3.6.19

Lo stregone Ungaretti (Giulio Cattaneo)



La storia di una lunga amicizia fra due coetanei, nati nel 1888, e di un sodalizio letterario forse unico nel Novecento italiano è documentata in parte (solo per un trentennio) dal Carteggio 1931-1962 di Giuseppe Ungaretti e Giuseppe De Robertis, con un'appendice di redazioni inedite di poesie, pubblicato dal Saggiatore con introduzione, testi e note a cura di Domenico De Robertis, filologo e storico della letteratura italiana (pagg. 205, lire 20.000). È, quello di De Robertis, il lavoro accuratissimo e rigoroso di un editore e interprete, insieme "impassibile" e "partecipe", di un testo "riprodotto in tutte le sue particolarità", dando conto ad ogni lettera "di cancellature, correzioni, pentimenti e aggiunte" e con i necessari riferimenti biografici e culturali.
Alla base di questa amicizia e sodalizio letterario era la profonda convinzione di De Robertis che Ungaretti fosse il nostro maggiore poeta del secolo ("con G.U. comincia e finisce, per me, la poesia nuova italiana"), mentre Ungaretti considerava De Robertis "il più grande critico vivente". Nel 50, a conclusione di uno scritto sulla poesia italiana contemporanea, De Robertis asseriva: "Ungaretti il primo. Chi sarà il secondo?". Nonostante la sua predilezione per Ungaretti, De Robertis credette nella poesia di Montale, anche se non fece a tempo a vederne il grande, tardivo decollo quando se ne impadronì l'industria culturale imponendola a un pubblico più largo. Ungaretti ebbe coscienza della propria novità e di aver fondato, come realmente fu, col Porto sepolto del 16, la poesia italiana del Novecento. Nel 49, in una lettera a De Robertis, scriveva: "Tutta la poesia moderna italiana è nata dall'Allegria e dal Sentimento, ma toccherà ai critici dimostrarlo". Era convinto che dalla sua "idea d'aridità, d'essenzialità, di purezza" fossero derivati anche gli Ossi di seppia, riconoscendo a Montale, pure fra tanti sfoghi polemici, "momenti impressionistici di vera bellezza". Quando fu assegnato a Quasimodo il Nobel per la poesia, Ungaretti commentò con insolita obiettività: "Sarebbe stato giusto che l'avessero dato a Montale o a me". Il Carteggio comprende un trentennio, fra il 31 e il 62, anno della morte di De Robertis; ma i rapporti fra i due risalivano al 16 e il curatore del libro riporta i vari "richiami" di Ungaretti al critico, i "saluti e i pensieri per lui" nella corrispondenza con Papini. Nella prima lettera di Ungaretti è la notizia dell'invio dell'Allegria, edizione Preda, e il Carteggio si chiude con un suo telegramma per la pubblicazione di Altro Novecento del De Robertis, il "migliore libro dell'anno".
I temi della corrispondenza sono quasi sempre letterari, con poche divagazioni su altri argomenti soprattutto da parte di De Robertis: il lungo lavoro comune per l'edizione Mondadori, il terzo di Vita d'un uomo, delle Poesie disperse "con l' apparato critico delle varianti di tutte le poesie", il commento puntuale all'opera poetica di Ungaretti dal ' 45 in poi e l'interesse vivo di Ungaretti per gli studi di De Robertis, da Leopardi a Manzoni. Per il resto i lutti familiari, la dolorosa vicenda nel dopoguerra delle cattedre universitarie per "alta fama", l'attenzione dei due alla vita letteraria di un trentennio. Di politica non si parla, a eccezione di qualche ingenuo accenno di Ungaretti che aveva conosciuto Mussolini durante la guerra del 15 e aveva creduto più tardi di essere fascista. Ma si tratta di parole dettate solo da autentico candore e forse anche derivate da un passato di figlio di emigrati poveri: all'inizio del Carteggio De Robertis viveva molto modestamente e Ungaretti in vera e propria indigenza, sperando in un premio letterario o in qualche incarico. De Robertis era un attento studioso di classici e un lettore sensibilissimo di contemporanei. L'opinione che si applicasse a Guittone e a Petrarca come si trattasse di autori vicini nel tempo deve essere rovesciata nell'idea opposta che soltanto nella disposizione a considerare un moderno come un antico, il critico era capace di ottenere anche nei confronti dei contemporanei risultati felici.
Fedelissimo alla letteratura, De Robertis soffriva nel dopoguerra per la tendenza diffusa a giudicare gli uomini secondo le loro etichette politiche. Al tempo del referendum istituzionale e poi nel 48, fra gli allievi che discutevano accanitamente di politica, finiva per spazientirsi: "Parliamo di studi, che è meglio". Le sue lezioni erano sempre animatissime e il rapporto coi giovani ammirevole per spontaneità e vivezza. A chi incontrava Ungaretti per la prima volta era possibile scandalizzarsi per le sue tirate violentissime, ma anche meravigliarsi per un brusco mutamento di giudizio nei confronti di un personaggio poco prima bistrattato. Il poeta faceva presto ad alterarsi, ma nel colmo dell'uragano arrivava improvvisamente la bonaccia. Così, in casa di un uomo politico, uscì in una diatriba contro il partito del suo ospite interrompendosi a un tratto per mettersi a ridere. Ungaretti parlava moltissimo e si infervorava su qualsiasi argomento: la letteratura, l'arte, la politica, i viaggi, la bellezza delle donne. Ignorava la cautela e quello che pensava doveva spararlo fuori subito, tanto che al tempo del fascismo finì in prigione, anche se figurava protetto da Mussolini, per aver gridato "come un matto" a favore di Saba colpito dalle leggi razziali e contro la campagna antifrancese. Tendeva a colorire e a dilatare i temi dei suoi racconti ingrandendo gli elementi reali con immaginazione infatuata e sapida. Ma se era pronto ad abbandonarsi ad una fantasia rabelaisiana, sapeva trovare nelle rievocazioni di città e paesaggi accenti di estrema delicatezza, come quando parlava della notte in arrivo sul lago di Tiberiade con l'ombra che cresceva dal fondo dell'acqua e le dava il sonno. In questi casi la sua voce si faceva timida e lui stesso sembrava rimpiccolirsi in umiltà interrompendosi con un "Eeeeh?" rivolto a chi lo ascoltava come se avesse avuto bisogno per proseguire di un cenno di consenso. Era irrequieto e infaticabile e non sarebbe mai andato a letto, la sera, se in buona compagnia. Era un nomade e proprio nei viaggi si sentiva più a suo agio, molto gridando, al solito, in pullman, in treno, in aeroplano. Non aveva niente del vecchio che non segue più il mondo in mutamento e si rifugia nel passato: Ungaretti era tutto preso dal presente e teso al futuro. Lieto di stare fra i giovani, vestito di un maglione azzurro che riprendeva il colore dei suoi occhi di stregone, fra barbe studentesche e chitarre passava ore senza noia. Non rifiutava nulla della vita mescolando l'entusiasmo per le più spericolate invenzioni della pittura e della poesia contemporanea all'amore per i vecchi libri e per le tavole antiche. Non gli bastava la nostra "aiuola": voleva la terra e la luna.
Il Carteggio è un giusto omaggio, in un paese che dimentica rapidamente i suoi uomini migliori, a un critico ancora ricco di preziose indicazioni e a un poeta che ha continuato a stupire fino all' ultimo coi suoi sprazzi luminosi.


la Repubblica, 26 ottobre 1984

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