20.6.19

Il celibato, un'anomalia sociale (Marino Niola)


Johan Gottlieb Fichte

Rimanere celibi senza volerlo è una grande infelicità. Sceglierlo è una grave colpa. Lo diceva il celebre filosofo Johann Gottlieb Fichte, riflettendo un´idea del celibato come anomalia e come pericolo per la collettività. Ma non è stato così né sempre né dovunque.
L´alternativa celibe è presente in moltissime società che ne hanno fatto addirittura un´arma decisiva per vivere meglio. Per mantenere l´equilibrio demografico ed ecologico tra uomini e natura come facevano gli Indios dell´America Latina. O per una libera scelta da edonisti primitivi, come facevano gli aristocratici abitanti dei mari del Sud. Ma anche per produrre performance al di fuori del comune, più adatte ai singoli che alle persone sposate. Gli sciamani siberiani, specialisti del rapporto con il soprannaturale, erano molto spesso liberi da vincoli matrimoniali che avrebbero impedito al loro spirito quella concentrazione e quella capacità di vedere oltre il quotidiano che erano una ricchezza a disposizione dell´intera comunità. Il volo sciamanico era l´espressione figurata di questa estrema libertà di andare oltre i limiti di un´esistenza ordinaria. Così la condizione di "senza letto" - questo è il significato della parola celibe - smetteva di essere un semplice difetto per trasformarsi in un vantaggio individuale e sociale. Ma anche in Occidente, a parte quello ecclesiastico, gli esempi di celibato felice non mancano. Il nostro immaginario è pieno di eroi scapoli. Dai cavalieri erranti ai tre moschettieri fino ai Superman e Batman dei nostri giorni. E forse non è un caso che i cacciatori di teste aziendali prediligano spesso i single. Cavalieri erranti del business in grado di saltare da un aereo all´altro, ma soprattutto di mettere a frutto la propria libertà. Naturalmente a potersi consentire molti celibi sono soprattutto le società dove il lavoro non dipende soltanto dal numero di braccia. E dove l´incremento demografico non è una necessità vitale. È così per l´opulento Occidente contemporaneo dove in molti paesi i single sono ormai maggioranza. Ma era così anche per i bellissimi polinesiani cui un clima da paradiso terrestre e una natura generosissima consentivano di non essere costretti a metter su famiglia per sopravvivere.
Il ruolo del celibato è per definizione inverso a quello della famiglia. E in certi casi non è meno necessario. Molte società riescono a sopravvivere proprio istituzionalizzandolo. Autorizzando per esempio l´amore omosessuale per quegli individui che non possono o non vogliono prendere moglie.
Claude Lévi-Strauss racconta che tra gli indios Nambikwara, che abitano le savane del Brasile centrale, la poligamia dei capi e la scarsità di donne disponibili costringevano al celibato gli uomini meno aggressivi. Che avevano a disposizione uno scivolo istituzionale nell´unione con il fratello della ragazza che avrebbero voluto sposare. Mentre in Melanesia e in Nuova Guinea ai maschi non sposati vengono affidate mansioni femminili, e i capi li considerano delle mogli supplementari, delle donne sui generis. Proprio come i Galli, i sacerdoti di Cibele e della dea Syria, divinità orientali veneratissime nella Roma imperiale, che vestivano con tonache femminili, si truccavano e parlavano in falsetto. Ma soprattutto si eviravano ritualmente offrendo così alla dea la loro virilità insieme al loro celibato. Un voto estremo che però non comprendeva la castità. Come racconta Apuleio nell'Asino d´oro, questi preti variopinti e scatenati praticavano la sodomia alla grande.
Insomma se la società è una macchina che deve fabbricare la vita, il celibe la fa girare a vuoto, producendo energia fine a se stessa. La forza di una civiltà sta nel riuscire a trasformare questa eccedenza di energia in un vantaggio per tutti.

la Repubblica”, 18 marzo 2010

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