16.7.18

Aldo Capitini, intellettuale tra nonviolenza e solidarietà. Le schedature di due polizie (Aldo Zanardo)


L'articolo che segue, utile e informato, fu pubblicato nelle pagine dei libri dell'Unità trent'anni or sono, in occasione del ventennale capitiniano, mentre il Pci, aprendosi un po' ecletticamente a varie e non omogenee correnti di pensiero, stava celebrando, con la guida di Occhetto, un congresso che lo avrebbe fatto diventare “nuovo” poco prima di sciogliersi. Non stupisce pertanto la sottintesa autocritica di Zanrdo per conto dei comunisti, colpevoli di aver sottovalutato ed emarginato un'importante esperienza di pensiero e azione come quella di Capitini. Infastidisce, peraltro, il residuo settario che si può leggere in qualche omissione, in una in particolare, relativa all'intellettuale italiano più vicino a Capitini, non citato nell'articolo e invece citatissimo nei rapporti dei questurini. (S.L.L.)
Aldo Capitini (a destra) con carlo Ludovico Ragghianti e Walter Binni

1. Il Centro studi Aldo Capitini e l'Istituto per la stona dell'Umbria contemporanea hanno voluto opportunamente ricordare Capitini, a vent'anni dalla morte. pubblicando i documenti del fascicolo che su di lui la Questura di Perugia tenne tra il 1930 e il 1968, unitamente ad alcuni dei documenti del suo fascicolo personale conservato presso la Scuola Normale di Pisa («Uno schedato politico, Aldo Capitini» , Editoriale Umbra). A ricavare illuminazione sono non tanto le idee di Capitini, quanto alcune vicende della sua vita, e la «filosofia schedatoria» non solo della Pubblica sicurezza fascista, ma anche di quella repubblicana.

2. Capitini, che era nato a Perugia nel 1899, frequenta tra il 1924 e il 1929, laureando e poi perfezionando, la Scuola Normale di Pisa. Nel 1930. Gentile, che era allora direttore di questa e che almeno in quegli anni, dal punto di vista politico-culturale, agiva con notevole larghezza di vedute, lo fa nominare segretario della Scuola, per quanto Capitini appaia già proprio nel 1930 nello «Schedario sovversivi», quasi sicuramente per la sua opposizione al Concordato del 1929. Ma nel 1933, con indignazione di Gentile, rifiuta di iscriversi al partito fascista; e cosi deve tornare a Perugia a vivere di lezioni private e di stenti. Da allora, viene «vigilato»: spostamenti, incontri, attività, pubblicazioni, corrispondenza. Nel 1933-34 si intensificano i suoi rapporti con vari intellettuali antifascisti toscani e anche di Roma (Calogero) e di Bologna (Ragghiarti, che allora vi abitava), in Toscana, fra gli altri; l'italianista Attilio Momigliano, con il quale si era laureato; Luigi Russo, che nel 1936 lo presenterà a Croce quasi come un suo scolaro; Tristano Codignola; Raffaello Ramai; Enzo Enriquez Agnoletti; Cesare Luporini. Nell'aprile 1933 il Prefetto di Pisa lo segnalava a quello di Perugia come «ghandista»; è però probabilmente in questi primi nuovi anni perugini che legge davvero Ghandi e, preparato da autori «suoi» come Francesco e il Mazzini umanitario, ne comprende la grandezza. In quegli anni il mondo degli uomini pareva un mondo nel quale, essenzialmente, si doveva perseguire fini di parzialità e di forza con mezzi di forza, Capitini sceglie la liberazione universalistica, di ciascuno, la convivenza pacifica, solidale, unificata, di tutti, da perseguirsi con mezzi nonviolenti. Si fa anche, a tanto giunge la sua coerenza nonviolenta, vegetariano. Guarda a un superamento del fascismo tramite la non collaborazione nonviolenta. Nel 1937, come scrive al Questore di Perugia quello di Napoli (che faceva controllare e copiare la corrispondenza di Croce), è il «soprascritto oppositore senatore Benedetto Croce» che aiuta Capitini a pubblicare presso Laterza il primo libro, Elementi di un'esperienza religiosa, libro importante, e nel profondo ben poco crociano, con il tema esistenzialistico della nostra finitezza, beninteso di una finitezza che ha da essere «apertura» al «tu», agli altri.
Nella prima metà del 1942, la schedatura è fittissima e ampia. Giunge a maturazione quel progetto di nuova società che va sotto il nome di liberalsocialismo, e sì allarga e compagina la convergenza, specialmente ma non solo di intellettuali, intorno a questo progetto. Di ciò, Capitini è un protagonista, Dal febbraio al maggio 1942 è in carcere alle Murate di Firenze, appunto perché implicato nel «movimento liberalsocialista». Condivide la cella con Guido Calogero. Dal maggio al luglio 1943 è di nuovo in carcere a Perugia per «attività antinazionale», nel quadro degli arresti di molti antifascisti cui il regime procedette nel primo 1943. Alla polizia, nella confusione del secondo 1943, sfugge che nel settembre Capitini è a Firenze al Congresso del Partito d'azione: come si sa, d'altra parte, egli non accetta di aderire al Partito; guarda sempre a una umanità corale, integrata, di ciascuno e di tutti. e si sente a suo agio nel dinamismo fluido e aperto di un movimento, e non in un partito, con le regole che questo non può anche non implicare. Fra il 1944 e il 1948 si dedica molto, anche se con successi modesti, ai Centri di orientamento sociale: appunto a esperienze di movimento, sforzandosi di sollecitare la gente debole a sapere dire i suoi problemi e a Intendere i problemi del Paese, Nel 1946 viene reintegrato come segretario della Scuola di Pisa. Alla richiesta avanzata a nome della scuola da Luigi Russo, allora direttore, che fosse nominato vicedirettore, il ministero della Pubblica istruzione si oppose seccamente. A Pisa riesce ad avere anche l'incarico di Filosofia morale all'Università. Ma alla cattedra, di Pedagogìa, arriverà tardi, nel 1956: era persona di opposizione La sede universitaria sarà Cagliari, la distanza da Perugia gli imporrà un prezzo notevole in termini di salute, già da tempo malferma. Ma sempre, instancabilmente, tiene conferenze e promuove iniziative; e sempre contro la guerra, contro i blocchi, contro il cattolicesimo istituzionalizzato e monarchico. Nel settembre 1961 organizza la prima «Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli». Nel fascicolo poliziesco c'è l'articolo che Lucio Lombardo Radice scrisse sull'Unità del 19 settembre 1961, Un uomo che può aprire la marcia. Solo nel 1965 sarà chiamato all'Università di Perugia: in tempo per svolgervi appena tre corsi prima di morire. Il 29 ottobre 1968 il Questore di Perugia, con «Riservata - Raccomandata - Doppia busta», informa la Direzione generale della Pubblica sicurezza che «il nominato in oggetto è deceduto in Perugia in data 19.10.1968». E cosi si poteva chiudere il fascicolo Aldo Capitini.

3. Una sola considerazione fra le molte che dovrebbero essere (atte sulla «filosofia» della Pubblica sicurezza. La schedatura fascista di Capitini si comprende. Essa in ogni modo si conclude nel luglio 1944, Ma nell'agosto 1948 il Questore di Pisa, chiedendo informazioni a quello di Perugia sul segretano della Normale, la riavvia. Perché? Non è solo questione di vischiosità burocratica, di attività continuistica. Inerziale. Di fatto, non viene più schedato il Capitini antifascista. La questione, a me pare, sta in ciò: nella cultura politica dei nostri Questori repubblicani c'era, palesemente per condizionamento dei gruppi politici e sociali più chiusi, una certa ipotesi di Italia. Un'ipotesi, a quanto emerge dai documenti raccolti in questo libro, basata su una sorta di triangolo di «valori»: mettere fuori causa la partecipazione politica della gente e la sinistra, estirpare ogni tendenza all'«antiguerra», al pacifismo, alla nonviolenza; costruire uno Stato cattolico e non laico. A contrastare questi «valori» Capitini non aveva la forza e la capacità del nostro partito. Egli, contro questi, lotta solo, non sufficientemente appoggiato neppure da noi, con radicale intransigenza, per valori utopicamente antitetici. Ecco la sua anomalia. Ma lasciamo la parola ai documenti, che sono più eloquenti di ogni commento. Nell'agosto 1948 il Questore di Perugia risponde a quello di Pisa ritenendosi autorizzato a dire, nientemeno, che Capitini è «simpatizzante delle sinistre» e critico della «religione cattolica». Un maresciallo di Perugia, nel marzo 1949, comunica al suo Questore che Capitini «è elemento sinistroide contrario alla guerra... spietato critico della religione cattolica... capo» dell'«Associazione di resistenti alla guerra aut Movimento degli obiettori di coscienza», e che «non gode di buona estimazione nel pubblico per le sue idee da squinternato». Nel novembre 1949. il Questore di Pisa scrive che Capitini «capeggia in questa città, da oltre un anno, il Centro di orientamento sociale che, con carattere anticlericale, tende alla riforma religiosa. Non svolge però nessuna apprezzabile attività, né fa seria propaganda». E continua. «Sono qui appena due o tre gli intellettuali che dimostrano di interessarsi alle teorie di Capitini, il quale, poi, dagli altri pochi intellettuali che lo conoscono, viene schernito e additato come colui che vuole riformare la religione servendosi di vecchie zitelle e di preti spretati». Nel luglio 1950, si noti l'anno, il Questore di Cremona, in riferimento a una lontana richiesta del Questore dì Perugia dell'Italia di Salò (aprile 1944), chiede di sapere se Capitini è ancora un ricercato. Nel dicembre 1958, il Questore di Perugia pensa di dovere riferire al ministero dell'Interno che Capitini «fece parte della Associazione italiana di resistenza alla guerra e della Federazione italiana antimilitarista, e nel 1949 tentò di costituire in questa regione il Movimento obiettori di coscienza, raccogliendo l'adesione di una quindicina di persone che successivamente si allontanarono... Egli, nel suo continuo desiderio di emergere e allo scopo di elevarsi dalla mediocrità e costituirsi un seguito, nel 1952 si fece promotore in Perugia del Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza, del Centro di orientamento religioso... e della Società vegetariana italiana... Queste iniziative, come le altre da lui tentate, non suscitarono il benché minimo interesse in questa popolazione e lo stesso Capitini non consta che abbia un seguito apprezzabile, essendo noto per la sua megalomania». Nel dicembre 1958 Capitini tiene a Modena, nella «casa della Gioventù comunista» una conferenza su Discuto la religione di Pio XII, un libro che aveva pubblicato presso Parenti nel 1957; il locale Questore si sente in diritto di chiedere al ministero dell'Interno, su Capitini, «dettagliate informazioni, specie in linea politica». Nel maggio 1966, si noti ancora la data, il Questore di Bologna chiede a quello di Perugia informazioni su Capitini in quanto, insieme ad altri, si è incontrato in un albergo in questa città «con il prof. Favilli Giovanni fu Giuseppe, direttore dell'Istituto di patologia generale dell'Università di Bologna, noto esponente dell'Anpi e consigliere del Comune di Bologna per la lista del Pci».
Diverse domande si pongono. È ammissibile che la politica della Repubblica schedasse Capitini? E che, come si sa e come l'ultimo passo citato mostra, schedasse i comunisti? Capitini era per la gente e per la sinistra; era contrario alla violenza; era contrario a una religione di Stato. E ammissibile che nelle nostre Questure non si volesse così fermamente e ottusamente che lo Stato diventasse laico, che il movimento nonviolento crescesse, che la gente e la sinistra contassero di più? È ammissibile che funzionari della Repubblica abbiano costume, come risulta chiaramente da alcuni dei passi che ho citato, di trattare un cittadino, un uomo, con tanta stupidità crudele, con compiaciuto e brutale disprezzo? Un uomo che dette tanto a ciò che il Paese stava diventando in meglio e a ciò che dovrebbe diventare. Un uomo che non sapemmo capire abbastanza. Ma che, soprattutto i più giovani di noi ma anche i non più giovani, abbiamo imparato a capire; abbiamo imparato a capire l'altezza del suo messaggio di nonviolenza e di attenzione alla gente, a tutti, a una società in cui ciascuno sia libero, sovrano, solidale.

“l'Unità”, 21 dicembre 1988

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