchi
compagni, con la paura che nel cambio di nome e di simbolo, pur
ritenuto necessario, si smarrissero i valori costitutivi di una
comunità e di una identità.
Il
libro che il figlio Raimondo ha voluto dedicare non è solo la
comunicazione di una memoria alle nuove generazioni, ma è concepito
e strutturato come un colloquio del figlio con il padre, nutrito da
ciò che il padre in vita ha detto e raccontato di sé e dal
rimpianto per ciò che invece non si è potuto dire.
La
parte più bella e interessante del libro a me è sembrata, non a
caso, la prima, quella dedicata alla partecipazione di Gildo alla
Resistenza. Gildo non aveva mai voluto raccontare quella storia nel
dettaglio, per cui la sua ricostruzione è anche il frutto di una
ricerca, di una raccolta di testimonianze.
La
storia comincia ad Agrigento dove Raimondo Moncada, il padre di Gildo
vive, all'inizio della Seconda Guerra Mondiale. Ha quattro figli. La
più grande, Pina, s'innamora di un sottufficiale dell'esercito, il
sergente maggiore Sante Boldrini, in servizio al Distretto Militare
della città dei Templi, ma nativo di Perugia. È proprio lui a
mettere in allarme Raimondo nei primi mesi del 1943: la guerra per
l'Asse va molto male, gli Alleati sbarcheranno presto in Sicilia,
Porto Empedocle ed Agrigento, in primo luogo, poi l'intera Sicilia
saranno teatro di battaglie, scontri e distruzioni. Raimondo accetta
il consiglio del genero: in un viaggio avventuroso trasferisce la sua
famiglia a Perugia e lì la famiglia affronta disagi e fame. Gildo ha
sedici anni e ne dimostra anche meno, ma sceglie la macchia e la
Resistenza nella Brigata Leoni. Lo chiamano “il partigiano
bambino”. Nella rievocazione non mancano, scontri, fughe ed
eroismi. Fa spicco la morte eroica di Mario Grecchi. Centrale è la
liberazione di Perugia, il 20 giugno del 1944.
Gildo
partecipa alla sfilata su corso Vannucci: lo si distingue chiaramente
in una foto di gruppo. Un'altra lo ritrae da solo, non casualmente
davanti al Brufani, il luogo da cui si dirigeva la famigerata marcia
su Roma, e un'altra al teatro Pavone, vicino al generale Alexander. Per me, nativo dell'agrigentino e perugino d'elezione,
quelle foto sono motivo d'orgoglio e di commozione. E mi commuove
l'intero libro, visto che, da giovanissimo comunista negli anni
Sessanta del 900, avevo conosciuto Gildo in Federazione, o – forse
- nella tipografia Sarcuto. Ma credo che il libro di Raimondo Moncada
possa essere fonte di grande emozione – per usare una parola cara
alla sinistra perugina – anche per altri lettori umbri.
"micropolis", maggio 2018
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