ROMA - Dopo due millenni
rivivono i segreti, i miti e le suggestioni degli antichi unguenti e
dei profumi ormai fossili. Densi e oleosi, nelle pregiate ampolle di
alabastro, sprigionano i loro aromi intensi e dimenticati. Miracolo
dell'archeologia sperimentale: il Cnr ha "ricostruito" in
laboratorio le essenze dell'antichità.
Ecco: questa bottiglina
minuscola che viene regalata ai giornalisti contiene l'unguento
Telinum, l'olio con cui si profumava Giulio Cesare, come lui
stesso ci informa nel De bello gallico. Ha un odore dolce e
forte di cetronella. L'unguento Regale invece era prediletto
dai re dei Parti, e Ciro lo usava per la sua barba imperiale:
contiene ventiquattro sostanze diverse, fra cui il seme di cardamomo,
che costava dodici denari per libbra, e poi mirra, cassia, lodno.
E Cleopatra quale balsamo
usava? L'unguento Myrtum-laurum, forse, al giglio, alla
maggiorana, alla trigonella greca. Di Cleopatra, addirittura, è
stato trovato un salone di bellezza, una grandiosa officina del primo
secolo avanti Cristo dove si producevano cosmetici e dove le clienti
si affollavano, in attesa, sui sedili di pietra. È vicino al Mar
Morto, il punto più depresso della Terra, 400 metri sotto il livello
del mare. Un'officina di nove saloni, con due mulini rotanti che
servivano a triturare semi e radici, due grandi vasche per macerare i
petali dei fiori, due forni e un focolare per gli unguenti. Ci sono
persino le vestigia di una torretta usata per controllare le
piantagioni circostanti, e i sali, e i celebri fanghi bituminosi del
Mar Morto. Sul fatto che questo industrioso beauty-parlor sia
appartenuto a Cleopatra - zingara lussuriosa che "consumava le
lampade notturne in orge e in gozzoviglie lascive", come la
immaginava Shakespeare - storici e archeologi non hanno dubbi: nel 34
avanti Cristo, spiegano, Antonio fece sì che Erode il grande cedesse
a Cleopatra la regione del Mar Morto a sud di Gerico per lo
sfruttamento minerario e termale. È qui che si distillava il
leggendario Balsamo di Giudea, ottenuto da un arbusto
introdotto in Israele dalla regina di Saba che ne fece dono a
Salomone.
E queste sostanze
rivivono adesso, con una fedeltà piena di fatica e di commozione, in
una mostra che si intitola I profumi di Afrodite, organizzata dal Cnr
per il ministero degli Esteri, una mostra itinerante - già
presentata, quando era ancora in nuce, a New York - e che si
inaugurerà il 24 ottobre a Dublino per poi spostarsi verso l'est,
"in quei paesi dell'estremo oriente - dicono gli organizzatori -
che per secoli hanno costituito il serbatoio principale
dell'approvvigionamento delle sostanze odorose e dove, a tutt'oggi,
sopravvivono orti botanici, colture spontanee, tradizioni
erboristiche e fonti letterarie che per noi sono difficilmente
reperibili".
Dopo Dublino e Amsterdam,
dunque, Seul, Hong Kong, Kuala Lumpur e infine, per la gran chiusura,
Parigi (settembre-ottobre). L'Italia, invece, per ora resta tagliata
fuori. Una mostra sui generis, con didascalie di due computer,
che rapidamente di ogni sostanza e ogni effluvio forniscono, in
lunghissimi elenchi, i principi attivi, le proprietà terapeutiche,
le caratteristiche organolettiche, il tipo di adulterazioni più
frequenti (succedeva anche duemila anni fa), e persino il prezzo (la
mirra, ad esempio, costava dai 13 ai 40 danari per libbra).
Ma a quali fonti si è
attinto per riprodurre gli antichi profumi? "Alle descrizioni e
alle ricette di Plinio, straordinario "giornalista scientifico",
e di Dioscoride, medico di Nerone e di tutta la casa imperiale",
racconta con passione l'archeologo Giuseppe Donato. Ma parlare di
profumi è inesatto. "I romani, i greci e naturalmente anche gli
egizi, non conoscevano il profumo, in quanto l'alcol non era ancora
stato distillato", spiega il professor Donato. E non esisteva
neanche il sapone: "Questo non vuole dire che non si lavassero,
al contrario. Usavano cenere di faggio, lisciva, e poi una speciale
creta tritata, e pietra pomice. Di questo trattamento d'urto la pelle
non godeva, e perciò andava lenita, ammorbidita, idratata con
balsami oleosi". Uno stratagemma per profumarsi quando il
profumo non esisteva, spiegano gli esperti, era quello, greve e
astuto, adottato dalle donne greche, che si nascondevano fra i
capelli piccoli "cornetti" contenenti gelsomino e grasso di
capretto: con il caldo il grasso si scioglieva facendo colare sul
viso le stille profumate. E per rendere più leggiadro l'ambiente -
ma soltanto in occasione dei banchetti più sfarzosi - i romani
avevano l'abitudine di liberare nei saloni bianche colombe le cui ali
erano state intinte in balsami pregiati. Usanza stigmatizzata da
Ovidio, che si lamentava degli schizzi e delle macchie di unto sui
pepli. E Marziale diceva: "Non ha buon odore chi è sempre
profumato".
Del resto, in tema di
sfarzo, Cleopatra aveva la molle abitudine e l' ingegnoso capriccio
di immergere in unguenti odorosi le vele del suo battello quando si
recava a incontrare Antonio, "e le vele erano così profumate -
scrive Shakespeare - che i venti languivano d'amore".
Di queste misteriose
essenze del passato il Cnr - ricorrendo esclusivamente alle antiche
tecniche profumiere della macerazione - ne ha riprodotte nuove "ma
avevamo più di duecento ricette - racconta il professor Donato -,
solo che molte materie prime sono scomparse o sono quasi introvabili.
Alcune - certe piantine - ce le ha portate Messner dalle cime
dell'Himalaya: ormai crescono solo lì. No, produrre queste sostanze
su scala industriale sarebbe impensabile. Costerebbe centinaia di
miliardi".
“la Repubblica”, 27
settembre 1985
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