12.7.18

Sessantotto. L’ultima volta che vidi Kerouac (Allen Ginsberg)


Neil Cassidy morì nel ’68. Io l’ho saputo solo a febbraio. Era un vecchio, vecchio amico di Kerouac e mio. Fino a dicembre ero in Italia, in una pensione a Venezia. Dietro l’angolo c’era Ezra Pound con la moglie Olga e lo vedevo quasi ogni giorno. Allo stesso tempo in America si preparava la levitazione del Pentagono. Aiutavo i miei amici poeti da lontano, ma per me era più importante in quel momento essere con Ezra Pound e imparare da lui. Quando tornai seppi cosa era successo. Cassidy era morto a Mexico City. È la cosa più intensa che mi sia successa quell’anno. Nel marzo 68 qualcuno disse che il governo aveva cercato di lavare il cervello alla gente. Fu un candidato presidenziale a dirlo. Camminavo per le strade di Manhattan, guardavo gli edifici e le persone mi sembravano tutte dei robot.
Quell’estate andai sulla costa del Pacifico e fumai un sacco di marijuana. In quel periodo Timothy Leary fu messo in galera, e Le Roy Jones vinse un processo e il dottor Spock... Ma forse dovrei raccontare delle cose più personali? Ah, sì, una cosa molto buffa. Andai in Messico con mio fratello, sua moglie e i suoi cinque bambini, sul mio furgoncino Volkswagen. Alla dogana mi bloccarono e mi dissero che non mi avrebbero fatto entrare se non mi tagliavo i capelli e non mi facevo un bagno. Chiamai il console americano a Loreto e alla fine mi fecero passare. Al ritorno andai a San Francisco a visitare la vedova di Neil Cassidy che mi mostrò una borsa che conteneva le sue ceneri. Io le aprii e le toccai.
Poi ci furono i moti di Chicago alla convention democratica. Ero l^, marciavo con Jean Genet e William Burroughs. Andai a letto con Genet. Mi toccò e io non ebbi l’erezione, così si alzò e se ne andò. Capii che lui aveva dei modi molto decisi e anche che i miei desideri erano forse più letterari che fisici. Il vicepresidente Humphrey era sulla tazza del cesso, gli entrò un lacrimogeno dalla finestra e lo fece piangere. Scrissi un poemetto su quest’episodio.
Passai il resto dell'autunno e dell’inverno nella mia fattoria nello Stato di New York, senza elettricità, e le mucche in giro. Ero talmente sconvolto dalla violenza di Chicago... La notte che tornai dalla convention lavorai con una lampada a gas e un organo a mantice scrivendo musica sul testo di un poema di William Blake, The Grey Monk, che avevo letto a migliaia di persone a Chicago. «But vain the Sword & vain the Bow, / They never can work War’s overthrow. / The Hermit’s Prayer & the Widow’s tear / Alone can free the World from fear». In sostanza significa che la violenza non si batte con la violenza. Molti anni dopo ho potuto leggere il rapporto dell’Fbi che mi riguardava. Dicevano che avevo letto un mucchio di sciocchezze.
Neil Cassidy, Ezra Pound, Chicago, gas lacrimogeni. Vediamo, cos’altro? Quello fu anche l’ultimo anno che vidi Jack Kerouac. Venne a New York per visitare William Burroughs, e accettò di andare a un ”talk show” televisivo di William Buckley jr. Gli chiese cosa pensava della guerra del Vietnam e Jack rispose: «È una cospirazione dei sudvietnamiti per poter avere molte jeep giapponesi». «Via, via», rispose Buckley, «non può essere solo questo». «Comunque», replicò Jack, «visto quante jeep si beccano?». Fu l’ultima volta che siamo stati insieme tutti e tre, Burroughs, Kerouac e io.
Molte cose sono cambiate. Quelli che erano stalinisti sono ora antistalinisti, ma non sono cambiati. Non gli piace il rock & roll, non gli piace l’omosessualità, non credono nella poesia ma solo nell’esercito e nelle scazzottate. I maoisti e i violenti degli anni '60 sono ora passivi e apatici. Solo i buddisti e quelli sensibili, interessati al lato buffo delle cose, Dellinger e Abbie Hoffinan, stanno ancora cercando. Gli altri erano e sono seri in maniera suicida. Oh, sicuro, è ancora possibile fare delle cose: ma in maniera meno egocentrica.

da Sessantotto. Una storia aperta - supplemento a "L'Espresso", 25 gennaio 1988

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