1.7.18

I segreti degli antichi profumi. Così Cleopatra odorava d'amore (Laura Laurenzi)


ROMA - Dopo due millenni rivivono i segreti, i miti e le suggestioni degli antichi unguenti e dei profumi ormai fossili. Densi e oleosi, nelle pregiate ampolle di alabastro, sprigionano i loro aromi intensi e dimenticati. Miracolo dell'archeologia sperimentale: il Cnr ha "ricostruito" in laboratorio le essenze dell'antichità.
Ecco: questa bottiglina minuscola che viene regalata ai giornalisti contiene l'unguento Telinum, l'olio con cui si profumava Giulio Cesare, come lui stesso ci informa nel De bello gallico. Ha un odore dolce e forte di cetronella. L'unguento Regale invece era prediletto dai re dei Parti, e Ciro lo usava per la sua barba imperiale: contiene ventiquattro sostanze diverse, fra cui il seme di cardamomo, che costava dodici denari per libbra, e poi mirra, cassia, lodno.
E Cleopatra quale balsamo usava? L'unguento Myrtum-laurum, forse, al giglio, alla maggiorana, alla trigonella greca. Di Cleopatra, addirittura, è stato trovato un salone di bellezza, una grandiosa officina del primo secolo avanti Cristo dove si producevano cosmetici e dove le clienti si affollavano, in attesa, sui sedili di pietra. È vicino al Mar Morto, il punto più depresso della Terra, 400 metri sotto il livello del mare. Un'officina di nove saloni, con due mulini rotanti che servivano a triturare semi e radici, due grandi vasche per macerare i petali dei fiori, due forni e un focolare per gli unguenti. Ci sono persino le vestigia di una torretta usata per controllare le piantagioni circostanti, e i sali, e i celebri fanghi bituminosi del Mar Morto. Sul fatto che questo industrioso beauty-parlor sia appartenuto a Cleopatra - zingara lussuriosa che "consumava le lampade notturne in orge e in gozzoviglie lascive", come la immaginava Shakespeare - storici e archeologi non hanno dubbi: nel 34 avanti Cristo, spiegano, Antonio fece sì che Erode il grande cedesse a Cleopatra la regione del Mar Morto a sud di Gerico per lo sfruttamento minerario e termale. È qui che si distillava il leggendario Balsamo di Giudea, ottenuto da un arbusto introdotto in Israele dalla regina di Saba che ne fece dono a Salomone.
E queste sostanze rivivono adesso, con una fedeltà piena di fatica e di commozione, in una mostra che si intitola I profumi di Afrodite, organizzata dal Cnr per il ministero degli Esteri, una mostra itinerante - già presentata, quando era ancora in nuce, a New York - e che si inaugurerà il 24 ottobre a Dublino per poi spostarsi verso l'est, "in quei paesi dell'estremo oriente - dicono gli organizzatori - che per secoli hanno costituito il serbatoio principale dell'approvvigionamento delle sostanze odorose e dove, a tutt'oggi, sopravvivono orti botanici, colture spontanee, tradizioni erboristiche e fonti letterarie che per noi sono difficilmente reperibili".
Dopo Dublino e Amsterdam, dunque, Seul, Hong Kong, Kuala Lumpur e infine, per la gran chiusura, Parigi (settembre-ottobre). L'Italia, invece, per ora resta tagliata fuori. Una mostra sui generis, con didascalie di due computer, che rapidamente di ogni sostanza e ogni effluvio forniscono, in lunghissimi elenchi, i principi attivi, le proprietà terapeutiche, le caratteristiche organolettiche, il tipo di adulterazioni più frequenti (succedeva anche duemila anni fa), e persino il prezzo (la mirra, ad esempio, costava dai 13 ai 40 danari per libbra).
Ma a quali fonti si è attinto per riprodurre gli antichi profumi? "Alle descrizioni e alle ricette di Plinio, straordinario "giornalista scientifico", e di Dioscoride, medico di Nerone e di tutta la casa imperiale", racconta con passione l'archeologo Giuseppe Donato. Ma parlare di profumi è inesatto. "I romani, i greci e naturalmente anche gli egizi, non conoscevano il profumo, in quanto l'alcol non era ancora stato distillato", spiega il professor Donato. E non esisteva neanche il sapone: "Questo non vuole dire che non si lavassero, al contrario. Usavano cenere di faggio, lisciva, e poi una speciale creta tritata, e pietra pomice. Di questo trattamento d'urto la pelle non godeva, e perciò andava lenita, ammorbidita, idratata con balsami oleosi". Uno stratagemma per profumarsi quando il profumo non esisteva, spiegano gli esperti, era quello, greve e astuto, adottato dalle donne greche, che si nascondevano fra i capelli piccoli "cornetti" contenenti gelsomino e grasso di capretto: con il caldo il grasso si scioglieva facendo colare sul viso le stille profumate. E per rendere più leggiadro l'ambiente - ma soltanto in occasione dei banchetti più sfarzosi - i romani avevano l'abitudine di liberare nei saloni bianche colombe le cui ali erano state intinte in balsami pregiati. Usanza stigmatizzata da Ovidio, che si lamentava degli schizzi e delle macchie di unto sui pepli. E Marziale diceva: "Non ha buon odore chi è sempre profumato".
Del resto, in tema di sfarzo, Cleopatra aveva la molle abitudine e l' ingegnoso capriccio di immergere in unguenti odorosi le vele del suo battello quando si recava a incontrare Antonio, "e le vele erano così profumate - scrive Shakespeare - che i venti languivano d'amore".
Di queste misteriose essenze del passato il Cnr - ricorrendo esclusivamente alle antiche tecniche profumiere della macerazione - ne ha riprodotte nuove "ma avevamo più di duecento ricette - racconta il professor Donato -, solo che molte materie prime sono scomparse o sono quasi introvabili. Alcune - certe piantine - ce le ha portate Messner dalle cime dell'Himalaya: ormai crescono solo lì. No, produrre queste sostanze su scala industriale sarebbe impensabile. Costerebbe centinaia di miliardi".

“la Repubblica”, 27 settembre 1985

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